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La crisi del '29 fu una crisi del capitalismo? Nel 1929 gli Stati Uniti innescarono la
crisi economica più grave della storia. La grande depressione partì nell’ottobre del 1929 con un
colossale crack di borsa proprio dagli Stati Uniti, che sembravano il paese economicamente più
forte e in buona salute. Gli USA erano usciti dalla guerra estremamente rafforzati: grande
slancio, grandi affari, grandi aspettative. In apparenza sembrava una nuova età dell’oro.
Sull’onda di questo ottimismo diffuso, si verificò un gigantesco boom speculativo di titoli
azionari statunitensi. Questo spinse le banche a concedere facilmente prestiti a chiunque
volesse comprare azioni e arricchirsi facilmente. Inoltre lo sviluppo industriale sembrava non
avere fine, i mercati iniziarono ad essere saturi e nei magazzini si accumularono crescenti
merci invendute, così si ebbe una crisi di sovrapproduzione. Seguirono allora i licenziamenti, i
redditi delle famiglie diminuirono e di conseguenza diminuì anche la domanda dei beni. Le
aziende cominciarono una dietro l’altra a fallire: di conseguenza, il valore delle azioni di queste
aziende cominciò a scendere sempre più. Gli speculatori avevano visto che le azioni erano
cresciute in modo spropositato e iniziarono a speculare al ribasso. Fu così che la borsa iniziò a
vendere fino a crollare. Interi patrimoni vennero spazzati via. Ciò causò un disinvestimento
nell’economica reale causando un rallentamento nei paesi europei e un rallentamento nella
capacità produttiva del paese. La gravità della crisi stava soprattutto nell’aspetto
economico, mentre quello finanziario non fu che la facciata più evidente della crisi
stessa, anche perché coinvolse tutta la popolazione. Contemporaneamente si registravano due
fenomeni molto gravi: una crisi europea legata al disinvestimento USA e un rallentamento della
capacità produttiva sempre degli USA. La crisi dipese proprio dal trattato di Versailles e che fu
una causa determinante per lo scoppio della seconda guerra mondiale. I prezzi delle azioni
cominciarono a salire a partire dal 1924, nel cuore dei “ruggenti anni ’20”. Ad investire in borsa
non erano soltanto i professionisti, ma tutti. Si trattò di un boom eccezionale, ma del tutto
sganciato dall'economia reale e fondato soprattutto sui movimenti di capitale a scopo
speculativo e sullo spirito di avventura. Questo stato di cose finì per indebolire le industrie
produttrici di beni di consumo durevole (come quello dell'auto). Queste industrie cessarono di
commissionare materiali a quelle operanti negli stessi settori, le quali dovettero ridurre il
personale e ridurre i salari, provocando una contrazione anche nei settori dei beni
di consumo (come quello agricolo). Il settore più interessato al fenomeno fu quello industriale,
dove la disoccupazione toccò punte del 38%. Ciò ovviamente è legato al fatto che la
produzione industriale si ridusse del 60%. Una forte dipendenza dai capitali americani c’era
anche in paesi altamente industrializzati e soprattutto in Germania (si ricorderà il piano
Dawes).
La fisiocrazia e l'opera di Turgot La fisiocrazia fu un movimento ideologico (o una dottrina
economica) che si affermò in Francia verso la metà del XVIII secolo ed ebbe come padre
fondatore F. Quesnay(1694-1774). Secondo il pensiero di Quesnay l'agricoltura è la vera base
di ogni altra attività economica: solo l'agricoltura è infatti in grado di produrre beni, mentre
l'industria si limita a trasformare e il commercio a distribuire. La fisiocrazia assume quindi il
momento della produzione dei beni e non il momento dello scambio come situazione in cui
viene creata ricchezza. Tutto il ciclo economico della fisiocrazia ha come fine ultimo quello di
creare un surplus (o prodotto netto), che poi verrà investito nuovamente nell'agricoltura
attraverso una condizione di libero mercato. La ricchezza non dipende dalla moneta, ma dai
beni materiali. Era necessario liberalizzare il commercio interno ed estero dei cereali al fine di
ottenere il prezzo remuneratore. Si doveva affermare il principio del “laissez faire, laissez
passer“, cioè il non intervento dello Stato in economia a vantaggio delle libertà individuali.
Secondo Turgot il sistema economico tende all'equilibrio in modo naturale, per effetto
dell'azione delle forze di mercato. Il sistema economico, i redditi e la popolazione tendono
tendono ad autoregolarsi. Ogni intervento sull'economia da parte dei governi è quindi dannoso.
N ell'opera Turgot anticipa diversi concetti di Adam Smith, come la divisione del lavoro, la
differenza tra il prezzo di mercato e il prezzo naturale, la rendita come prodotto netto, la
tendenza al salario di sussistenza e una teoria sul tasso di intere Turgot, adottò l’abolizione
delle dogane interne che limitavano il commercio dei cereali; l’abolizione delle corvées, che
erano delle prestazioni gratuite a vantaggio dell’aristocrazia; lo scioglimento delle corporazioni.
Queste misure provocarono malcontenti tra i nobili e i ceti privilegiati, così Turgot fucostretto a
dimettersi e subito dopo furono ripristinate le corporazioni. A questo punto però, insorse la
popolazione e prese avvio la Rivoluzione Francese (1789).
