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Che navighi; questo è tutto (haec summa est), questo sia il nostro messaggio”. Aveva parlato. Egli si
preparava ad ubbidire al comando del grande padre: per prima cosa si allaccia ai piedi i calzari d'oro
che, in aria, lo portano con ali o sopra il mare o sopra la terra insieme al rapido soffio→ vento. Poi
prende la verga; con questa evoca le anime pallide dell'Orco, ne manda altre nel triste Tartaro, dà e
toglie il sonno e riapre gli occhi dalla morte. Confidando in essa, spinge i venti e attraversa le
torbide nubi. Già, volando, vede la vetta e gli scoscesi fianchi del forte Atlante che col la testa regge
il cielo, di Atlante, la cui testa di pini→ piena di pini è costantemente circondata da nuvole nere e
sbattuta dal vento e dalla pioggia; la neve diffusa gli ricopre le spalle; fiumi scendono dal mento del
vecchio e l'orrida/ispida barba è intirizzita dal ghiaccio. All'inizio, sorvolando, si ferma qui il
Cilenio con le ali aperte (paribus); (poi) si getta a capofitto con tutto il corpo verso le onde, simile a
un uccello (avi similis) che vola basso (humilis) intorno alle spiagge, intorno agli scogli pescosi,
vicino all'aqua→ sul pelo dell'acqua: non altrimenti volava verso il lido renoso della Libia, tra terra
e cielo, la prole cillenia (Mercurio), scendono dall'ave materno, solcava i venti. Non appena toccò le
capanne (magalia) con i sandali alati, vide Enea che costruiva rocche e rinnovava le case; egli aveva
una spada che brillava di fulvo diaspro, un mantello (laena) di porpora tiria fiammeggiava
scendendogli dalle spalle, doni che gli aveva fatto Didone e il tessuto era trapunto da fine oro.
Subito lo assale: “ tu adesso poni le fondamenta dell'alta Cartagine e costruisci la bella città della
moglie, dimentico del regno e delle tue cose? Il re stesso degli dèi, colui che domina il cielo e la
terra con la sua autorità, mi ha mandato dal famoso Olimpo; ordina che, veloce, porti questi ordini
attraverso il cielo: che cosa fai? O con quale speranza perdi tempo (teris otia) nelle terre libiche? Se
non ti muove nessuna gloria di tanto grandi imprese, né affronti la fatica per la tua lode, guarda
Ascanio che cresce e la speranza dell'erede Iulo a cui viene dato il regno d'Italia e la terra romana”.
Il Cilleno, dopo aver parlato con tale bocca→ parole, lasciò l'aspetto umano in mezzo al discorso e
svanì lontano dagli occhi nella tenue aria.
vv 280-295
Enea ammutolì, sconvolto per quell'apparizione, i capelli si drizzarono per la paura e la voce restò
nella gola. Ardeva di andare in fuga e lasciare le dolci terre, colpito da un monito tanto grande e da
un comando degli dèi. Che fa? Con quali parole (quo adfatu) osa andare adesso dalla regine
furente? Quali primi esordi prende→ con quali parole deve iniziare? Trascina (rapit) in varie
direzioni l'animo celere ora qui, ora lì e lo volge per tutte le cose. A lui che è incerto (alternanti)
questa decisione gli sembra la migliore (potior): chiama Mnesteo, Sergesto e il forte Seresto, che
preparino la flotta in silenzio, radunino i compagni sulla spiaggia, preparino le armi e dissimulino
quale sia la causa del rinnovamento; egli, nel frattempo, dato che la buona Didone è ignara e non si
aspetta (speret) che un amore tanto grande venga infranto, tenterà le vie, e circostanze per parlare
(fandi) più opportune e il modo migliore per queste cose. Tutti molto velocemente (ocius) si
preparano, lieti, all'ordine e ubbidiscono agli ordini.
