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FILIPPO TOMMASO MARINETTI
Ricerca del pensiero di F.T.Marinetti relativo
alla sua ideologia bellicista
attraverso l'analisi degli episodi più interessanti
in ambito guerresco.
L'idea della guerra come opportunità e rigenerazione non è un'invenzione marinettiana, basta volgere lo sguardo
alla storia occidentale a partire dalla rivoluzione francese per capire quanto evoluzione e violenza siano state
collegate. Lo stesso concetto della violenza come levatrice della storia è in Marx prima che in Sorel.
Ma riguardo 18
al pensiero marinettiano bellicista si deve parlare di «Italianismo». L'italianismo di Marinetti aveva
le radici più profonde nel «genio creatore» del «sangue italiano», nelle sue capacità e qualità futuristiche di
rinnovarsi e di rinnovare il mondo.
Essere nazionalisti o «italianisti», nel primo decennio del Novecento, portava con sé l'idea della guerra. All'inizio
del secolo, sulle pagine di Leonardo, una delle tante riviste nate come nuove aggregazioni di impegno e
protagonismo politico, la guerra viene esaltata in quanto tale: una strage inevitabile e appassionante, una
celebrazione dell'estetica e una purificazione dalla volgarità della gente comune. Si invoca il momento in cui tutto
il « puzzo di acido fenico, di grasso e di fumo, di sudor popolare », esalato dalle « società borghesi e collettivistiche della
democrazia», verrà cancellato dalla gloria che attende la nazione. Dieci anni dopo, questi concetti non sono più
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limitati alla diffusione modesta delle riviste colte né ai futuristi. Vengono declamati in teatri affollati, in serate
che finiscono tra scazzottate e risse selvagge, sono diffusi con manifesti e cartelloni pubblicitari, come un
prodotto di consumo.
Al centro dell'atteggiamento verso la vita di Marinetti non c'è la guerra ma la lotta, manifestazione vitale
dell'individuo e della collettività, fonte di ispirazione estetica e di vita. Se la società borghese ingloba e inibisce
ogni spirito libero, la guerra scatena l'energia repressa.
« Noi andiamo alla guerra danzando e cantando » proclama Marinetti nelle serate futuriste, cantore dell'esperienza
grandiosa che manca alla generazione di giovani tramortiti dalla quiete e dalla mediocrità della pace. La
sovversione, grazie al conflitto imminente, è a portata di mano: che scompaia « l'immonda genia dei pacifisti »,
trascinando nel baratro tradizioni e paure.
Per Marinetti la guerra è davvero un teatro gigantesco, una scena dove si recita lo spettacolo dei sensi, si
moltiplica il progresso tecnico, che diventa high-tech grazie a armi prorompenti e artisticamente più belle di un
inutile rudere archeologico. La politica non conta, le giustificazioni ideologiche vanno lasciate ai politici. La
guerra è bella in quanto tale, eruzione di un organismo che torna a essere sano, « sublime passione del pericolo»,
godimento dell'esistenza, prova d'energia, apoteosi del «vivere pericolosamente». «Marciare, non marcire» recita uno
dei suoi slogan più noti. Ebbene la marcia è un simbolo dell'euforia vitalistica recuperata dai soldati, che
potranno mostrare il loro ardimento come in una contesa sportiva, come in un esercizio ludico.
Un passo in avanti nella definizione di un raccordo tra futurismo e massimalismo si precisa con la collaborazione
dei futuristi a “La Demolizione” edita dal 1907, prima a Nizza, poi a Milano, forse assistita dal sostegno finanziario
di Marinetti.
Da questa tribuna Marinetti si rivolge direttamente alla classe operaia con l'appello “I nostri nemici comuni”, in cui
propone la formazione di un fronte unico che comprenda i «sindacalisti tutti, delle braccia e del pensiero, della
vita e dell'arte, distruttori e creatori insieme, anarchici della realtà e dell'ideale. « State pur certi, o fratelli, che il
manifesto del Futurismo è dettato per una sola immensa falange di anime: quella dei forti e degli sfruttati ».
La soluzione contro i nemici comuni indicati nel titolo consiste nel risveglio d'un eroismo guerriero interclassista
che si ricolleghi agli ideali risorgimentali:
« Vogliamo una Patria, vogliamo una grande e forte Patria. Ebbene? Non sognate voi, istintivamente, di tenere un'arma in pugno,
quando meglio vi sentite accesi dal vostro ideale? Nessuno fra voi sente di essere il soldato di una battaglia che si avvicina? Siete
proprio sicuri che i vostri figli non vi rimprovereranno un giorno di averli allevati al disuso ed al disprezzo della più grande fra le
Estetiche: quella dei battaglioni frenetici armati fino ai denti?
Io vi dico che la guerra, qualunque sia, si fa con le armi, e che tutti i nemici sono alle porte, che tutti gli entusiasmi sono necessari, che
tutti gli eroismi s'impongono, in queste ore di enorme tumulto psicologico e di attesa guerresca disperata. Siamo tutti degl'inquieti, e,
forse, dei vili spaventosi. Abbiamo bisogno di convertire molto odio accumulato in molto amore, in molto eroismo ».
