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La scelta del titolo di questo paragrafo non è stata per nulla casuale: con
riferimento all’omonimo testo di Zygmunt Bauman, nel quale è possibile rintracciare importanti spunti di
approfondimento di quanto già detto.
Il bisogno di comunità nell’era globale
3. Bauman ha offerto e offre tuttora, in quanto sociologo, un importante contributo teorico al dibattito sulla
società postmoderna e, più in generale, sugli effetti esercitati dalla globalizzazione sugli individui. Nel volume
l’autore si concentra
Voglia di comunità, sulle difficoltà di realizzazione cui va incontro la richiesta di una
comunità vivibile tra gli uomini; una richiesta da considerare tuttavia come un'esigenza e un bisogno
fondamentali.
“Nel questo è ciò che troviamo
mondo della insicurezza globale torna con forza il bisogno di comunità”:
scritto sul retro del volume e che racchiude il senso dell’intera opera. Bauman, nel corso del testo, intende
tipiche dell’età premoderna,
mostrare come gli individui siano stati sradicati dalle proprie comunità naturali, e
confinati in comunità fittizie che, assunte come possibilità di emancipazione personale e di indipendenza, li
hanno privati, in realtà, del loro valore in quanto uomini nella loro unicità. La rivoluzione industriale e la
fabbrica fordista ne sono un chiaro esempio: la parcellizzazione del lavoro e la standardizzazione delle pratiche
produttive ha portato ad alienare l’individuo, non solo in ambito lavorativo, ma anche in quello delle relazioni
L’epoca attuale, spinta dalle forze della globalizzazione
interpersonali. e dallo <<smantellamento della rete di
sicurezza istituzionale che era solita proteggerci dalle stravaganze del mercato>>(Bauman, 2001), ha
contribuito più che mai a sradicare i punti di orientamento che indicavano, in passato, un ambiente sociale
L’epoca
stabile. premoderna era dominata da una comunità coesa, ed è proprio questa esperienza che manca
che Bauman chiama “liquida”: una società instabile
nella società attuale, fondata su un individualismo fragile,
su atteggiamenti distaccati e relazioni occasionali e brevi; una società in cui tutto ciò che era solido e durevole,
tende a fluidificarsi e a liquefarsi. Bauman afferma che un tempo <<la società era vista come una sorta di
padre possente, severo e a volte implacabile, ma sempre un padre a cui potersi rivolgere con fiducia e 2
chiedere aiuto in caso di necessità>>, ma la società ha perso progressivamente <<buona parte di tale
necessariamente un’esistenza insicura e prospettive incerte, in una
immagine paterna>>. Ciò ha comportato
realtà che chiede maggiore flessibilità e invita <<gli individui a esercitarsi a imparare da soli a sopravvivere,
L’era della globalizzazione offre
migliorare e costruirsi una vita dignitosa, di puntare sulle proprie forze>>.
libertà in cambio di sicurezza; genera insicurezza, e insicurezza significa assenza di comunità (Belloni, 2005).
l’insicurezza, di un rinnovato desiderio di comunità. L’insicurezza data
È dunque, l’origine dalla rapidità,
competitività e flessibilità che la società contemporanea cerca continuamente, spinge a difenderci da soli.
Bauman afferma che <<la sicurezza, come tutti gli altri aspetti della vita umana in un mondo sempre più
individualizzato e privatizzato, è una questione da risolvere col sistema fai da te>>; ciò necessita di un
ripensamento del concetto di comunità.
3.1 La comunità come ghetto volontario
I meccanismi della globalizzazione hanno portato ad uno sfrenato individualismo, inteso come spaesamento
dell’individuo di fronte ad una società frantumata, e a riaccendere il bisogno di comunità, intesa come
accresciuto valore del luogo in cui si vive:<<la difesa del luogo, vista come condizione necessaria della
sicurezza nel suo complesso, è una questione da risolvere a livello di comunità>>(Bauman, 2001). Cresce il
bisogno di un ambiente sociale sicuro e iperprotetto: questo viene impersonato in un territorio abitato dai
propri membri, che proietti il senso di sicurezza che il mondo nel suo complesso sembra distruggere. Infatti, in
un’era dominata da piena insicurezza, la consapevolezza di quanto siano indifendibili e insicuri i luoghi degli
altri, spinge ognuno di noi a fortificare e a rendere impenetrabile il proprio; ci spinge ad allontanare
l’insicurezza, aspirando ad una condizione sociale o relazionale che comporti anche il riconoscimento della
propria identità.
Ma, secondo Bauman, la comunità come ambiente sicuro, a cui si aspira in una società siffatta, è sinonimo di
isolamento e separazione, anziché contrattazione della vita in comune; significa identicità, ovvero esclusione
dell’altro, inteso come diverso. Dunque il desiderio di comunità è un processo di semplificazione e di
in favore dell’identicità.
riduzione della varietà La comunità sicura diventa un "ghetto volontario", il cui scopo
è vietare l’ingresso agli estranei, fondandosi sulla divisione, sulla segregazione, sul mantenimento delle
distanze e sulla non-comunicazione, con il rischio che il proprio isolamento si autoperpetui e si autoalimenti.
un’accezione simile di comunità è l’esatto contrario di identità e di riconoscimento:
Dunque, riallacciandoci al
pensiero di Martin Buber, non esiste possibilità di riconoscimento e di tutela dall’insicurezza senza legami e
senza relazioni che ci confermano. Il riconoscimento può venire solo da un altro, che noi, a nostra volta,
riconosciamo appieno come persona.