vv 295-330
Ma la regina percepì l'inganno (chi può ingannare un innamorato?) e colse per prima le mosse
future temendo tutte le cose sicure→ sospettando di tutto. L'empia Fama riferì a lei folle che la
flotta veniva armata e la navigazione preparata. Priva nell'animo→ folle infuria e, ardente,
impazzisce per tutta la città, come una Baccante (Tias) eccitata quando sono iniziati i riti
( commotis sacris), quando, udito Bacco, le orgie triennali la stimolano e il Citereo notturno la
chiama con clamore. Infine affronta per prima/spontaneamente (ultro) Enea con queste parole: “hai
sperato, maledetto, di poter nasconde un delitto tanto grande e di allontanarti in silenzio dalla mia
terra? Né il nostro amore, né la destra data a te un tempo, né Didone destinata a morire di morte
crudele ti trattiene? Anzi (quin), allestisci la flotta nella stagione invernale e ti affretti ad andare in
alto mare in mezzo alle tempeste (aquilonibus), o crudele? Perché? Anche se (si) non cercassi terre
straniere e case ignote e l'antica Troia rimanesse, cercheresti Troia con le flotte per il mare
burrascoso? Fuggi forse d me? Per me, per queste lacrime,per la tua destra (dal momento che non
ho lasciato nient'altro a me sventurata), per le nostre unioni, per le nozze iniziate, se ho meritato
qualcosa di buono presso di te o qualcosa di me è stato per te dolce, abbi pietà della casa che cade,
ti prego, e se c'è un luogo per le preghiere, abbandona questa mente→proposito. A causa tua le genti
libiche e i principi dei Numidi mi odiano, i Tirii sono ostili; a causa tua si è estinto il pudore e la
fama precedente con la quale, sola, arrivavo alle stelle. A chi lasci me moribonda, ospite? Poiché del
coniuge resta solo questo nome. Che cosa aspetto? Forse che mio fratello Pigmalione distrugga le
mie mura o che il gètulo Iarba mi porti prigioniera? Se almeno (saltem si) avessi avuto una qualche
discendenza (suboles) iniziata da te → un figlio prima della fuga, se almeno un piccolo Enea, che
mi richiamasse te nel volto, giocasse con me nel palazzo (aula), non sembrerei del tutto ingannata
(capta) e abbandonata”.
vv 330-360
Aveva parlato. Egli, per gli ordini di Giove, teneva gli occhi immobili e, sforzandosi (obnoxius)
premeva l'affanno dentro al cuore. Alla fine rispose brevemente: “io non negherò mai, regina, che tu
hai avuto molti meriti nei miei confronti, meriti che puoi elencare parlando (vedi bene questa parte),
né mi dispiacerà ricordarmi di Elissa finché sarò memore di me stesso e finché il soffio vitale
(spiritus) reggerà queste membra. Sulla questione dirò poche cose. Io non ho sperato di nasconderti
con l'inganno (furto) questa fuga -non figurartelo→ non pensarlo- né mai ho messo avanti fiaccole
(nuziali) o ho stretto questi patti. Se i fati mi permettessero di condurre una vita secondo i miei
auspici e di risolvere gli affanni a mio piacimento, prima di tutto abiterei la città di Troia e le dolci
reliquie dei miei, l'alto tetto di Priamo sarebbe in piedi e costruirei di mia mano una nuova Pergamo
per i vinti. Ma adesso Apollo grigneo e i responsi di Licia mi ordinano di raggiungere l'Italia, questo
è l'amore, questa è la mia patria. Si la rocca di Cartagine e l'aspetto di una città libica attraggono te
fenicia, perché allora impedisci (quae.. invidia est→ quid invides) che noi Teucri ci stabiliamo
nella terra ausonia? E' lecito anche a noi cercare regni stranieri. L'immagine del padre Anchise ogni
volta che la notte copre le terre con le umide ombre, ogni volta che gli astri scintillanti sorgono, mi
ammonisce e mi atterrisce sdegnata nel sonno; mi (ammoniscono) il bambino Ascanio e l'offesa
(sott: che faccio) a una persona cara, io che la privo del regno di Esperia e dei campi fatali→
promessi dal fato. Adesso anche il messaggero degli dèi, mandato da Giove stesso, -lo giuro sulla
testa di entrambi-, mi ha portato, veloce, ordini attraverso il cielo; io stesso ho visto il dio,
splendente nella luce, che entrava nelle mura e ho assorbito con queste orecchie la voce. Smetti di
tormentare sia me che te con le tue lamentele: non inseguo l'Italia di mia volontà”.
