Anteprima
Vedrai una selezione di 1 pagina su 5
Letteratura italiana - Controriforma e Torquato Tasso Pag. 1
1 su 5
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

TORIA DELLA ETTERATURA TALIANA

L’età della Controriforma

L’epoca che va dal 1559 al 1690 è caratterizzata dalle società di Antico regime, cioè

di meccanismi repressivi duri e violenti che si richiamano a valori gerarchici indiscu-

tibili. Per lo strapotere aristocratico si avvia un processo medievale di rifeudalizza-

zione e di tripartizione sociale in nobiltà, clero e borghesia. La Francia è la potenza

principale dalla metà del Seicento fino al 1715 con il re Sole (Luigi XIV). L’Italia in-

vece è definitivamente soggiogata dalla Spagna con il trattato di Chateau-Chambrésis

del 1559: le condizioni della popolazione versano in condizioni miserabili data

l’eccessiva pressione fiscale e l’interruzione di produzione della nobiltà (al riguardo è

da ricordare la rivolta antispagnola di Masaniello del 1647). Proprio perché la Rifor-

ma protestante ha mostrato la possibilità di altre forme di organizzazione, è spietata la

lotta all’eresia e il potere cattolico è dominante: è il periodo della Controriforma, in

cui se da un lato aumentano l’austerità e i controlli contro la corruzione del mondo

ecclesiastico, dall’altro lato aumenta anche l’egemonia su ogni forma di vita (e

l’Inquisizione riprende i suoi processi a partire da metà Cinquecento). Ma siamo lon-

tani dalla teocrazia medievale: la chiesa infatti è costretta a servirsi di tutte le tecniche

della società moderna per estirpare la superstizione e relegare nell’ambito del demo-

nico tutto quanto le è di fastidio. L’educazione gesuitica ricopre infatti un ruolo va-

stissimo nel formare le giovani menti al dogma teologico privo di residui folcloristici

e nel censurare tutto quanto possa essere fonte di pericolo (è instaurato l’Indice dei

libri proibiti, anche se la stampa consentiva tecniche molteplici per aggirare la censu-

ra, e tanti testi circolarono in modo clandestino). Dunque l’operazione della chiesa fu

quella di una vera e propria politica culturale religiosa.

La cultura laica trovava ancora alimento nelle corti, anche se e per l’assolutismo dei

principi e per il controllo ecclesiastico, fu difficile sviluppare forme di mecenatismo

come quello rinascimentale. Molti letterati infatti si spostano da una corte all’altra, al-

tri invece si riuniscono in accademie dal potere limitato, altri ancora si dedicano ad

attività amministrative mentre sorge la nuova figura dello scrittore-avventuriero,

dunque del girovago tra guerre, intrighi e viaggi. E’ anche nuova la figura del liberti-

no, cioè di chi dichiara la propria miscredenza verso tutte le forme di verità rivelata e

tende all’ateismo. Fuori dagli schemi vige comunque una cultura di opposizione che

tende alla ricerca e al progresso proprio in contrasto con le pesanti limitazioni impo-

ste dalla chiesa: se soprattutto fuori Italia hanno modo di esprimere il proprio ingegno

personaggi come Montaigne, Cartesio e Spinoza, in Italia ci furono figure del calibro

di Campanella, Galilei e Bruno. Centro culturale laico è Venezia, che per la sua natu-

ra repubblicana si pone quasi in contrasto con Roma, mentre a Napoli la cultura resta

appannaggio della nobiltà.

La politica non è più partecipazione collettiva quanto piuttosto ambito tecnico e ap-

pannaggio di pochi burocrati e reggenti. Il termine machiavellismo viene utilizzato

spesso per legittimare la ragione di stato secondo cui il fine giustifica i mezzi: le fu-

ghe più tipiche da questa visione totalizzante del mondo vengono a concretizzarsi

nelle varie utopie, di cui La città del sole di Campanella è un tipico esempio. Un at-

teggiamento di opposizione e assieme di interesse per la ragion di stato è quello di

Traiano Boccalini, avverso al potere ecclesiastico e a qualsiasi forma di sistemizza-

zione astratta: vicino alla repubblica veneziana vede nelle lettere un ottimo strumento

di reazione allo strapotere assolutistico. Sua opera principale è I ragguagli di Parna-

so, in due centurie, articoli inviati sulla terra dal celebre regno di Apollo in cui si di-

scute di avvenimenti del luogo e delle reazioni dei suoi abitanti all’attualità contem-

poranea. Questa soluzione permette a Boccalini di affrontare molti temi scottanti, o-

scillando dalla polemica aspra all’ironia mascherata (che serve per aggirare la censu-

ra).

La storiografia di questo periodo trova il più grande interprete nel chierico antispa-

gnolo Paolo Sarpi. Vissuto a Roma tra gli intrighi della corte pontificia, ritorna nella

nativa Venezia accostandosi alla riforma protestante: qui lavora soprattutto come

consulente in questioni di diritto ecclesiastico e quando Paolo V lancia il suo interdet-

to di celebrare funzioni religiose, Sarpi occupa un primo posto nella battaglia antipa-

pale. Colpito dalla vendetta della chiesa e deluso dalle effettive possibilità di una ri-

forma, compose la Istoria del concilio tridentino: quest’opera si riallaccia agli scritti

di Machiavelli e Guicciardini, anche se è più fornita di mezzi tecnico-giuridici. La

sua esperienza lo convinse dell’impossibilità di battere la Chiesa se non da un punto

di vista politico ed istituzionale. L’opera in otto libri parte dal papato di Leone X, si

sposta sulle prime reazioni della chiesa alla riforma luterana e poi segue più da vicino

gli eventi propri del Concilio di Trento (1545-63): servendosi di documenti, la sua è

la prima opera che ricostruisce e analizza una materia essenzialmente giuridica, piut-

tosto che grandi avvenimenti esteriori e militari. Sarpi segue con la sua prosa il falli-

mento dell’operare umano, il vano agitarsi di ecclesiastici per riformare una struttura

marcia al suo interno: la sua tendenziosità conferisce all’opera un carattere drammati-

co notevole.