4. Il diritto alla città
David Harvey, nel suo saggio Il capitalismo contro il diritto alla città, ripercorrendo le idee di Henri Lefebvre,
degli anni Sessanta,
scrive:<<Dall’inizio Parigi era chiaramente attraversata da una crisi esistenziale. Il
vecchio non poteva durare, ma il nuovo sembrava già troppo orribile, squallido e vuoto per essere preso in
considerazione>>. il senso dell’epoca moderna, ovvero
Queste parole raccolgono le conseguenze che il ritmo e le dimensioni
sull’uomo e sul suo modo di
sempre più vaste del processo di urbanizzazione hanno avuto sulla città stessa,
vivere e relazionarsi agli altri. In una città in grande e progressiva crescita, nonché sradicata dalle forze
capitaliste, affermare il diritto alla città diventa una necessità. Esso si configura come un grido e come una
richiesta, allo stesso tempo. È un grido perché è <<la reazione al dolore esistenziale per la crisi devastante
della vita quotidiana nella città>>, mentre richiesta è, in realtà, <<un ordine di guardare in faccia questa
crisi e di costruire una vita urbana alternativa [..] aperta al divenire e agli incontri>> (Harvery, 2012).
L’idea di diritto alla città nasce, quindi, nelle strade, nei quartieri, da un popolo oppresso in tempi disperati.
Rivendica il diritto alla città del passato, ad una città che non esiste più; tuttavia, è un diritto che si gioca nel
“significante l’attenzione si sposta
presente ed, essendo un vuoto”, su chi lo riempirà di senso: sui soggetti e
sulle pratiche ricche di possibilità alternative che già sono nella città. Un’eterotopia, quella di Lefebvre, che
delinea <<spazi liminali ricchi di possibilità, nei quali qualcosa di differente>> è possibile e fondamentale. Il
qualcosa di differente fa riferimento a ciò che la gente fa, sente e riesce ad esprimere nel tentativo di dare un
senso alla vita quotidiana: una sorta di teoria del movimento rivoluzionario in cui diversi gruppi eterotopici
percepiscono delle possibilità di azione collettiva per creare qualcosa di diverso. Il diritto alla città non è solo 3
un diritto individuale alle risorse che essa ci offre, in quanto luogo di produzione e di consumo, ma anche un
diritto alla creatività, lo strumento tramite cui reinventare liberamente la città a partire dalle proprie esigenze e
desideri; in questo senso si qualifica come una sorta di lotta anticapitalista: <<solo quando si sarà capito che
coloro che creano la vita urbana hanno il diritto di far valere le loro rivendicazioni su ciò che essi hanno
prodotto, e che una di queste rivendicazioni è il diritto a costruire una città più conforme ai loro intimi
desideri, solo allora potrà esserci una politica urbana che abbia senso>>(Harvey, 2012). Rivendicare questo
diritto è uno strumento con cui cambiare sé stessi, cambiando la città: un diritto più collettivo che individuale
un’opera realizzata da tutti gli abitanti che vi
(Harvey, 2008). Un diritto collettivo che qualifica la città come
è il diritto alla vita urbana, ai luoghi dell’incontro e dello scambio (Salzano,
partecipano: il diritto alla città all’appropriazione
2012); è il diritto alla partecipazione alle trasformazioni urbane, e a cambiare la città
secondo i collettivi sogni; è il diritto alla città globale, affiancato, inoltre, al diritto alla differenza e a essere
diversi, ad essere riconosciuti come individui nei processi di socializzazione (Ischia, 2012). Si tratta di un
all’identicità, che le comunità-ghetto
diritto alla differenza, in contrapposizione descritte da Bauman
valorizzano. Possiamo, a questo punto, collegarci nuovamente a Martin Buber, quando, rigettando le tendenze
opposte dell’individualismo e collettivismo, propone l’apertura dialogica, l’incontro, la relazione autentica
all’individuo la certezza di essere riconosciuto
come unico modo che dà come persona e valorizzato nella sua
unicità.
Conclusione
La modernità ha portato con sé molti interrogativi sull’identità individuale, accompagnati dalla dissoluzione
L’individuo
dei legami sociali e dei punti di riferimento presenti nella società premoderna. indipendente ed
è prima di tutto identico
emancipato dalle sue appartenenze viene considerato simile a tutti gli altri: l’altro e è
questo comporta una riduzione della differenza a favore della rassomiglianza (de Benoist, 2006). L’individuo
ridotto ad un’unità indistinta, bisognosa di ottenere riconoscimento e affermazione all’interno di una società
caotica e dispersiva.
l’appartenenza collettiva può essere un rimedio allo stato di smarrimento e isolamento dell’io,<