Domande esame Microbiologia industriale
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addizionano treonina e proteine del siero, di cui una parte viene convertita in acetaldeide. Questo prodotto si trova
nel banco frigo in confezioni monodose, e anche se non presenta l’aroma tipica dello yogurt, ha buone
caratteristiche probiotiche in quanto Lactobacillus acidophilus (eterofermentante) colonizza la mucosa intestinale.
I latti probiotici contengono bifidobatteri come Lactobacillus acidophilus o altri lactobacilli in grado di mantenere
la loro vitalità a livello intestinale. Si possono trovare diversi prodotti, come lo yogurt classico addizionato con colture
di bifidobatteri, oppure prodotti con singole preparazioni di lactobacilli e bifidobatteri che vengono mescolate
appena prima del confezionamento previo sviluppo separatamente.
Il latte fermentato al bifido viene prodotto come lo yogurt classico, ma presenta delle differenze in termini di
temperature di pastorizzazione e di starters impiegati. Il numero di cellule vive al momento del confezionamento è
molto alto (10 ), ma la loro vitalità decresce lentamente (temperatura di conservazione 4°C a causa dell’acidità
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dovuta all’acido lattico e acetico che caratterizzano il gusto). I bifidobatteri infatti non vedono nello yogurt il loro
substrato ideale, quindi se vengono aggiunti prima della fermentazione non sopravvivono. Per cui se si vogliono
assumere bifidobatteri in modo che abbiano un effetto positivo, è consigliabile assumerli a digiuno, in formato
liquido, in modo che passino velocemente dallo stomaco. Sono più efficaci le pastiglie di probiotici.
Kefir è un latte fermentato mesofilo definito acido alcolico. Viene prodotto con delle colture starter, dette granuli di
kefir, costituiti da diversi microrganismi supportati su una matrice polisaccaridica (carboidrati e proteine). I principali
batteri e lieviti presenti nei granuli di kefir sono: Lactobacillus, Streptococcus, Lactococcus, Candida e
Saccharomyces, inoltre Kluyveromyces è il lievito più importante per il kefir, in quanto è uno dei pochi lieviti che
utilizza il lattosio.
In particolare S. cerevisiae prende il glucosio idrolizzato da altri microrganismi a partire dal lattosio, e genera
etanolo. Per questo il kefir è detto anche latte fermentato acido alcolico. Ha una shelf-life di 10 giorni, perché
possiede meno acido lattico rispetto agli yogurt, quindi un pH superiore e una maggiore sensibilità al
deterioramento. Il processo produttivo del kefir inizia con la scelta delle materie prime, una pastorizzazione e
omogeneizzazione, l’aggiunta dei granuli di kefir, una fermentazione a 18-20°C per 18-24 ore ed infine il
raffreddamento a 8-10°C e il confezionamento. È possibile confezionare il kefir con o senza i granuli.
5. Produzione di funghi a carpoforo (Agaricus)
I funghi sono organismi aerobi (mesofili) filamentosi in grado di organizzare le ife in una struttura caratteristica,
formata da: gambo, cappello, lamelle. Questa struttura si chiama carpoforo. Non tutti i funghi lo fanno, perché alcuni
rimangono allo stato miceliare (sotto terra). I funghi sono un’ottima fonte proteica e a differenza delle biomasse
microbiche sono direttamente edibili e hanno delle caratteristiche peculiari di sapore e aroma. Essi contengono per
il 90% acqua, tutti gli aminoacidi essenziali (ricchi di lisina), vitamine del gruppo B e d anche Sali minerali quindi
rappresentano un buon sostituto della carne. Inoltre essi non contengono clorofilla, quindi non sono in grado di
ricavare energia dalla luce solare per cui degradano la sostanza organica per svilupparsi.
La finalità del processo di produzione dei funghi a carpoforo è ancora oggi quella di smaltire i residui derivanti
dall’allevamento.
Uno dei Paesi più grandi produttori di funghi è la Cina e la specie più coltivata al mondo è l’Agaricus (champignon),
ma se ne coltivano altre come Lentinula, Pleurotus, Auricularia e Volvariella.
In natura esistono circa 250000 specie di funghi, non tutti a carpoforo. Dal punto di vista industriale la parte di
interesse è riservata solo a quelli che producono carpoforo (10000); di essi non tutti sono edibili (circa 2000) e di
questi solo 20 tipi sono prodotti su larga scala.
