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COMMENTO L'INIZIO DEL POEMA
Nelle ottave iniziali del poema l'autore propone anzitutto la "protasi", l'enunciazione della materia epica con anticipazione della vittoriosa conclusione della Crociata e la presentazione del "capitano" Goffredo, poi invoca la Musa che è da intendersi come personificazione dell'ispirazione divina e alla quale giustifica la scelta artistica di inserire intermezzi romanzeschi nella trama propriamente storica, per allettare il pubblico e divulgare la materia dell'opera. Non manca l'elemento encomiastico, con la dedica del poema ad Alfonso II d'Este che, auspica Tasso, potrà assumere il comando di una nuova, futura Crociata per liberare il Santo Sepolcro. La prima ottava corrisponde alla "protasi", ovvero l'enunciazione del tema affrontato nel poema, e il primo verso rappresenta una voluta imitazione di quello iniziale dell'Eneide (Arma virumque cano Troiaeque qui primus ab oris) con...
La presentazione dell'eroe al centro dell'opera, il "capitano" Goffredo di Buglione le cui "arme" sono "pietose" in quanto devote alla fede cristiana e alla guerra santa della Crociata, anche qui con ripresa dell'aggettivo pius attribuito ad Enea che era sottomesso alla volontà del fato. L'impresa compiuta da Goffredo è celebrata come "glorioso acquisto", dal momento che il condottiero ha riconquistato il "gran sepolcro" di Cristo (gli aggettivi sottolineano la grandezza dell'opera militare) ed egli ha operato con saggezza e con ardimento militare, soffrendo molto nel fare fino in fondo il proprio dovere. Goffredo è dunque presentato sin dall'inizio come guerriero perfetto, non soggetto al turbamento delle passioni che invece svieranno i suoi "compagni erranti" dalla centralità della loro missione, e infatti a lui spetterà il compito di riportarli sotto le insegne dei Crociati.
Anticipando uno dei temi fondamentali del poema e cioè il contrasto fra dovere e allettamento dei sensi, tra guerra e amore. Viene anche prefigurato l'intervento del soprannaturale nelle vicende militari, poiché il Cielo ha dato il suo favore all'impresa di Goffredo e ha vanificato il tentativo delle forze infernali di opporsi all'inevitabile caduta di Gerusalemme, così come vana sarà l'unione tra l'esercito musulmano di Terrasanta e quello proveniente dall'Egitto (dalla "Libia", intesa genericamente come il Nordafrica), per cui si può dire che l'ottava proemiale riassume in modo sintetico tutti gli aspetti fondamentali del poema, così come l'ultima avrà ancora protagonista Goffredo, che "vince" ed entra in Gerusalemme adorando il "gran Sepolcro" (l'inizio e la fine dell'opera si rimandano con un riferimento "circolare"). Nell'invocazione alla Musa (ott.
2-3) Tasso intende rivolgersi all'ispirazione divina e il poeta chiarisce subito che non si tratta della divinità pagana, che è incoronata sul monte Elicona di allori destinati a sfiorire perché legati a una poesia mortale, bensì di una Musa celeste che ha una corona dorata di stelle e risiede in paradiso, quindi l'autore dovrà essere assistito direttamente da Dio nel comporre un'opera di profondo significato religioso, molto diversa dai poemi di intrattenimento dell'epica cavalleresca. Tasso giustifica anche la scelta di mescolare vero e invenzione romanzesca (i "fregi" con i quali abbellisce il vero storico), poiché i lettori si rivolgono più volentieri a un'opera con elementi piacevoli e attrattivi e in tal modo egli potrà più facilmente trasmettere il messaggio religioso ed edificante del poema, che costituisce la più interessante novità letteraria rispetto alla tradizione epica precedente.
