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Publio Virgilio Marone nasce, secondo le fonti, tra cui lo stesso Dante, ad Antes, villaggio vicino
Mantova, nel 70 a.C da una famiglia agiata di agricoltori.
Attorno al 50 a.C. Si reca a Roma per apprendere l'eloquenza e seguire la carriera politica e forense.
Si educa nella scuola di Epido, famoso retore presso il quale lo stesso Ottaviano si formerà.
Durante i suoi studi scoppia la guerra civile tra Pompeo e Cesare, nel 49. Si allontanò dunque dalla
capitale andando a Posillipo, presso Napoli, nella villa di Sirone, filosofo della scuola Epicurea.
Alla morte di Sirone, Virgilio ereditò la sua villa, nel 42.
Nel 41 sarà vittima di un ingiustizia ad opera dei Triumviri Antonio, Ottaviano e Lepido, che
confiscano le sue terre per distribuirle ai propri soldati.
In questo periodo si data la produzione delle Bucoliche, scritte tra 41 e 39, poema che vede degli
umili pastori come protagonisti, tra i quali si nascondo personaggi reali, tra cui lo stesso virgilio.
Questo poema mostra un idilliaco ideale della vita di campagna, contrapposta al caos della città. In
questo scritto è percepibile un'intrinseca tristezza, un incertezza per il domani e il timore per un
male sempre in agguato. Eppure sempre nel componimento v'è una speranza di sottofondo, ove si
auspica il ritorno ad un età dell'oro. A proposito di questa affermazione, il quarto libro ha una
particolarità interessante, infatti si parla della nascita di un bambino che riporterà all'età dell'oro. C'è
chi ha visto, in questa affermazione di virgiliana, una profezia sulla venuta di Cristo, seppur alcune
fonti identifico questo bambino come il figlio di Asinio Pollione.
Ma la situazione politica stava evolvendo rapidamente, infatti Ottaviano divenne presto Augusto,
ristabilendo la pace e restituendo a Virgilio le sue terre, diventando anche amici.
Virgilio osservava oramai con simpatia gli eventi che portavano Augusto al potere assoluto e questa
simpatia si può evincere dalla stesura delle Georgiche, altro poema di quattro libri che parla del
lavoro dei campi, dell'apicoltura e dell'allevamento del bestiame. I protagonisti, come nel primo,
sono agricoltori intellettuali, ma in questo caso, pur filosofeggiando sulla sacralità del lavoro alla
terra, pur difficile ma conquista quotidiana, non mostra più quella tristezza dipica delle bucoliche,
ma si parla del bene comune, non più della pace del singolo, a dimostrare la rinnovata fiducia del
poeta nello stato.
Nel 29 Virgilio da inizio alla sua opera maggiore, l'Eneide, con il preciso scopo di esaltare Augusto
e la gens Iulia.
Putroppo Virgilio si ammala e muore nel 19, prima di poter rivedere e correggere l'Eneide...per
questo ordina di bruciarla, oramai sul letto di morte, ma Augusto la fa salvare dalle fiamme,
restituendoci il poema Epico Latino per eccellenza.
2) L'Eneide
Viene composta tra il 29 ed il 19, rimanendo, come già detto, incompiuta, incorretta, con qualche
contraddizione, in effetti, ed è un poema Epico dalle caratteristiche estremamente particolari.
Si suddivide 12 libri che, a propria volta, andrebbero divisi in due categorie: i primi 6 raccontano
della fuga da Troia da parte di Enea, attraverso un lungo flashback, dove racconta la sua storia a
Didone, regina di Cartagine presso la quale sbarca nel primo canto.
Questi primi sei libri trovano numerose analogie con l'Odissea Omerica, dove infatti viene descritto
un viaggio pieno di peripezie, dolori e sfortune.
Fondamentale, in questa prima parte dell'opera, è il libro IV, dove l'amore tra Enea e Didone giunge
ad un epilogo oltremodo Tragico, con l'abbandono della regina, voluto da Giove stesso, da parte del
Troiano, ed il conseguente suicidio di lei. Il dolore di Enea è grande, mostrando una tragicità mai
raggiunta nei poemi Omerici, dando vita a figure, come quella di Didone, dalla sofferenza profonda.
Lo stesso Enea è eroe che si trionfa, ma non con gusto, non con facilità, come l'Ulisse, ma
acquisendo ogni singola vittoria con enorme fatica e perdite. Egli è profondamente segnato dal suo
Fato, che viene seguito nonostante tutto.
Anche nel caso di Didone, Enea non desiderava affatto la sua sofferenza o la sua morte, anzi, egli
era a sua volta innamorato, probabilmente, ma il suo Destino , il suo Fato, è qualcosa che deve
essere seguito ad ogni costo: egli, troiano esule, deve giungere le coste del lazio, assieme al figlio
Ascanio, sposare Lavinia, la figlia del re Latino, e fondare una nuova Troia, Roma, che sarà
destinata a dominare su tutto il mondo conosciuto.
Neppure la purezza dell'amore può distoglierlo dal suo scopo, dal futuro che egli vuole per suo
figlio, ma la cosa che più di ogni altra lo spinge in avanti, è l'osservanza del volere degli Dei, che
saranno di ruolo centrale in tutta la narrazione.
Il VI libro, invece, è il termine ultimo della prima parte dell'epopea, infatti Enea discende negli
inferi come fece Ulisse, alla ricerca del consiglio del padre.
Questo canto sarà di importanza fondamentale anche per Dante, che vi ispirerà l'ambientazione
della Divina Commedia.