vv 360-390
Lei, ostile ormai da tempo (iamdudum), lo guardava mentre diceva tali cose, volgendo gli occhi di
qua e di là, lo squadrava tutto con occhi silenziosi e, accesa, parlò così: “non ti fu madre (parens)
una dea, né fu Dardano il fondatore della (tua) stirpe, o spergiuro, ma ti ha generato il Caucaso, irto
di rocce dure e le tigri ircane ti hanno offerto le mammelle→ ti hanno allattato. Perché fingo o verso
quali cose più gravi (maiora) mi riservo? Ha forse pianto al nostro pianto? Ha forse abbassato gli
occhi? Ha forse dato→ versato lacrime, vinto, o ha forse avuto compassione di chi lo ama/amante?
A quali cose io potrei preferire queste? Ormai né la grandissima Giunone né il padre Saturno
guardano queste cose con occhi giusti. La fedeltà non è sicura in nessun luogo. Ho accolto lui
buttato fuori dal mare→ naufrago, lui povero e, pazza, l'ho posto in parte del regno→ l'ho messo a
parte del regno. Salvai dalla morte la flotta distrutta e i compagni. Infiammata, sono trascinata dal
furore! Adesso l'augure Apollo, adesso le sorti licie, adesso anche il messaggero degli dèi mandato
da Giove stesso porta orribili ordini attraverso il cielo. Davvero gli dèi (superis) hanno questa fatica,
questo affanno disturba loro quieti. Non ti trattengo né ribatto alle tue parole: vai, insegui l'Italia con
i venti, cerca regni attraverso le onde; spero davvero, se gli dèi giusti possono in qualcosa→ hanno
qualche potere, che tu berrai la pena→ affogherai in mezzo agli scogli e che invocherai spesso il
nome Didone. Seppur lontana (absens, concessivo) ti seguirò con neri fuochi e, quando la fredda
morte avrà separato le membra dall'anima, sarò presente in tutti i luoghi come un'ombra. Miserabile,
sconterai la pena (dabis poenas); lo saprò e questa notizia mi giungerà nelle ombre profonde (manes
sub imos)”. Con queste parole si interruppe nel mezzo del discorso e, sofferente, fugge l'aura→
luce, distoglie e sottrae se stessa dagli occhi (di lui), lasciandolo mentre esitava molto (multa, avv)
per la paura e mentre era pronto a dire molte cose (multa, ogg). Le ancelle la raccolgono, riportano
le membra collassate sul letto marmoreo e la adagiano sulle coperte.
vv 390-405
Ma il pio Enea, sebbene desiderasse lenire/calmare lei addolorata consolandola e allontanare gli
affanni con le parole, gemendo molto e vacillando (labefactus) nell'animo per il grande amore,
tuttavia seguì gli ordini degli dèi e revisionò la flotta. Allora i Teucri si danno da fare (incumbunt) e
trascinano le alte navi per tutta la spiaggia. La chiglia unta (sott: di pece) galleggia e portano dai
boschi remi pieni di fronde e rami non lavorati per la voglia della fuga/partenza. Li avresti visti che
si muovevano e si precipitavano da tutta la città come quando le formiche saccheggiano un grande
mucchio di grano, memori dell'inverno, e lo portano alla tana (tecto): la nera schiera va per i campi
e trasporta fra l'erba