Agaricus: È una specie saprofita; quella più coltivata è Agaricus bisporus, dalla colorazione bianca. Esistono anche
delle varietà color crema. Esso non ha la capacità di crescere direttamente a spese del substrato, siccome non
possiede i pool enzimatici necessari e i substrati su cui cresce hanno bisogno di un pre-trattamento. Il processo di
produzione di Agaricus è uno dei più lunghi della microbiologia industriale, tra i 75- 90 giorni.
Il processo è suddiviso in 3 fasi: la prima fase comprende la preparazione del substrato, la pastorizzazione ed il
condizionamento; la seconda fase invece comprende l’inoculo, l’incubazione, il trasferimento e la preparazione alla
raccolta mentre la terza fase comprende la raccolta e lo svuotamento delle stanze.
Il substrato per questa produzione è costituito da stallatico di cavalo da corsa in quanto è l’animale alimentato
meglio, quindi i residui sono di qualità migliore; da paglia di lettiera in quanto viene messa alla base dei box dei
cavalli, assorbe le deiezioni e viene calpestata dagli zoccoli, quindi è più accessibile nei confronti del glucosio; da
pollina ovvero deiezioni delle galline ovaiole e quindi è ricca in azoto; ammonio solfato per aumentare il contenuto
di azoto e farina di soia o di cotone. Si ottiene un substrato con un contenuto finale di azoto di 1.9-2%.
La prima fase viene suddivisa in tre step, il primo dei quali è la preparazione del substrato. Esso non è un substrato
sterile e per prepararlo ci vogliono circa 15 giorni, e due fasi: una idrolitica dove il substrato viene posto all’aperto
e viene bagnato per essere portato al 75% di umidità, mentre viene rivoltato la quale dura una settimana e una di
fermentazione dove il substrato viene disposto in stive, che vengono rimescolate ogni 2 giorni per una settimana, al
fine di ossigenare e mantenere uniforme la temperatura e l’umidità. Durante la seconda fase avviene una
fermentazione spontanea per autoriscaldamento del substrato (78-80°C) che porta alla formazione di sostanze più
facilmente assimilabili dall’Agaricus. A queste temperature si distruggono le larve degli insetti e si inattivano i
microrganismi indesiderati. A questo punto il compost risulta bruno e filaccioso, poiché le fibre vegetali iniziano a
disgregarsi (maturazione del substrato ad opera della flora mesofila e termofila) e perché si attivano delle muffe
termofile (Humicola), che aiutano a degradare il substrato.
Il secondo step è la pastorizzazione, che consiste nello spostamento del compost in celle con una pavimentazione
grigliata, da cui viene insufflata aria calda e le condizioni operative sono 60°C per 12 ore.
Il terzo step è il condizionamento, che consiste in un raffreddamento spontaneo a 48-50°C per circa 10 giorni,
periodo di tempo che porta alla colonizzazione del substrato di batteri termofili come il Bacillus, che ha un’attività
degradativa importante e favorisce quindi la preparazione del substrato. Al termine di questo processo l’ammoniaca
è completamente consumata, e questo è molto importante perché al substrato serve azoto proteico, non
ammoniacale. Il pH ottimale per lo sviluppo di Agaricus è 6.5-7.
La seconda fase prevede come primo processo l’inoculo. Il compost viene trasferito tramite nastro trasportatore in
un’altra cella, mentre viene inoculato con spore pregerminate, che sono supportate su semi precotti di cereali.
Le spore in questo modo iniziano a germinare e dare le prime ife sul cereale, quando poi vengono inoculate lo
sviluppo è molto veloce.
Il compost inoculato viene sottoposto a incubazione a 25°C per 15 giorni. Il micelio si sviluppa inizialmente a spese
del seme che fa da supporto e forma una ragnatela bianca a molto fitta che andrà poi a colonizzare il compost.
Il compost con il micelio sviluppato, quando circa il 50% della superficie è colonizzato, viene trasferito in celle
apposite e viene preparato alla raccolta. Queste celle hanno una struttura a castello in ferro zincato dove su ogni
ripiano viene disposto il compost su uno strato di 20-30 cm, che viene poi pressato e ricoperto di terriccio o torba,
che trattiene l’umidità. Le celle sono provviste di controllo di umidità, temperatura e concentrazione di ossigeno.