Negli inferi Enea incontra l'ombra di Didone, suicida, che guarda Enea con disprezzo, per averla
portata ad una morte si misera. Solo adesso, in questo caso, l'Eroe si confessa a lei, dispiaciuto,
sofferente, per averle causato tanto male, a sua volta innamorato, probabilmente, ma legato al volere
degli dei.
Il viaggio prosegue sino ai campi elisi, dove vi trova il Padre Anchise, assieme a tanti altri, tra cui
Marcello, il giovane nipote di Augusto, prematuramente morto. Su di uno scudo, Enea trova incisa
tutta la storia futura di Roma, che avrà inizio dal figlio che avrà da Lavinia. Questo capitolo è forse
il momento di esaltazione della storia di Roma più alto, infatti si mostrano le figure storiche più
importanti di tutta la storia romana, dai sette re, ai gracchi, a Bruto, Cesare, Catone e...finalmente
Augusto.
La seconda parte della narrazione è invece di diverso genere, infatti è più assimilabile all'Iliade,
mostrando la guerra tra Troiani, alleati con i Latini e gli Etruschi, contro i Rutoli, guidati da Turno.
L'Iliade, come l'Odissea, d'altra parte, esalta i valori dell'aristocrazia guerriera greca, portando ad
esaltazione la gloria che deriva dalla guerra, la morte in battaglia, l'onore; la guerra nell'Eneide è
diversa, poiché seppur onorevole, è vissuta come un male necessario, dove anche i gesti eroici e le
morti gloriose, lasciano lo spazio ad una tristezza infinita per le perdite subite.
Nell'Eneide non c'è conquista che non sia acquisita con numerose sofferenze.
Infatti sono centrali, all'interno di tutta l'opera, i sentimenti umani, pur presenti nei poemi Omerici,
come la rabbia di Achille contro Ettore per aver ucciso Patroclo, ma comunque questa sofferenza
viene vissuta in maniera eroica, tramutata in forza per sconfiggere il nemico. Enea è differente, la sa
figura è quella di un eroe temerario, ma stanco e privato da tutto per seguire quel fato che è sua
strada.
Enea è interpretabile in due modi: egli è pius, dunque segue il volere degli dei mettendolo sopra
ogni cosa. Segue il suo destino, indipendentemente da quale sia il prezzo. Ma allo stesso tempo
potremmo interpretare la sua figura come un ideale romano, ossia un singolo, per quanto Eroe, per
quanto importante, comunque subordinato ad un potere superiore, gli dei nel suo caso, interpretabili
come lo stato.
Il poema termina, naturalmente, con la vittoria di Enea, la morte di Turno che, in ultimo si
umanizza, passando da semplice giovane arrogante a guerriero umano...i cui pensieri vanno alla
sorella e al padre.
E' interessante notare di Virgilio come prepari le morti dei personaggi, che lottano fino all'ultimo,
poi giungendo sempre a triste epilogo, come nel caso di Didone, appunto, la quale neppure nella
morte trova immediato sollievo: ella si rialza ben tre volte dopo essersi pugnalata con la spada di
Enea, tanto da destare compassione in Giunone, che decide di donarle la morte con carità.
Comunque, malgrado le numerose sofferenze, Enea giunge al suo scopo, quella strada che gli aveva
messo dinnanzi il suo fato.
3) Virgilio ed Omero, differenze ed analogie
Inevitabile è il confronto tra queste due figure, una che ha dato vita al genere Epico, l'altra che l'ha
riformato ed, in un certo senso, superato.
Iliade ed Odissea sono molto antiche, e venivano tramandate oramlmente, all'inizio, con il fine di
“tappare i buchi” all'interno della frammentaria memoria storica dei greci, dando vita ad un caso di
“mito storificante”. Comunque la prima forma scritta di questi poemi attestata dalle fonti è datata VI
secolo, di proprietà del tiranno ateniese Pisistrato.
Senza soffermarci sulla “questione omerica”, ci limiteremo a dire che la figura del poeta non è
storicamente accertabile, e la stessa stesura di Iliade ed Odiessa presenta incongruenze tali da
mettere in dubbio che la stesura sia avvenuta dalla stessa mano, o magari l'Iliade è una produzione
giovanile, mentre l'Odissea già più matura.
Ad ogni modo Iliade ed Odiessa sono entrambe in 24 libri, e la prima è il racconto, inserito
precisamente in un ambito temporale, quello del decimo anno di guerra presso troia, raccontando
l'ira di Achille e la sua vendetta contro Ettore. Un eroe divinzzato, potente, che di umano ha solo
pochi sprazzi, come l'indignazione per la presa della sua schiava favorita, briseide, o la rabbia per la
morte dell'amico Patroclo, ma comunque si mostra troneggiante sugli altri, un dio tra gli uomini. La
guerra di Troia, comunque è una distruzione, la conquista di una città.
L'Odissea è invece il viaggio di ritorno a casa di Ulisse, eroe greco che gia s'era visto nell'Iliade: la
sua figura è diversa da quella di Achille...è più umana in un certo senso, ma al suo interno mostra un
intelligenza pungente fuori dal comune, una grandezza di intelletto che supera quella di chiunque
altro. Il suo ritorno a casa è costellato di avventure, divenendo il centro stesso della produzione,
avendo come tema il viaggio, il rientro verso casa e l'esaltazione della famiglia.
I temi trattati in Iliade ed Odissea sono temi Ideali, seppur basati sull'evento storico della guerra di
Troia, e gli uomini descritti sono divinizzati, inseriti in un epoca senza storia, anzi, gli eroi Omerici
diventano mito storificante, atti ad andare a collmare le lacune di conscenza che i greci stessi
avevano sulla loro storia.
L'Eneide, differentemente, segue un intento si di mitizzazione della storia, ma consapevolmente e in
modo da esaltare Roma e la Gens Iulia. Gli eventi raccon