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I
vennero disegnati dagli studenti guidati da Marcel Breuer, Alma Buscher si dedicò alla
progettazione di pareti scrivibili e di costruzioni-giochi per la stanza dei bambini. Lazlo Moholy-Nagy
disegnò l’illuminazione. Gropius voleva che questo esperimento raggiungesse il massimo del
comfort con la massima economia con l’applicazione delle migliori forme di artigianato e la migliore
distribuzione dello spazio in forma, dimensione e articolazione.
Nel 1996 è entrata nella lista dei monumenti di conservazione dell’UNESCO ed è stata dichiarata
patrimonio mondiale dell’umanità. In occasione dell’ottantesimo anniversario della nascita del
Bauhaus, nel 2003, è stata completamente restaurata. Questo edificio
dall’aspetto austero venne
costruito con soluzioni
tecnologiche anticipatrici
delle metodologie
funzionali della nascente
“Nuova Oggettività”, che
avrebbe fatto derivare la
forma dalle necessità
funzionali, dai vincoli della
tecnologia e dai limiti
economici dell’intervento.
Il crescente sviluppo
industriale inoltre fece sì
che tra i personaggi
principali del Bauhaus si
volesse sperimentare una
progettazione
caratterizzata da processi
industriali.
La pianta della Haus am Horn è realizzata
sul modello della concezione spaziale a
nido d’ape. Il salotto, lo spazio principale e
più importante della casa, diventa il fulcro a
cui si affiancano gli spazi minori, le celle. Il
salotto costituisce quasi la metà della
superficie totale: 6x6m su 12.7x12.7m. La
suddivisione interna è percepibile anche
dall’esterno, anche grazie al rialzamento
centrale che permette alla luce di entrare
nella parte più protetta e più importante
della casa. In ogni camera la funzione era
importante e insostituibile. IX
La cucina ad esempio doveva essere un luogo funzionale ma non avrebbe potuto fungere anche da
sala da pranzo perché la forma non sarebbe stata adeguata a questo scopo.
Dai disegni è possibile osservare una chiara ricerca di armonia delle forme e purezza dei volumi. Si
tratta di una pianta molto semplice e pulita, con uno scopo ben chiaro: far emergere il salotto come
fulcro dell’intera abitazione. Una tale attenzione per questa zona della residenza sarà una
caratteristica sviluppata ancora di più in altri ambiti del Movimento Moderno, in particolar modo
Frank Lloyd Wright ne farà un vero e proprio tema di progettazione, sulla base di una nuova
concezione del ruolo dell’industria nella vita quotidiana e del riflesso che questa avrebbe avuto
all’interno della famiglia.
Negli anni venti Gropius alternò progetti di edifici singoli a progetti di interi quartieri popolari,
svolgendo attività di urbanista e impegnandosi al pari di architetti razionalisti in programmi di
edilizia a basso costo. Cercò di mettere a punto un modello di casa-tipo le cui componenti fossero
producibili in serie. Sperimentò sistemi di prefabbricazione: l’impiego di elementi prefabbricati nella
costruzione di un edificio permetteva di ridurre drasticamente i tempi di apertura del cantiere e
conseguentemente i costi dell’immobile. Egli allo stesso tempo prestò grande attenzione alla
salubrità e all’illuminazione degli ambienti e previde che la presenza di ampi giardini intorno agli
edifici avrebbe reso più gradevole l’insieme.
L’architettura di Walter Gropius si concretizzò in un momento storico in cui la costruzione era un
tema delicatamente trattato e stravolto, andandosi a contrapporre al passato. Si iniziava a parlare
finalmente di civiltà tecnologica. Il grande pubblico venne scosso dal torpore in cui si era adagiato
fino ad allora e fu travolto da un profondo interesse per un tema che non riguardava il singolo ma la
comunità. Gropius definì questo processo di creazione di una nuova architettura “non frutto del
capriccio personale di un pugno di architetti avidi di innovazione a tutti i costi, ma semplicemente il
prodotto logico e ineluttabile delle condizioni intellettuali, sociali e tecniche della nostra epoca”¹³.
La Nuova Architettura dovette scontrarsi con numerosi ostacoli e critiche. Venne tuttavia anche
diffusamente apprezzata, grazie ai fondamenti di semplicità e verità su cui si basava. Slogan come
“idoneità alla funzione=bellezza” resero la Nuova Architettura apprezzabile e degna di essere citata
e mostrata. La razionalizzazione appariva l’unico metodo di purificazione dell’architettura. Questo
periodo fu alla base della moderna tecnica costruttiva e trasformò il settore edilizio, che in
precedenza era essenzialmente artigianale, in processo di industria organizzata. Ora le lavorazioni
avvenivano in fabbrica e solo una volta realizzate venivano trasportate in cantiere, risolvendo anche
le complicanze dovute al carattere stagionale dei lavori di cantiere. La modernizzazione della
costruzione incentivò anche la ricerca di nuovi materiali edili sintetici. “La ripetizione di elementi
standardizzati abbinata all’uso di identici materiali in differenti edifici produrrà un effetto
complessivo di armonia e di sobrietà nell’aspetto delle nostre città, simile a quello generato sulla vita
sociale dall’introduzione di modelli uniformi nell’abbigliamento moderno”¹⁴.
