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DOMANDE MICROBIOLOGIA INDUSTRIALE
1) Elementi principali di un processo microbiologico industriale. →
Un processo microbiologico industriale può essere rappresentato da un’equazione: S + x P; dove S
rappresenta il substrato, ovvero gli ingredienti del terreno colturale, X è il microrganismo, la freccia
rappresenta il processo produttivo e P il prodotto che si vuole ottenere. Il microrganismo può essere una
popolazione mista, o una coltura pura selezionata oppure geneticamente modificato; in questo ultimo
caso in campo alimentare ci sono numerose restrizioni in quanto i microrganismi devono appartenere ai
GRAS, ovvero devono essere sicuri dal punto di vista della salute dell’uomo e non presentare caratteristiche
di patogenicità. L’azienda può provvedere a isolare i microrganismi da un habitat naturale oppure può
rivolgersi a delle società che collezionano microrganismi, ovvero le collezioni ufficiali. Quando si deve fare
una ricerca in un laboratorio è facile ottenere la coltura desiderata da parte delle collezioni pagando un
prezzo simbolico; quando invece si ha un’azienda, questa ricava dal processo un profitto quindi è
necessario fare una contrattazione con la società e spesso inoltre ci sono dei problemi di dogana. Le
aziende preferiscono quindi prendere i microrganismi da un habitat naturale.
Il substrato ha un ruolo fondamentale nell’efficienza del processo fermentativo in quanto rappresenta il
40% dei costi totali, la quantità di substrato utilizzata è sempre enorme quindi la formulazione degli
ingredienti deve essere fatta con cura; il substrato deve essere economico ma funzionale, ovvero deve
permettere la crescita dei microrganismi. Bisogna quindi tener conto del costo, della disponibilità, della
possibilità di stoccaggio, conservazione, deve essere sterilizzabile e non deve presentare problemi di
tossicità o infiammabilità.
Il prodotto ottenuto deve essere conveniente dal punto di vista economico e competitivo altrimenti non
ha senso avviare il processo produttivo; i prodotti ottenuti possono essere la biomassa e i metaboliti
primari, ovvero essenziali per la vita del microrganismo, e si hanno nella fase di crescita quindi il processo
deve essere fermato all’inizio della fase di decelerazione in quanto andare più avanti non ha senso: il
fermentatore viene scaricato e si ricomincia il processo produttivo. I metaboliti secondari sono invece
prodotti nella fase stazionaria quando le cellule vive equivalgono quelle morte e prendono avvio altre vie
metaboliche; per ottenerli è quindi necessario allungare il processo produttivo fino alla fase stazionaria. Ci
sono poi i prodotti complessi in cui non è possibile fare una distinzione tra substrato e prodotto, il
microrganismo non è separabile in quanto tutto è stato modificato e prende una forma diversa (yogurt);
infine vi sono i prodotti da DNA ricombinante che sono molto importanti in campo farmaceutico.
2) Forme di resa.
L’efficienza di un processo microbiologico industriale può essere rappresentata con due forme di
espressione. La prima è la resa di conversione, ovvero il rapporto tra i grammi di prodotto ottenuto
rispetto ai grammi di substrato consumato; si indica con Y: Y = P/S. I due termini hanno la stessa unità di
misura quindi il numero ottenuto è adimensionale, non presenta unità di misura e varia da 0 a 1. La resa di
conversione rappresenta la capacità del microrganismo di convertire il substrato in prodotto. Se si
moltiplica il valore ottenuto per 100 può essere espresso in percentuale; Y rappresenta l’efficienza del
processo produttivo considerando il substrato utilizzato: se Y=0 il substrato non viene convertito in
prodotto e questo significa che il substrato utilizzato è sbagliato; quando invece Y=1 tutto il substrato viene
convertito in prodotto e quindi la resa è del 100%, ovvero quella massima possibile. Generalmente per le
biomasse si ha una resa paria 0,5, ovvero il 50% del substrato viene convertito in biomassa. La resa di
fermentazione è invece un parametro impiantistico e si esprime come i grammi di prodotto ottenuti
rispetto al litro di coltura utilizzata; l’unità di misura è quindi g/L o mg/L. Per le biomasse in genere si ha
una resa di fermentazione paria 20-40 g/L, ad eccezione del lievito da pane dove è pari a 60 g/L con Y =0,5.
Queste due forme di resa sono facilmente calcolabili quando per i prodotti del metabolismo primario e
secondario in quanto è facile distinguere il substrato, il prodotto e i litri di coltura utilizzati; quando invece
si hanno prodotti complessi non è possibile utilizzarli in quanto non si riesce a distinguere cosa è prodotto e
substrato.
3) Tipi di terreni.
Un terreno colturale è un mix di ingredienti che permettono la crescita del microrganismo, l’aumento del
numero di cellule e della biomassa, la produzione di ATP e quindi dei composti di interesse. In un terreno
colturale sono sempre presenti una fonte di carbonio, una fonte di azoto, Sali inorganici e vitamine in
quanto sono indispensabili per lo sviluppo microbico.
