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Tartaro
Come è vero che questo scettro" (infatti proprio allora teneva nella destra lo scettro) "mai dalle fronde leggere produrrà germogli né ombra, una volta che, reciso nel bosco dal fondo della radice, è privo della madre e ha deposto le chiome e i rami a causa della spada, anticamente albero, ora la mano dell'artefice ha ornato di bronzo e l'ha dato da tenere ai padri latini.". Con tali parole suggellavano tra loro i patti sotto gli sguardi dei nobili. Allora sgozzano le bestie consacrate sulle fiamme secondo il rito e strappano, ancor vive, le viscere, e riempiono gli altari di piatti colmi. Tuttavia ai Rutuli quella battaglia sembrava ineguale già da un po' ed erano turbati da diversi sentimenti nei cuori, tanto più che li vedono più da vicino non pari di forze. Vi contribuisce Turno, avanzando in silenzio e venerando da supplice con gli occhi bassi l'altare, con le guance languenti e col pallore.
del giovane corpo. Appena la sorellaGiuturna vide diffondersi quel mormorio e cambiare e vacillare i sentimenti del popolo,prendendo in mezzo allo schieramento la forma di Camerte, che aveva una nobilestirpe dagli antenati e un celebre nome per la virtù paterna, anche lui valorosissimo inarmi, si porta in mezzo allo schieramento non ignara della situazione, dissemina varievoci e pronuncia tali parole:Non vi vergognate, o Rutuli, di esporre una sola vita afronte di quali siamo tutti insieme? Non siamo pari per numero e forze? Tutti questisono i Troiani e gli Arcadi, e la banda del destino, l'Etruria ostile a Turno: a malapenaabbiamo un nemico, se avanziamo uno sì e uno no. Lui sì, salirà per fama agli deisuperi, agli altari dei quali si vota, e volerà sempre vivo per le bocche; noi, che ora cene stiamo passivi sul campo, persa la patria, siamo costretti a obbedire a padronisuperbi.. Con tali parole il pensiero dei giovani si
infiammò ormai ancora e ancora, e ilmormorio serpeggiò per la schiera: gli stessi Laurenti e gli stessi Latini cambiarono.Quelli che ormai speravano nella cassazione della battaglia e nella salvezza nella lorosituazione, ora vogliono le armi e pregano che il patto sia come non fatto ecommiserano la sorte ingiusta di Turno. A questo Giuturna aggiunge qualcosa dipeggio e dà il segnale nell’alto del cielo, di cui nessuno con più forza turbava le mentiitaliche e ingannava con la sua apparenza di prodigio. Infatti, volando nel rosso etere,un fulvo uccello di Giove cacciava gli uccelli acquatici e uno stuolo strepitante dipennuti in fuga, quando improvvisamente, sceso sulle onde, ghermisce crudelmentecon gli artigli uno stupendo cigno. Gli Italici furono colpiti, e tutti gli uccelli insiemecambiano direzione a un grido (spettacolo straordinario), e oscurarono il cielo con illoro piumaggio e, formando una nuvola nell’aria, cacciarono il nemico, finché,
vintodall’attacco e dal peso stesso, cedette e l’uccello fece cadere la preda dagli artigli nel fiume, e fuggì definitivamente tra le nuvole. Allora dunque i Rutuli salutano il presagio con clamore e si preparano a combattere, e per primo l’augure Tolumnio disse: “Questo era, questo che ho tante volte cercato con i miei voti. Accetto e riconosco gli dei; con me, con me comandante date di piglio alla spada, o sciagurati, che uno straniero feroce atterrisce continuamente in guerra come uccelli impotenti, e con violenza saccheggia i vostri lidi. Costui chiede la fuga e definitivamente darà le vele verso l’alto. Voi unanimi stringete le schiere e difendete in battaglia il vostro re rapito.”. Così parlò, e scagliò di fronte il giavellotto slanciandosi contro i nemici; l’asta dà un suono stridente e taglia dritta l’aria. Allo stesso tempo un alto grido e tutte le file si turbarono e i cuori infiammarono nel tumulto.
L'asta, volando, poiché stavano difronte per caso nove bellissimi fratelli, che aveva generato così tanti da sola Tirrena, la fedele moglie dell'arcade Gilippo, di questi uno, giovane eccellente per bellezza e per armi rifulgenti, alla vita, là dove il balteo intessuto si tocca col ventre e la fibbia ne aggancia le estremità, lo colpisce trapassandogli le costole e lo riversa sulla terra rossastra. Ma i fratelli, falange feroce e infiammata per il lutto, in parte stringono in mano i gladi, in parte danno di piglio alle armi da getto e si lanciano alla cieca. Contro di loro si scagliano le schiere dei Laurenti, dall'altra parte a loro volta si riversano compatti i Troiani, gli Agillini e gli Arcadi con gli scudi istoriati: così tutti ardono di un solo desiderio di combattere con la spada. Hanno rapinato gli altari, una tempesta fosca di giavellotti si spande per tutto il cielo e si rovescia una pioggia di ferro, porta novia i crateri e i fuochi.