In seguito avviene lo sviluppo del carpoforo sullo strato di terriccio, mentre il compost serve solo per fornire le
sostanze nutritive. Lo sviluppo consiste in due fasi:
Temperatura di 25°C, umidità 100% e bassa tensione di ossigeno: le ife emergono per cercare ossigeno. A 3⁄4
- di superficie coperta da ife, si opera uno shock termico, mimando un temporale.
Temperatura di 16°C, umidità 80% e aumento della tensione di ossigeno; se è inverno si aprono le porte della
- cella. Le ife si riuniscono formando il primordio del carpoforo; la piena maturità del carpoforo avviene in 10
giorni.
La terza fase è la volata, o raccolta dei funghi. Essa è manuale e avviene per torsione, e costituisce un grande costo.
Per fare in modo che lo stesso terreno produca altri funghi, occorre reintegrare la quantità di acqua persa con i
funghi raccolti: 2L di acqua per kg di funghi raccolti. Il ciclo produttivo di questi funghi dipende da quante volate si
vogliono fare per ogni substrato, in genere se ne fanno 4 (mai più di 5). In genere il ciclo produttivo dura dai 75-90
giorni, tenendo conto che tra una volata e l’altra passano circa 10 giorni. Quando il terreno non garantisce più la
produzione, viene scartato, la cella viene svuotata, sterilizzata e riempita con del nuovo compost maturo. Il compost
scartato si riutilizza in giardinaggio come concime, previa sterilizzazione.
La resa di fermentazione della produzione di funghi a carpoforo è y=0,25 (25kg di funghi per 100kg di compost
maturo.
6. Depurazione degli effluenti
Il trattamento delle acque reflue riguarda le acque reflue che derivano dalle attività civili ma anche industriali.
Le molecole non presenti in natura possono dare problemi di degradazione.
Le molecole organiche presenti in un refluo sono per natura molecole che si ritrovano nell’ambiente (proteine, lipidi,
carboidrati, fibre) quindi sono biodegradabili. Più complesso è il trattamento dei reflui che derivano da un processo
industriale (esempio processi di tessitura: i reflui contengono pigmenti che sono composti di natura chimica di
sintesi quindi possono essere recalcitranti ai trattamenti biologici, non sono facili da eliminare).
L’inquinamento delle acque è l’effetto dello scarico nell’ambiente di acque, di sostanze o di energie tali da
compromettere la salute umana, da nuocere alle risorse dei viventi e più in generale, al sistema ecologico idrico e
da costituire ostacolo a qualsiasi legittimo uso delle acque, comprese le attrattive ambientali.
Esiste un inquinamento naturale dovuto a cause non controllabili il quale si autoregola.
Esistono forme di inquinamento indotto di tipo permanente quando la quantità di inquinanti è tale sia
qualitativamente che quantitativamente da inibire la capacità di autodepurazione e vi quindi un’alterazione del
corpo idrico.
Vi sono inquinanti di origine:
Agricola (pesticidi e diserbanti)
- Civile: sono di origine organica, non organici sono i tensioattivi.
- Industriale (sostanze tossiche o nocive, materiale organico e inorganico ossidabile
-
I microrganismi aiutano perché riescono a degradare dei composti che sono presenti nei reflui quindi in
associazione a trattamenti fisici e chimici vi sono le biotecnologie che aiutano.
Le acque reflue sono classificate in tre tipologie:
Domestiche: derivano dagli insediamenti e dai servizi di una popolazione; contengono sostanze di origine
- organica e non presentano un problema di biodegradabilità perché sono tutti biodegradabili
Industriali: più è alto il livello di sostanza organica e più sono biodegradabili; il problema è la concentrazione
- degli inquinanti perché alcune lavorazioni (siderurgia) possono contenere elevate concentrazioni di componenti
tossici. Esse devono subire dei pretrattamenti prima di entrare nel sistema fognario per riportare i valori imposti
dalla legge.
Urbane: sono composte dai reflui domestici + reflui industriali. A queste si aggiungono le acque piovane che
- vengono poi incanalate nei tombini e quindi raggiungono la rete fognaria. Le acque meteoriche contengono
molto particolato e quindi sono contaminate.