Torquato Tasso: vita e opere minori

Tasso si forma nell’ambito della cultura ferrarese che risente dell’eredità di Ariosto,

volta a suscitare piacere e interesse letterario nella nobiltà. Sotto i duchi Ercole II e

Alfonso II Ferrara diverrà il primo centro di produzione edonistica. Tasso nasce a

Sorrento l’11 marzo 1544 da genitori nobili: il padre Bernardo soleva peregrinare per

le corti italiane in qualità di poeta gentiluomo, mentre la famiglia si spostava prima a

Salerno e poi a Napoli, dove studierà presso i gesuiti. In seguito alla morte della ma-

dre, Torquato sarà chiamato dal padre prima a Roma, poi a Urbino presso Guidubaldo

della Rovere, infine a Venezia dove inizierà la stesura dell’abozzo Gierusalemme

mentre Bernardo completava il suo Amadigi. Importanti nella formazione tassiana fu-

rono i rapporti con Sperone Speroni e l’Accademia degli Infiammati, dopo la cui fre-

quentazione redasse il poema cavalleresco Rinaldo, sulle orme paterne. Nel 1565 en-

trò come cortigiano alla corte del cardinale Luigi d’Este e si gettò a capofitto nella vi-

ta nobiliare facendosi apprezzare per la sua cultura ed eleganza: ma nel 1569 morì il

padre e Torquato si dedicò a numerosi viaggi tra cui uno in Francia dove conobbe

Ronsard. Tra l’altro scriverà nel ’75 l’Aminta, Galealto re di Norvegia (divenuto più

tardi il Re Torrismondo) e l’ultima stesura del suo capolavoro. Ma proprio questa de-

creterà la rottura della già fragile psiche, rendendo il poeta insoddisfatto del suo capo-

lavoro, succube di ansie e insicurezze religiose. Sottopose a molti amici la revisione

del poema, e visse oscillando tra manie di persecuzione e desiderio di punizione fino

al 1577, data in cui si autoaccusò al tribunale dell’Inquisizione. Dopo essere stato as-

solto vagò per l’Italia incontrando a Sorrento la sorella Cornelia, poi ritornando a Fer-

rara dove il duca lo fece internare come pazzo nell’ospedale di Sant’Anna in seguito

a un litigio. I quattordici mesi iniziali furono di prigionia forzata, poi poté riprendere

a scrivere pur nelle continue allucinazioni: e il colpo più duro gli fu inferto dalla pub-

blicazione senza autorizzazione della Gerusalemme liberata, che ebbe comunque un

grosso successo. Liberato dall’internamento nel 1586, visse tra Roma e Napoli e si

concentrò soprattutto nel rifacimento del poema sotto il titolo di Gerusalemme con-

quistata. Le ultime opere sono Le sette giornate del mondo creato e l’esaltazione del-

la vita monastica de Il Monte Oliveto, dopodiché Tasso morì nel 1595 presso il con-

vento Sant’Onofrio sul Gianicolo. Se Tasso visse una simbiosi con la sua attività let-

teraria, ebbe anche una grande smania di successo: diversamente da Dante, Petrarca e

Ariosto, egli vede la corte come il valore supremo, pur accorgendosi che

un’identificazione e una gratificazione complessiva in quel mondo sono impossibili.

Ecco allora il senso di insoddisfazione e le sue lacerazioni dovute alla mancanza di

una vera patria e di una famiglia. Anche il rapporto con l’autorità è ambiguo: se da un

lato cerca di uniformarvisi in modo filiale, dall’altro lato sente il proprio valore come

irriducibile a sottomissione.

Le Rime e prose sono l’espressione della volontà di partecipare alla vita cortigiana

secondo i modelli petrarchisti: la piacevolezza, la gravità del linguaggio e la messa a

punto dello stile seguono direzioni molteplici, senza avere un unico tema. Proprio

l’allontanamento dal petrarchismo classico è evidente nell’avvicinare poesia a musica

(con i madrigali) e nel raggiungere inediti effetti fonici: ne emergono figure femmini-

li cariche di una naturalezza sensuale, scenari notturni lunari e sontuosi. Altri tipi di

rime sono quelle encomiastiche, modulate su forme classiche desunte da Pindaro e

Orazio: a volte si introducono accenti autobiografici come in Al Metauro. Le ultime

rime sono quelle religiose in toni plumbei e monotoni.

Con l’Aminta Tasso sintetizza il mondo pastorale con quello tradizionale dei pastori

e l’Arcadia sannazaresca diventa espressione propria della vita di corte. Se da un lato

si esprime una vita pura, semplice e di evasione dalla prigione cortigiana, dall’altra

l’Aminta sembra proprio voler sottolineare gli aspetti più frivoli di quel mondo. I per-

sonaggi sono incarnazioni di figure della corte ferrarese e Tirsi altro non è che

l’autore: sazio di gioie e piaceri è dominato da una segreta insoddisfazione. Il pastore

Aminta ama la bella ninfa Silvia che fugge da lui preferendo dedicarsi alla caccia: in-

tervengono Dafne e Tirsi a far riavvicinare i due, quasi volendo trasformare in spetta-

colo tutte le loro azioni. Dopo una doppia finta morte i due possono vivere felicemen-

te il loro amore: la vicenda sfiora e supera la tragedia proprio p

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher canerabbioso di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Colaiacomo Claudio.