Lo stesso Latino fugge portandosi dietro gli dei scacciati dal patto vanificato. Gli altri mettono il freno ai cocchi o saltarono sui cavalli e si avvicinano con la spada in pugno. Messapo, impaziente di turbare il patto, sprona il cavallo contro Auleste, re tirreno e portatore dell'insegna di re; costui cade indietreggiando e sciagurato rotola indietro col capo e le spalle sugli altari. Ma Messapo impetuoso si avventa con l'asta e con la lancia come con una trave, alto da sopra il suo cavallo, lo ferisce gravemente, mentre lui supplica molte cose, e così parla: "È andato, questa è la migliore vittima data ai grandi dei.". Gli Italici accorrono e spogliano le membra ancora calde. Corineo di fronte strappa un tizzone ardente dall'altare e anticipa Ebiso, che sta giungendo e gli sta sferrando un colpo, ustionandogli il volto: la lunga barba gli prende fuoco e dà odore di bruciato. Lui stesso, seguitolo sopra, afferra con la sinistra lachioma del nemico sconvolto e,facendo forza col ginocchio, lo spinge a terra; così ne ferisce il fianco con la duraspada. Podalirio sta addosso ad Also, che era pastore e si lanciava sulla prima fila trale lance, seguendolo con la nuda spada; costui spacca con la scure ritraendo in mezzoalla fronte e il mento dell’avversario e bagna le armi col sangue sparso copiosamente.A lui preme gli occhi un duro riposo e un sonno di ferro, i suoi occhi sprofondano nellanotte eterna.Ma il pio Enea tendeva la destra disarmata col capo nudo e chiamava i suoi con ungrido: “Dove vi precipitate? Cos’è questa discordia che divampa improvvisa? O frenatele ire! Ormai il patto è stipulato e concordate le condizioni. È deciso che io mi scontrida solo; lasciate fare a me e allontanate la paura. Sarò io a sancire i patti con la miamano; Turno ormai mi deve questi obblighi sacri.”. Tra queste voci, in mezzo tra taliparole, ecco che una freccia
sibilando sulle ali colse l'eroe, è incerto da quale manoscoccata, da quale forza lanciata, chi, se un caso o un dio, abbia portato una tanto grande lode ai Rutuli; è rimasta celata la gloria del fatto insigne, né nessuno si vanta della ferita di Enea. Turno, come vide Enea cadere in campo e i comandanti agitati, si infiamma e arde di un'improvvisa speranza; chiede i cavalli e insieme le armi, balza in un lampo, superbo, sul carro e pone mano alle redini. Muovendosi velocemente manda a morte molti forti eroi. Ne fa rotolare mezzo morti molti: o sbaraglia schieramenti dal carro, o scaglia sui nemici in fuga lance rapidamente afferrate. Come quando il sanguinoso Marte fa risuonare lo scudo scatenandosi presso la corrente del gelido Ebro e, muovendo guerra, lancia al galoppo i cavalli furenti, quelli volano in campo aperto più veloci del Noto e dello Zefiro, la Tracia estrema geme al colpo degli zoccoli e turbinano i foschi volti dello Spavento.dell'Ira e dell'Insidia, corteggio del dio: taleTurno sferza alacremente i cavalli madidi di sudore nel mezzo della battaglia,insultando spietatamente i nemici caduti; i rapidi zoccoli spargono gocce sanguinee eil sangue con mescolata la sabbia è calpestato. Già dà la morte a Stenelo, Tamiro eFolo, gli ultimi in corpo a corpo, il primo di lontano; di lontano entrambi i figli diImbraso, Glauco e Lade, che Imbraso stesso aveva allevato in Lidia e fornito di armiegualmente atte a venire alle mani o ad anticipare i venti a cavallo. Da una parte siporta in mezzo alla battaglia Eumede, prole celebre in guerra del vecchio Dolone, chericorda nel nome il nonno e nel coraggio e nel braccio il padre, che un tempo, quandoera entrato come spia nell'accampamento dei Danai, osò chiedere il carro al Pelidecome premio per sé; il figlio di Tideo a fronte di tali audaci richieste gli procurò un altropremio e non aspira ai cavalli di Achille.
Come da lontano Turno lo vide in campo aperto, inseguitolo attraverso il lungo spazio prima con un giavellotto leggero, ferma i due cavalli, salta giù dal carro e piomba su di lui mezzo morto e a terra e, calcatogli il piede sul collo, gli strappa la spada dalla destra e gliela conficca lucente nel profondo della gola e poi aggiunge queste parole: “Troiano, misura steso i campi di quell’Italia che hai assalito: questi premi riportano coloro che hanno osato toccarmi con la spada, così fondano le mura.”. Gli manda come compagno Asbite, gettata la lancia, Cloreo, Sibari, Dareta, Tersiloco e Timete, caduto dal dorso del suo cavallo ombroso. E come il soffio del tracio Borea rumoreggia sul profondo Egeo, spinge i flutti alle spiagge, per dove si abbattono i venti, e mettono in fuga le nuvole nel cielo: così le schiere cedono a Turno, dovunque si apre la strada, e gli eserciti si volgono e fuggono; lui lo porta la sua foga e l’aria scuote e fa volare il.pennacchio contro il carro. Fegeo non sopportò che incalzasse e urlasse di furore: si gettò davanti al carro e torse con la destra per le briglie i musi frementi del cavalli spronati. Mentre viene trascinato e pende dal giogo, lo raggiunge, scoperto, la larga lancia e conficcata rompe la lorica a doppia maglia esfiora il corpo con una ferita. Egli tuttavia, messo davanti lo scudo, marciava contro il nemico e, snudata la spada, chiedeva aiuto, quando l'asse della ruota nella sua corsa veloce lo fa precipitare e lo rovescia al suolo, e Turno, inseguitolo, gli stacca la testa con la spada fra la parte inferiore dell'elmo e il bordo superiore della corazza e lascia il busto nella sabbia.
E mentre Turno compie tali stragi da vincitore nella piana, nel frattempo i compagni Mnesteo e il fido Acate e Ascanio deposero Enea sanguinante, che si appoggiava alternativamente per camminare sulla lunga lancia nell'accampamento. Infuria e si sforza per strappare la canna spezzata.
del dardo e chiede in rimedio la via più diretta: taglino la ferita con una larga spada e mettano a nudo la carne dove si cela il dardo elo rime