In un refluo ci possono essere diversi componenti: oltre all’acqua
Sostanze che si solubilizzano: sale, zucchero, proteine, amido; sostanze in forma colloidale, ovvero sono ancora
- solubili ma tendono a precipitare se lasciati li (proteine grandi o anche amidi)
Particolato sospeso: sabbia, pietrisco può essere sedimentabile o meno; i composti che sono presenti allo
- à
stato di pulviscolo nell’atmosfera che entrano in fogna sono così fini che difficilmente sono sedimentabili perché
sono difficili da separare.
I parametri che caratterizzano le acque reflue sono il BOD (Biological oxigen demand) che indica quanto ossigeno
è necessario per ossidare biologicamente i componenti presenti in un’acqua (refluo) da parte di una popolazione
microbica. Più un refluo ha un BOD basso più è facilmente biodegradabile, ovvero basta poco ossigeno da dare ad
una popolazione microbica per biodegradare gli inquinanti presenti. Inoltre vi è il COD (Chemical oxigen demand)
che indica la quantità di ossigeno necessaria ad ossidare chimicamente un refluo in condizioni standard.
Un’ossidazione chimica può portare alla degradazione di composti che i mo non riescono a degradare. Più il COD
di un’acqua reflua è alto più il carico inquinante del refluo è alto quindi è difficilmente biodegradabile.
Se il BOD è basso l’acqua è poco inquinata e difficilmente biodegradabile mentre se il COD è alto l’acqua è molto
inquinata ma facilmente biodegradabile.
Le acque domestiche hanno generalmente un BOD non molto alto quindi basta poco per biodegradarle da una
popolazione microbica. Tutti i reflui della microbiologia industriale hanno un carico inquinante ma facilmente
biodegradabile; tutto quello che è ossidabile lo è sia per un composto chimico che per una popolazione microbica.
I solventi invece hanno valori alti perché sono difficilmente biodegradabili.
Il processo di depurazione di un refluo ha l’obiettivo di allontanare tutto quello che non è acqua dalle nostre acque,
quindi mira ad allontanare tutto quello che si può sedimentare e i mo si nutrono della sostanza organica presente in
un’acqua. Il contributo dei mo è quello di trasformare una sostanza disciolta in un composto separabile. La sostanza
disciolta è la molecola presente che il mo usa per accrescere la sua biomassa e la biomassa viene poi separata.
L’efficienza di un sistema di depurazione biologica dipende da
velocità delle reazioni metaboliche
- tempo di contatto acque reflue-sistema biologico
- tipologia e concentrazione della popolazione responsabile dell’ossidazione
-
Trattamenti delle acque reflue: le acque reflue subiscono trattamenti fisici, chimici e biologici.
I trattamenti fisici sono quelli che l’acqua subisce appena arriva in un impianto di depurazione.
Poi l’acqua viene messa a contatto con una popolazione microbica, la biomassa aumenta e questa si chiama fango.
Quando ho l’acqua depurata dai composti disciolti e le cellule microbiche bisogna separarle, ovvero viene separato
il fango e l’acqua subisce poi dei trattamenti chimici prima di essere reimmessa nella rete idrica.
L’acqua che arriva all’impianto di depurazione è costituita da acque urbane, industriali e domestiche. L’acqua entra
nell’impianto di depurazione dove passa attraverso delle griglie che trattengono tutto quello che l’acqua può
trascinare con sé. Queste griglie hanno dimensioni man mano sempre più piccole (dai 2,5cm fino a 2-6mm). L’acqua
passa circa a 0,7m/s e ogni secondo fa circa 70cm/s come portata.
Poi l’acqua subisce una dissabbiatura che avviene facendo correre l’acqua in vasche di forma parallelepipeda con
un flusso laminare. La sabbia e tutte le particelle presenti si depositano lungo il percorso se il flusso non è troppo
veloce. Quindi l’acqua passa con una portata bassa e pian piano si deposita la sabbia. Contemporaneamente alla
sabbia spesso si fa anche la disoleatura, ovvero nella stessa struttura le particelle oleose tendono ad aggregarsi e a
galleggiare in superficie quindi di solito con queste due operazioni si eliminano la sabbia e l’olio.