La teoria di Schumpeter e quella di Kondrat'ev: analogie e differenze Nella teoria
elaborata da Schumpeter, le innovazioni tecnologiche hanno un’importanza centrale nello
sviluppo economico. Inoltre, nella storia vi sono ondate di innovazioni tecnologiche,
definite “a grappolo”. Proprio su questo assunto Schumpeter giunge alla conclusione che
lo sviluppo economico proceda per vigorose espansioni, seguite da recessioni. Per
Schumpeter esistono cicli di 40 anni, 20 di crescita rapida e 20 di recessione e lui dà
importanza ai flessi da cui si origina la crescita rapida. L’inizio di crescita rapida coincide con la
diffusione di nuove tecnologie. Secondo l’economista russo Kondrat’ev, (a cui fa riferimento la
prima teoria dei cicli lunghi) invece, il ciclo dura 50 anni ed è composto da due fasi: una prima
fase di espansione definita fase a e una di recessione definita fase b. La variabile ciclica
esaminata è il livello dei prezzi, non il PIL; ad un tendenziale aumento dei prezzi corrisponde la
fase a; al contrario, se i prezzi scendono si registra una fase b. Secondo Kondrat'ev al rialzo dei
prezzi corrisponde l'aumento dei tassi d'interesse e della produzione. In base all’andamento dei
prezzi su scala mondiale Kondrat’ev costruì un grafico in cui le fasi possono essere
ulteriormente scomposte. Nella fase A si ha un’espansione economica, un rigido incremento dei
prezzi, la crisi non avviene subito ma c’è prima una recessione e poi una fase b di contrazione
economica.
La teoria dei cicli economici: nascita e sviluppi. Il ciclo economico è l'avvicendarsi nel
tempo di fasi di prosperità e fasi di depressione in un'economia di mercato. La teroia nasce
Nel 1860 da Clement Juglar, colui che fu il primo ad occuparsi dello studio delle
fluttuazioni regolari delle economie di mercato e sviluppò la sua teoria prestando attenzione
soprattutto alle crisi che fanno parte del ciclo. La sua teoria si sviluppò in due filoni: il primo è
di natura statistica, un filone statico, cioè la raccolta sistematica dei dati senza fornire
particolari indicazioni sulle cause dell’inversione delle fluttuazioni; Filone teorico cioè
l’interpretazione dei dati articolandoli con le teorie marxiane, monetaristiche o di derivazione
keynesiana. Schumpeter dice che analizzare i cicli economici vuol dire analizzare il processo
economico nell’era capitalistica, infatti le teorie del ciclo riguardano i sistemi economici
capitalistici, ovvero teorie economiche di mercato che hanno avviato il processo di
Lo sviluppo di questi sistemi non procede in modo uniforme ma è
modernizzazione.
caratterizzato da oscillazioni da considerare come elemento strutturale
dell’andamento del sistema economico, avvengono a intervalli regolari, si ripetono
(teoria paradigramatica). È osservabile come un sistema economico capitalistico generi delle
oscillazioni persistenti; le economie di mercato attraversano fasi di espansione alternate a fasi
di depressione ad intervalli regolari. A differenza delle altre teorie economiche, la teoria dei cicli
si basa su evidenze statistiche, empiriche, si fa una ricostruzione della serie storica basata su
una variabile che viene riportata nel tempo al fine di mettere in evidenza queste oscillazioni
regolari e persistenti che i basano sulla ricostruzione dei dati.
Le conseguenze economiche della Guerra di Secessione. La guerra di secessione fu
combattuta tra il 1861 e il 1865 fra gli Stati Uniti d'America e gli Stati Confederati d'America.
Scoppiò a causa delle differenze che sussistevano nel territorio degli Stati Uniti, in particolare
tra gli Stati del Nord, industrializzati e senza sistema schiavistico, e quelli del Sud, nei quali era
in vigore la schiavitù e l’economia era basata sulle grandi piantagioni. Negli anni ’50 l’arrivo nel
Paese di molta manodopera immigrata dall’Europa e la crescita dell’industrializzazione al Nord
fecero aumentare ulteriormente la tensione e nel 1860 l’elezione alla presidenza degli Stati
Uniti di Abraham Lincoln, contrario allo schiavismo, fu la scintilla che fece scoppiare la guerra.
Le ostilità iniziarono quando gli Stati del Sud dichiararono l’indipendenza e il Nord decise di
reagire militarmente. Il conflitto si sviluppò su vari fronti e si concluse con la vittoria degli Stati
settentrionali. Al termine della guerra la schiavitù fu abolita e iniziò l’Era della ricostruzione, nel
corso della quale il governo cercò di riparare ai guasti provocati dal conflitto. questa guerra ha
profonde radici nell’economia. Le principali caratteristiche furono: è stata la prima guerra
moderna, che coinvolse tutta la nazione; Fu una guerra dove la differenza fu fatta da elementi
di natura economica: materiali e numerosità dell’esercito; l’ Economia era industrializzata e
garantì produzione di armi. La Maggiore liquidità delle banche assicurava il finanziamento della
guerra. Le conseguenze della guerra fu al sud, che causò distruzione, impoverimento dei
piantatori, cambiamento del regime di proprietà fondiaria, vendita ai piccoli
agricoltori e frazionamento delle proprietà. Il nord ebbe un rafforzamento economico,
abolizione delle imposte sul reddito, sul ferro e sul carbone introdotte durante la guerra e
finalmente il passaggio definitivo al protezionismo, inaugurato con la tariffa Morril del 1861 e
mai abbandonato fino al XX secolo.