L'autore ricorre alla similitudine del bambino malato che deve bere un'amara medicina e che viene ingannato facendolo bere da un "vaso" i cui bordi siano stati cosparsi con "soavi licor", poiché da questo inganno egli riceve la guarigione e la vita: fuor di metafora i "succhi amari" sono gli insegnamenti morali dell'opera, mentre le sostanze dolci sono appunto i "diletti" poetici inseriti nella materia propriamente epica, ovvero gli intermezzi idillici che apparentemente potevano stonare in un poema dedicato a un'impresa santa come la Crociata che aveva portato alla riconquista di Gerusalemme. Tasso trae la similitudine da Lucrezio (De rerum natura, I.936-942), che usa un'immagine molto simile per giustificare anch'egli la scelta di affrontare la materia filosofica dell'epicureismo musaeo dulci... melle ("col dolce miele proprio delle Muse"), onde evitare che il volgo, restio al linguaggio del sapere, se neallontani come disgustato. Le ott. 4-5 anticipano il motivo encomiastico al centro del poema, dedicato ad Alfonso II d'Este (all'epoca protettore di Tasso e signore di Ferrara) che viene ringraziato dal poeta in quanto lo ha generosamente accolto nella propria corte, lui che era "peregrino errante" in quanto privo di una patria, esule come il padre Bernardo che aveva seguito nell'infanzia: l'autore usa la consueta metafora del viaggio in mare, che per lui è stato difficile perché fiaccato dal fortunale (un vento tempestoso) e rischiava di venire inghiottito dalle onde, finché Alfonso lo ha sottratto alla burrasca e lo ha condotto in porto, dal momento che gli anni della composizione del poema a Ferrara furono in effetti i più sereni nella vita personale di Tasso. Il poeta auspica addirittura che Alfonso possa assumere il comando di un'ipotetica futura Crociata volta a riconquistare la Terrasanta, per cui il signore di Ferrara viene.chiamato "emulo di Goffredo" e a lui il poema è offerto come un "voto", come un dono consacrato per il suo contenuto religioso. Il tema encomiastico verrà sviluppato soprattutto con il personaggio di Rinaldo, leggendario capostipite degli Este e figura analoga al Ruggiero del Furioso, specie nel canto XVII in cui il mago di Ascalona farà la rassegna degli illustri antenati del guerriero e profetizzerà la venuta di Alfonso, "primo in virtù ma in titolo secondo". Nella Conquistata la celebrazione degli Este ovviamente verrà meno, in seguito alla prigionia di Tasso nell'ospedale di Sant'Anna e alla rottura dei rapporti con Alfonso, e il secondo poema sarà dedicato al cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote del papa Clemente VIII e protettore del poeta negli ultimi anni. L'accenno al "buon popol di Cristo" per cui Tasso auspica una pacificazione interna, necessaria premessa a una successiva Crociata in Terrasanta,
rimanda alla rottura dell'unità del mondo cristiano in seguito alla Riforma e chiarisce fin dall'inizio che la lotta contro gli "infedeli" musulmani nasconde in controluce quella contro gli scismatici e i predicatori che avevano sconvolto l'assetto religioso dell'Europa del XVI sec., contro i quali da più parti si invocava una "crociata" per estirpare la loro eresia. COMMENTO CONCILIO INFERNALE (IV) Il canto IV si apre con l'orrendo concilio dei demoni evocati da Plutone-Lucifero nell'inferno, preoccupato della piega che stanno prendendo gli eventi e smanioso di porre ostacoli sulla strada dei Crociati, onde ritardare l'inevitabile caduta di Gerusalemme già decisa dal fato: Tasso riecheggia luoghi della poesia classica e di Dante per descrivere la riunione di mostri e diavoli, i quali vengono incitati dal loro re a seminare divisioni e zizzania tra i nemici cristiani, anche utilizzando le lusinghe tentatrici dellaBellezza femminile e della seduzione (infatti nelle ottave successive entrerà in scena l'affascinante maga Armida, pronta a irretire con le sue arti i guerrieri crociati). L'episodio rappresenta il primo momento del poema in cui Tasso introduce l'elemento "demoniaco", descrivendo l'orribile concilio dei diavoli chiamati a raccolta da Plutone-Lucifero per opporsi alla presa di Gerusalemme seminando discordie tra i guerrieri cristiani: il passo costituisce una sorta di parodia e ribaltamento del concilium deorum tipico dell'epica classica e vuole indicare in modo grottesco l'appoggio dei demoni all'azione dei seguaci dell'Islam, in maniera conforme alla rappresentazione negativa e distorta della religione musulmana da parte di Tasso e di vari testi dell'età della Controriforma. Infatti Lucifero si rammarica sia della sconfitta subita all'epoca della sua ribellione contro Dio, sia soprattutto della Crociata che rischia di.estirpare la fede "pagana" in Asia e di diffondere ulteriormente il culto cristiano, spargendo a terra gli "idoli" demoniaci e sottraendo all'inferno il consueto "tributo" di anime dannate. Sono evidenti in questo discorso gli stereotipi diffusi in Occidente sulla fede islamica di cui si sapeva poco, col dire ad es. che i musulmani sono pagani che adorano idoli e che sono dediti a pratiche magiche collegate al culto dei diavoli, delineando uno scontro di civiltà che adombra anche quello tutto interno al mondo cristiano tra cattolici e luterani nell'Europa della Riforma protestante. La descrizione degli "infedeli" come pagani idolatri e blasfemi rispetto alla fede cristiana era già evidente nell'episodio di Olindo e Sofronia del canto II, in cui il mago Ismeno sottrae un'immagine sacra della Vergine per compiere un rito magico che danneggerà i Crociati. La descrizione del concilio infernale riecheggia quella
Dell'Ade pagano nell'Eneide, specie nellibro VI in cui Enea scende negli Inferi accompagnato dalla Sibilla: la "tartarea tromba" (3.2) ricorda Aen., VI.513-515, mentre l'elenco dei mostri pagani all'ott. 5 è una ripresa di Aen., VI.286-289, con un "crescendo" sottolineato dall'anafora di "e" nonché dalla ripetizione del verbo all'infinito ("fischiar / vomitar"). Numerosi anche i rimandi all'Inferno dantesco, a cominciare dal v. 1.6 che ricorda Inf., XXXIII.58 ("ambo le mani per dolor mi morsi"), mentre "fuor volando a riveder le stelle" (18.3) è un'evidente ripresa di Inf., XXXIV.139. Lucifero è definito anche classicamente Plutone e si presenta come avversario irriducibile di Cristo, il quale è sceso all'inferno dopo essere risorto per abbatterne le porte e trarne le anime dei patriarchi biblici destinati al paradiso.