L’acqua può essere sedimentata in vasche tronco-coniche. Le particelle silicee sedimentano sul fondo e vengono
asportate con sistemi idropneumatici. Queste però sono poco diffuse.
Viene effettuata una sedimentazione primaria che permette di rimuovere le sostanze colloidali ovvero in
sospensione che sono presenti solubilizzate in acqua che se vengono lasciate li tendono a sedimentare e andare sul
fondo. Viene poi immesso l’effluente in ampie vasche e l’acqua da trattare sosta per 1-6 ore.
I fanghi primari sono tutto quello che può essere separato prima del contatto con i microrganismi.
Dopo 6 ore l’acqua viene pompata e recuperata dalla parte alta.
Si ha poi il contatto con la popolazione microbica e quindi vi sono trattamenti secondari (biologici). Il trattamento di
depurazione delle acque reflue si basa sulla trasformazione della sostanza organica disciolta, quindi non separabile,
in materiale solido ovvero fanghi costituiti da biomassa facilmente separabile.
I processi aerobi prevedono l’impiego di:
filtri percolatori (trickling filters)
- vasche a fanghi attivi
-
È fondamentale l’ossigeno perché si tratta di un’ossidazione.
I filtri percolatori: vi sono bioreattori di forma cilindrica riempiti di materiale inerte (pezzi di vetro, cocci, pezzi di
tegola) su cui sono ancorati i mo. Il refluo viene colato dall’alto a pioggia e percola attraverso questo materiale inerte
che supporta i mo. Sotto c’è una griglia che trattiene il materiale inerte e l’effluente trattato esce da sotto poi
l’effluente viene ricircolato per ripetere il processo. In questo modo si ha un contatto ottimale tra i mo e il refluo.
L’aerazione è naturale e quindi non si ha un’immersione del pietrisco ma il materiale cade a pioggia.
Vasche a fanghi attivi: sono bioreattori a cielo aperto che sono uniformemente aerati tramite sparger e l’agitazione
è ottenuta per effetto secondario dell’aerazione. La biomassa può essere riciclata. Questi bioreattori per la
turbolenza che hanno in superficie possono emettere odori sgradevoli e per questo vengono coperti con palline
che assorbono o riducono odori sgradevoli.
Nella popolazione predominano i batteri saprofiti e vi sono anche alghe e funghi. Vi sono protozoi, amebe, e anche
metazoi. Vi è una popolazione diversificata perché alcuni batteri fungono da nutrimento per altri mo superiori.
Quindi si crea un equilibrio nella popolazione microbica presente in un impianto di depurazione. La composizione
di questa popolazione viene monitorata periodicamente, vi è di solito un laboratorio di microbiologia che fa dei
prelievi e verifica che la popolazione sia costante. Uno sversamento a monte dell’impianto può creare dei problemi.
Quando si tratta di un inquinante che arriva all’impianto di depurazione biologica significa distruggere tutto il
processo perché bisogna pulire tutto l’impianto e poi ripartire con un nuovo inoculo.
Una volta terminata l’ossidazione della sostanza organica il refluo va in una fase di sedimentazione secondaria dove
vengono sedimentate le popolazioni microbiche quindi si lascia il refluo fermo per 2-4 ore per separare i
microrganismi che sono cresciuti. Le vasche sono simili a quelle della sedimentazione primaria perché hanno lo
stesso obiettivo ovvero quello di precipitare sul fondo un materiale che deve poi essere allontanato.
L’acqua che è stata trattata passa in vasche dove si ha il controllo naturale che viene monitorato attraverso la
presenza di piante acquatiche e pesci. Successivamente si effettuano trattamenti chimici.
L’acqua che esce dal depuratore non è l’acqua potabile che arriva ai rubinetti.
Smaltimento dei funghi
I fanghi sono costituiti dalla biomassa microbica che è cresciuta e in più vi sono dei fanghi primari costituiti da
colloidi. Questi due fanghi vanno alla digestione anaerobica, cioè vengono convogliati in un bioreattore che usa
questi componenti per fare biogas. Il biogas è composto prevalentemente da metano e una piccola quota di CO .
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Esso viene impiegato per riscaldare gli ambienti di lavorazione ma può essere anche reimmesso nella rete del
metano e servire gli edifici circostanti. Questi sono favoriti nella loro posizione in quanto pagano meno il metano.