Iniziava a farsi strada anche il tema della casa prefabbricata, caldamente sostenuto da Gropius, che
organizzava degli esperimenti nei laboratori del Bauhaus, in cui si scoprirono i numerosi vantaggi
offerti da questo tipo di costruzione già elencati in precedenza. L’opera però non doveva soltanto X
essere perfetta dal punto di vista costruttivo. Essa doveva essere anche esteticamente appagante e
rispondere alle esigenze psicologiche e materiali dell’uomo. L’edificio non doveva più
necessariamente essere ancorato al terreno: poteva svilupparsi sulla sua superficie mantenendo
una certa autonomia di forma.
Il periodo del primo dopo guerra fu particolarmente fertile per quanto riguarda idee, innovazioni e
tecnologie in molti campi.
“Capii che un architetto non poteva avere nessuna speranza di realizzare le proprie idee se non era
in grado di influenzare l’industria del proprio paese, stimolando, di conseguenza, la nascita di una
nuova scuola di design, una scuola che avrebbe dovuto necessariamente acquisire e saper sostenere
un ruolo autorevole e significativo. Capii anche che per raggiungere questi obiettivi era necessario
avere un corpo di collaboratori e assistenti in grado di lavorare non obbedendo automaticamente a
direttive superiori, ma in modo autonomo seppur collaborativo, in vista di una causa comune”¹⁵.
Il Bauhaus non voleva diffondere alcuno stile o dogma, o moda, ma semplicemente esercitare una
positiva influenza sul design. Un’influenza che esaltava il primato della forma, dove pieno e
compatto diventa vuoto e alleggerito in una dichiarazione esplicita della volontà tettonica
dell’edificio svuotato. Il tempo diventa unità di misura della vita sociale e di un’industrializzazione
che incombe e la storia di questa avanguardia si concretizza sempre più in una volontà di forma,
data dalla tipizzazione. La forma si afferma nella propria identità, nel funzionalismo che caratterizza
gli angoli retti e il richiamo ad una nuova estetica dell’industria.
“Mio scopo non è introdurre uno "stile moderno" da servire, per dir così, confezionato, ma introdurre
piuttosto un'impostazione che consenta di affrontare ogni problema in funzione dei suoi fattori
specifici.
Desidero che un giovane architetto sia capace di trovare in qualsiasi circostanza la sua strada;
desidero che, traendole dalle condizioni tecniche economiche e sociali nelle quali si trova a operare,
egli crei, in piena indipendenza, forme autentiche, genuine, anziché imporre formule scolastiche a
dati ambientali che possono esigere soluzioni del tutto diverse. Non è tanto un dogma bello e pronto
che voglio insegnare, ma un atteggiamento spregiudicato, originale ed elastico verso i problemi
della nostra generazione. Inorridirei se il mio insegnamento dovesse risolversi nella moltiplicazione di
una concezione fissa di "architettura alla Gropius". Quel che desidero è far sì che i giovani intendano
quanto siano inesauribili i mezzi del creare se si fa uso degli innumerevoli prodotti dell'epoca
moderna, e incoraggiare questi giovani a trovare le proprie soluzioni personali.
Spesso ho provato un certo disagio, quando mi sono stati chiesti i mezzi empirici e le astuzie del mio
mestiere, mentre il mio interesse maggiore stava nel trarre in primo piano le mie esperienze di fondo
e lasciare i metodi in secondo piano. Imparando i mezzi, le astuzie, c'è, naturalmente, chi può
ottenere risultati sicuri in un tempo relativamente breve; ma sono risultati superficiali e non
soddisfacenti, perché l'allievo continua a restare sprovveduto di fronte a situazioni nuove e inattese.
Se non è stato educato a penetrare intimamente lo sviluppo organico, nessuna sapiente
sovrapposizione di motivi moderni, per quanto elaborati, lo renderà capace di lavoro creativo.”₁₆ XI
In un periodo in cui il ruolo dell’architetto all’interno della società contemporanea e del mercato
delle professioni è in discussione, le parole raccolte negli articoli di Walter Gropius, scritti simili ad
appunti ci restituiscono molto della consapevolezza del proprio ruolo di guida e di riferimento per le
generazioni di architetti cresciuti e consolidatisi nella propria professionalità durante il primo dopo
guerra. Questi scritti sono una testimonianza ancora attuale della sua attività didattica militante,
organica ed integrale, in cui la costruzione dell’etica di fare architettura, dell’educare il giovane
architetto e di concorrere alla definizione del proprio ruolo sociale sono focali nella responsabilità
formativa dell’istruzione secondo Gropius.
L’ultimo testo proposto sottolinea proprio questo aspetto: Gropius si appella ai giovani, agli
studenti e ai giovani professionisti. Bisogna essere in grado di sperimentare e di partecipare a tutte
le fasi del processo edilizio, sviluppando anche una certa sicurezza nel difendere le proprie idee e
novità, che verranno spesso criticate aspramente. È un invito a perseverare in un bellissimo e
complesso mestiere che deve sempre essere finalizzato all’uomo e al suo ambiente, e non al mero
ego dell’architetto.
¹³|¹⁴|¹⁵ “the new architecture and the Bauhaus” di Alessandra Salvini
“The Architectural record”, Gropius 1937
16 XII
Bibliografia:
Alessandra Muntoni,