In particolare, esistono due tipologie di terreni: i terreni sintetici sono utilizzati principalmente in
laboratorio in quanto sono fatti da materie prime pure che quindi sono molto costose e non sarebbero
convenienti nel caso di un processo produttivo su scala industriale. Questi terreni sono di semplice
standardizzazione in quanto si ha una ricetta che prevede l’aggiunta progressiva dei vari ingredienti e che
porta alla formulazione di un terreno sempre uguale e con le stesse caratteristiche; tuttavia, non
permettono di avere elevate rese di produzione di biomassa. Questi terreni non hanno problematiche di
schiume e sono di facile purificazione. I terreni complessi sono molto più economici in quanto sono
costituiti da materie grezze che possono essere residui agro-alimentari; ad esempio, una fonte di carbonio
grezza può essere il siero di latte che contiene lattosio. Tuttavia, c’è un problema di standardizzazione in
quanto i lotti conferiti alle aziende non sono sempre uguali nella loro composizione che dipende dalla
disponibilità, dalla stagione e dall’alimentazione; per ovviare a questo problema in genere si fa un mix dei
vari lotti in modo da ottenere una rappresentazione media. I terreni complessi permettono di avere rese di
crescita microbica più elevate in quanto negli ingredienti si possono ritrovare composti aggiuntivi che sono
utili allo sviluppo dei microrganismi: ad esempio, nello sciroppo di glucosio sono contenute delle vitamine
che permettono di favorire la crescita microbica e di aumentare quindi le rese. I terreni complessi sono di
difficile purificazione, la composizione chimica non è facilmente determinabile e presentano sempre
problemi di schiuma quindi è obbligatorio l’utilizzo di anti-schiume.
Per entrambi i tipi di terreni bisogna sempre tener conto che la resa di conversione, la resa di
fermentazione e la velocità di conversione devono essere massime in modo da ottenere un processo
produttivo conveniente dal punto di vista economico; la produzione di prodotti secondari deve essere
ridotta e la materia prima deve essere continuamente rifornita.
4) Fonti di carbonio.
La fonte di carbonio è il componente maggiormente presente in un terreno colturale; la classificazione
delle fonti può essere fatta tenendo conto diversi parametri. Dal punto di vista dell’origine si hanno le fonti
rinnovabili, ovvero di origine naturale come ad esempio la CO2; le fonti non rinnovabili invece derivano
soprattutto dall’industria petrol-chimica e dai gas naturali. Un’altra classificazione prevede la distinzione in
base alla struttura chimica: le fonti carboidratiche derivano dagli zuccheri e possono essere in forma pura,
ovvero monosaccaridi, disaccaridi, oligosaccaridi (maltodestrine) e polisaccaridi, oppure in forma grezza,
come ad esempio il melasso, il corn-molasse, il liscivio solfitico o il siero del latte; le fonti non
carboidratiche sono ad esempio gli acidi grassi che sono costituiti da carbonio e idrogeno a lunga catena.
Il melasso è un sottoprodotto dell’industria saccarifera, deriva dalla produzione del saccarosio che può
avvenire a partire da due piante: la barbabietola da zucchero che si trova più nelle zone temperate ed è un
tubero in cui è contenuto il saccarosio, oppure la canna da zucchero che è coltivata nelle zone tropicali
subequatoriale ed è un arbusto ad alto fusto in cui il saccarosio è contenuto nel fusto. In entrambi i casi, la
pianta viene tagliata a fettine sottili e posta in acqua: in questo modo il saccarosio lascia la matrice
vegetale e solubilizza; una volta avvenuta la separazione, si ottengono la parte fibrosa che è uno scarto e la
parte liquida che verrà eliminata dalla impurità. A questo punto la soluzione viene scaldata in modo da
consentire la cristallizzazione del saccarosio grazie a una concentrazione e all’evaporazione dell’acqua;
quando non è più conveniente continuare il processo, si ferma e si ottengono i cristalli di saccarosio e una
soluzione con il 50% di zucchero che presenta una composizione diversa a seconda del tipo di pianta. Nel
caso della barbabietola da zucchero si ha il 50% di saccarosio e nessuna vitamina, mentre con la canna da
zucchero si ottiene una soluzione con il 30-35% di saccarosio e il 20% di zucchero invertito, ovvero si hanno
i due monomeri liberi in soluzione e che sono più dolci rispetto al disaccaride. Inoltre, nel caso della canna
da zucchero si ha anche la biotina e una serie di vitamine che favoriscono la crescita dei microrganismi e
quindi non è necessario aggiungerle in forma pura al terreno, riducendo così notevolmente i costi. Il
melasso si identifica come un caramello scuro bruno con il 50% di zucchero; in genere le aziende
prevedono sempre a importare una quota di melasso da canna da zucchero in modo da avere una quota di
vitamine utili ai microrganismi.
Un altro tipo di melasso è il corn-molasse che deriva dall’estrazione dell’amido dal mais, dove si ha un
residuo liquido con il 50% di glucosio e un quantitativo di Sali inorganici che spesso non sono tollerati da
alcuni microrganismi quindi il suo utilizzo non è sempre possibile.
C’è poi l’high test molasse che è lo sciroppo di saccarosio, ovvero una soluzione trasparente con l’80% di
zuccheri che quindi è più costosa ma necessaria in minor quantità in quanto è molto concentrata.
Altri tipi di fonti di carbonio grezze sono ad esempio il liscivio solfitico che è un sottoprodotto dell’industria
della cellulosa nel legname: quando si produce carta si ha un residuo liquido che contiene vari zuccheri
esosi, come glucosio, mannosio e galattosio, e zuccheri pentosi, come xilosio e aravinosio; tuttavia, gli
zuccheri a 5C n