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Tuttavia, per quanto ampia e comprensiva fosse tale disciplina, la retorica non
comprendeva tutti gli ambiti di discorso. È qui che entra in gioco la poetica in quanto sfera
linguistica che costituisce un ambito di discorso autonomo. La retorica mira alla
persuasione, la poetica all’imitazione e alla catarsi. Ma ecco che ricompare la metafora, in
quanto figura comune a entrambi gli ambiti di discorso: essa viene utilizzata tanto nella
sfera poetica quanto in quella retorica, con la stessa struttura di base ma con funzioni
diverse.
3) Retorica e poetica: punti in comune
Ricoeur mostra come la metafora in Aristotele sia trattata a livello della lexis, nella
Poetica così come nella Retorica. Ciò significa che fa parte dell’espressione, del modo di
esplicitare un pensiero, pur nelle differenze di ambito tra le due opere. Questo è il primo e
fondamentale punto in comune. Ma ancora più importante è il punto seguente, in quanto
nucleo comune a entrambe le parti e in grado di spiegare il concetto di metafora per
Aristotele: l’onoma, ovvero il nome. La metafora è infatti definita come la sostituzione di un
nome con un altro che appartiene ad un ambito diverso. Il nome è per Aristotele una
«voce significativa composta; non contiene idea di tempo; nessuna delle parti che lo
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compongono, presa per se stessa, ha significato» . In questo modo potremmo definire il
nome l’unità semantica del discorso comune a retorica e poetica, ovvero la più piccola
parte linguistica dotata di senso: pur essendo un’entità complessa è infatti a sua volta
composto dalle lettere e dalle sillabe, che sono parti più semplici e non dotate di
significato. Altre parti della lexis che sono di particolare interesse per Ricoeur in quanto
relazionate al nome sono il verbo, il quale è un’entità linguistica che a differenza del nome
si trova in relazione al concetto di tempo, la frase, la quale è un composto di nome e
verbo, e infine la definizione, la quale altro non è che un composto di nomi.
P. Ricoeur, La métaphore vive, trad. it. di Giuseppe Grampa, p. 12
2 Aristotele, Poetica, 1457a, trad. it., Laterza, Bari, 1973.
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4) Retorica e poetica: differenze
Al di là di queste comunanze che sussistono tra Retorica e Poetica, ci sono tuttavia
delle differenze sostanziali. La prima di queste è lo scopo: essendo discipline diverse esse
hanno anche scopi diversi e per questo utilizzano il linguaggio con funzioni differenti,
consone al loro campo applicativo. Da un lato infatti la retorica ha come scopo il
persuadere, la poetica ha come scopo l’imitare, ovvero la mimesis delle azioni umane.
L’una è una techne volta a convincere il pubblico uditorio tramite un linguaggio semplice
ed efficace, l’altra mira alla poiesis, alla produzione di un’opera d’arte che abbia effetti
catartici sugli spettatori o sui lettori. L’una si serve delle prosa, l’altra dei versi. Non solo,
ma utilizzare troppi termini poetici (o anche termini troppo poetici) all’interno di un’orazione
può portare ad un effetto sgradevole e ridicolo, così come nella poesia non si deve
esagerare con l’uso di figure retoriche. Dunque anche la metafora acquista valore diverso
a seconda di dove viene applicata e con che scopo.
Un secondo punto da considerare è che la retorica è legata alla saggezza popolare
ed è quindi un campo per così dire più variabile e arbitrario in cui è più difficile trovare
delle regole compositive fisse. La metafora è a livello della retorica legata all’opinione ed è
per questo, in un certo senso, più efficace: infatti ponendosi nel vivo del dibattito e del
rapporto intersoggettivo tra le persone, fa presa sugli ascoltatori e sulle loro emozioni,
mostra loro in un attimo quello che altrimenti dovrebbe essere spiegato con molte parole.
Nella poetica invece ci sono regole di composizione ben precise e una teoria della lexis
che come abbiamo visto ha scopi diversi. La lexis poetica pone infatti in stretta relazione il
concetto di mimesis, ovvero il concetto di imitazione, con quello di mythos, termine che si
può tradurre con “intreccio”. Il poema deve essere un tutto organico dotato di parti,
ciascuna delle quali è in relazione con l’altra e contribuisce alla stabilità dell’intero. Questo
legame tra mythos e mimesis fa sì che l’imitazione non sia una mera copia, una vuota
immagine dell’originale, ma attraverso l’intreccio prenda vita e acquisisca una dinamica
propria che attraversa l’opera nella sua interezza. In questo modo la metafora perde ogni
aspetto arbitrario e si pone a livello non della parola, ma dell’intero discorso. Nella retorica
invece non c’è il concetto di mythos, pur rimanendo l’idea che non si debba mai perdere di
vista il punto generale del discorso complessivo, cioè l’idea dell’unità compositiva.