2 domanda:
1. Fonti di azoto di impiego industriale
Le fonti di azoto possono essere inorganiche o organiche. Tra le fonti inorganiche vi sono i sali d’ammonio,
ammoniaca e idrato d’ammonio mentre tra le fonti organiche vi sono amminoacidi, proteine, urea e materie prime
grezze. Tra le materie prime grezze vi sono:
Corn steep liquor: è un residuo dell’estrazione dell’amido dal mais, ovvero è ottenuto dal pre-trattamento del
- mais sottoposto a 45-50°C a pH 4 con acqua in controcorrente, in presenza di anidride solforosa (SO ) che
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permette di acidificare. Durante la lavorazione a queste condizioni i batteri lattici naturalmente presenti sul mais
operano una fermentazione spontanea (selettiva per pH), nell’acqua vengono dilavate delle proteine da parte
dei batteri, quindi si separa il liquido, lo si concentra e si ottiene il CSL, mentre il residuo solido va alla produzione
di amido. Il CLS è molto acido, per cui occorre riequilibrare con carbonato di calcio (CaCO ).
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Esso è una pasta marrone, ma si può trovare anche in polvere. Oltre a essere una fonte di azoto, contiene anche
minerali e vitamine del gruppo B. Ha un costo contenuto. La sua composizione è variabile in base al tipo di mais
e alle condizioni operative dell’estrazione (tempo, temperatura, tipo di batteri lattici).
Farine di semi di oleaginose: sono il residuo dell’estrazione degli oli con solvente e sono molto proteici.
- Possono essere utilizzate come mangime per animali o come ingrediente nella formulazione di terreni di coltura.
Vi è la farina di soia che ha un contenuto proteico di 45-50% ed è usata nelle fermentazioni industriali e la farina
di cotone che ha un contenuto proteico di 50-55% e viene impiegata per la produzione di tetracicline
(antibiotici).
Borlande di distilleria: sono il residuo della distillazione dell’etanolo. La produzione di etanolo avviene in
- fermentatori molto grandi, a partire da zuccheri fermentescibili che vengono fermentati dai lieviti (come S.
cerevisiaeae), che producono etanolo e CO . Per estrarre l’etanolo bisogna scaricare il fermentatore, mandarlo
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a una colonna di distillazione ed in questo modo l’etanolo evapora, residua la borlanda la quale viene essiccata
e venduta. Essa contiene lieviti morti non sopravvissuti alle alte temperature (che forniscono alle borlande
vitamine del gruppo B), alcune componenti del terreno colturale e il 25% di proteine.
2. Fonti di carbonio di impiego industriale
I terreni colturali vengono classificati secondo due modalità differenti. La prima classificazione è in base alla
rinnovabilità:
Fonti rinnovabili che sono di origine naturale come la CO .
- 2
Fonti non rinnovabili che sono di origine petrolchimica come alcali.
-
La seconda classificazione è:
Fonti carboidratiche: possono essere in forma pura come monosaccaridi, disaccaridi, oligosaccaridi e
- polisaccaridi oppure in forma grezza come melasso, liscivio solfitico, estratto di malto, siero di latte, corn
molasse, amido e residui cellulosici. Queste fonti sono quelle più costose.
Fonti non carboidratiche: sono fonti non rinnovabili ad eccezione degli oli, hanno ingredienti eterogenei ed
- hanno un costo contenuto.
Esse sono idrocarburi gassosi, alcoli a corta catena, polialcoli, alcali e oli.
Tra le fonti carboidratiche:
Melasso: è un sottoprodotto dell’industria saccarifera in quanto è il residuo del processo di cristallizzazione del
- saccarosio. Si ottiene sia dalla lavorazione della barbabietola che da quella della canna da zucchero.
Esso si presenta come uno sciroppo di colore bruno. In base alla sua origine presenta delle caratteristiche
compositive diverse. Il melasso è ricco di fattori di crescita come vitamine tra cui la biotina, la riboflavina e l’acido
folico. Ad esempio la canna da zucchero presenta un contenuto maggiore di biotina rispetto alla barbabietola.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher piasentingiorgia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Microbiologia industriale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Milano - Unimi o del prof Rollini Manuela Silvia.
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