Aristotele parla anche delle cosiddette “virtù della lexis”, le quali dovrebbero essere
possedute da chiunque voglia utilizzare bene il linguaggio in ambito retorico. Esse sono
chiarezza, calore, ampiezza, convenienza, espressioni di successo. Tra queste quelle più
importanti sono soprattutto chiarezza e convenienza, in quanto la prima è condizione di
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un’esposizione chiara, trasparente e immediata, la seconda invece ribadisce ancora una
volta che ciascun ambito deve avere un linguaggio suo proprio, per cui in relazione al
contesto si deve utilizzare uno stile linguistico diverso. Queste virtù sono trattate a livello
della retorica, ma hanno molti punti in comune con la poetica, poiché anche il poeta deve
possederle per operare nel modo migliore. Tuttavia la differenza anche in questo caso è
che l’obiettivo della retorica è diverso dalla poetica, perché tenta di convincere
l’ascoltatore e non dilettarlo o purificarlo delle sue passioni interne.
C’è un ultimo punto su cui occorre soffermarsi. Nella Retorica Aristotele ampia in un
certo senso la definizione di metafora che fino a quel momento era rimasta invariata. Infatti
Aristotele compie un parallelo tra metafora e similitudine, come se tentasse di spiegare la
prima tramite la seconda. Scrive: «il saper trovare belle metafore significa saper vedere e
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cogliere la somiglianza delle cose fra loro» . Ma non è più corretto affermare, dice Ricoeur,
che Aristotele non sta spiegando la metafora tramite la similitudine, ma la similitudine
attraverso la metafora? Infatti lo stesso Aristotele ribadisce in diverse occasioni che la
similitudine è subordinata alla metafora: è una sorta di metafora sviluppata, pur essendo
molto simile alla metafora di proporzione. Hanno certamente degli elementi in comune,
come ad esempio il fatto che entrambe ci permettono di percepire l’unità nella differenza
oppure il fatto che portano ad aumentare le nostre conoscenze. Tuttavia la metafora è più
importante perché possiede una maggior eleganza e induce al ragionamento, mentre la
similitudine crea un rapporto più statico tra due termini.
4) Definizione di metafora in Aristotele
Arriviamo ora al momento chiave dell’analisi di Ricoeur nei confronti di Aristotele.
Nella Poetica Aristotele dà una definizione precisa di metafora: «La metafora consiste nel
trasferire a un oggetto il nome che è proprio di un altro: e questo trasferimento avviene, o
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dal genere alla specie, o dalla specie al genere, o da specie a specie, o per analogia» .
Tale definizione viene ripresa implicitamente anche nella Retorica. Partendo da tale
definizione, Ricoeur raggruppa quattro aspetti fondamentali che riguardano il concetto di
metafora e li analizza nel dettaglio muovendo anche alcune critiche nei confronti dello
Stagirita.
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«La metafora è qualcosa che concerne il nome» .
Aristotele, Poetica, 1459a, trad. it., Laterza, Bari, 1973.
4 Ibidem, 1457b.
5 P. Ricoeur, La métaphore vive, trad. it. di Giuseppe Grampa, p. 20.
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Abbiamo visto come il nucleo semantico della lexis sia costituito dal nome in quanto
unità complessa ma indivisibile dal punto di vista semantico. Dunque la metafora, stando
alla definizione data da Aristotele, è il trasferimento di un nome: un oggetto viene chiamato
utilizzando un nome che solitamente non gli appartiene. Secondo Ricoeur l’analisi di
Aristotele si ferma qui, rimanendo ad una semplice metafora del nome che non si estende
al significato dell’intera frase o dell’intero discorso. Questa impostazione, peraltro, è
rimasta saldamente in uso per diversi secoli caratterizzando la storia della poetica e della
retorica. Ricoeur dice che tale impostazione è stata pagata «a caro prezzo: con
l’impossibilità di riconoscere l’unita di un certo funzionamento che (…) non conosce la
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differenza tra parola e discorso e opera a tutti i livelli strategici del linguaggio» . Dunque di
nuovo ciò che sta realmente a cuore a Ricoeur è il fatto che la metafora non rimanga
ancorata alla singola parola invece di estendersi ad un livello più comprensivo del discorso
stesso. Con questo obiettivo ben chiaro nella mente, il filosofo francese muove in
particolare due critiche allo Stagirita:
a) La parola è l’unità di misura della lexis. Ma «il logos è un’unità propria che non
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sembra derivare da quella della parola» . Per logos qui si intende la
proposizione, la quale si presenta come un’unità. Le sue parti, però, secondo
Ricoeur, non conferiscono all’intera proposizione tale unità. Dunque la
metafora non può essere spiegata soltanto a livello del singolo nome, perché
essa comprende l’intera frase: se il suo senso si fermasse al livello della
parola, non si potrebbe spiegare come essa riesca a tramutare il senso di
tutta la proposizione. Tuttavia questa affermazione di Ricoeur è contestabile.
Infatti Aristotele non sembra dire che il senso della metafora si arresti a
questo livello linguistico. Ci dice soltanto il procedimento con cui si applica
una metafora all’interno di un’opera, che sia essa a fine retorico o a fine
poetico. Abbiamo visto infatti che la lexis è un elemento comune a entrambe
le tipologie stilistiche, e la lexis non è altro che una teoria dell’espressione, la
quale non può andare oltre il livello grammaticale e stilistico di un’opera. Ciò
non significa che non ci sia dell’altro, che non ci sia un senso più profondo
della metafora, che il suo trasferimento di senso non comprenda solo la
parola ma l’intera frase. D’altra parte lo stesso Ar