Nel pensiero marinettiano si delinea una geografia ideale dalle coordinate culturali precise e punteggiata da alcuni
luoghi emblematici, a cominciare da Trieste, la «rossa polveriera» del risentimento antiaustriaco, con cui il
discorso marinettiano si riallaccia agli ideali risorgimentali nell'esplicita avversione al patto della Triplice Alleanza,
che vincola l'Italia ad Austria e Germania. Il senso di continuità con le battaglie del patriottismo ottocentesco si
configura soprattutto con il recupero del pensiero di Mazzini, la cui visione della «giovane Italia» viene rilanciata
dal poeta futurista nel proporre il mito della giovinezza, intesa come portatrice di valori autentici (generosità,
slancio, coraggio, disinteresse ecc.); ma anche nel tradurre il concetto mazziniano di pensiero-azione in quello di
arte-azione. La missione civilizzatrice e moderna che Marinetti attribuisce all'Italia viene mutuata dal pensiero
risorgimentale e romantico. L'attivismo dei giovani carbonari e garibaldini che cercarono di scuotere dal torpore
le masse italiane costituisce il modello d'avanguardia volontarista che Marinetti formula, riprendendo da quel
clima alcuni strumenti di lotta (volantini, proclami, appelli, spedizioni) e perfino l'uso del teatro come luogo di
propaganda politica.
Marinetti impara a considerare che l'arte può trasformare la realtà fino ad essere l'anima d'una cultura davvero
nazionale e popolare, per questo trasforma le prime serate futuriste, quella al Politeama Rossetti di Trieste, con
gli austriaci presenti in sala, l'altra al Lirico di Milano, in manifestazioni antiasburgiche.
Nella stessa idea di un'Italia da conquistare con mirabolanti battaglie di serate futuriste non solo al nord ma
anche nelle regioni meridionali si riverbera infatti il mito dell'impresa dei Mille. E una visione non priva di un
certo fanatismo; Marinetti ricorda a questo proposito che i futuristi sono i «mistici dell'azione», ricorrendo a una
formula che può richiamare la guerra santa dell'islam, ma anche pegno totale, fisico e religioso, del crociato.
In questo contesto Marinetti parla alla Borsa del Lavoro di Napoli (10 giugno 1910) sul tema Bellezza e necessità
della violenza, che fin dal titolo riecheggia le riflessioni soreliane, ma in un'ottica che implica l'estetizzazione della
politica: la violenza infatti è non solo necessaria, ma fonte di bellezza.
Nel testo sono sviluppate le tesi del precedente manifesto sul contributo che gli operai possono arrecare
all'affermazione della violenza quale forza di progresso. Innanzitutto viene sancita la complementarità tra
rivoluzione proletaria e guerra patriottica. Dice infatti Marinetti che l'« ltalia dovrà sempre più attirare in sé il doppio
fervore di una possibile rivoluzione proletaria e di una possibilissima guerra patriottica. Bisogna che ogni italiano concepisca sempre
più il fondersi di queste due idee: rivoluzione e guerra »:
« La violenza non è forse la gioventù di un popolo? L'ordine, il pacifismo, la moderazione, lo spirito diplomatico e riformista non ne
sono forse l'arteriosclerosi, la vecchiaia e la morte? È solamente con la violenza che si può ricondurre l'idea di giustizia, ormai
sciupata, non a quella fatale, che consiste nel diritto del più forte, ma a quella sana ed igienica che consiste nel diritto del più
coraggioso e del piü disinteressato, cioè dell'eroismo ».
Ma, proprio per le sue idee belliciste e nazionaliste Marinetti durante le conferenze finisce per incontrare
l'opposizione critica degli operai, che pure si esaltano sentendolo parlare con toni incendiari. Rispondendo alle
critiche, il capo futurista spiega che patriottismo e ribellismo
sono espressioni diverse dell'istinto e del coraggio che possono coesistere in uno stesso popolo:
« Il nostro manifesto esalta, inoltre, il gesto distruttore dei libertari, e molti credono dl buon gioco domandandoci come questo gesto
possa conciliarsi col patriottismo che noi ugualmente esaltiamo. Senza perderci in lunghe dissertazioni, fastidiose e più filosofiche, ci
limitiamo a far considerare anzitutto che la collettività e l'individuo (entità apparentemente contraddittorie) si compenetrano
intimamente.
Lo sviluppo della collettività non è infatti che il risultato degli sforzi e delle iniziative particolari. È perciò che la prosperità di una
nazione è prodotta dall'antagonismo e dall'emulazione dei molteplici organismi che compongono la nazione stessa. Così, la
concorrenza industriale e militare che si stabilisce fra i popoli è un elemento al progresso dell'umanità. Una nazione forte può
contenere ad un tempo dei reggimenti ebbri di un patriottico entusiasmo e dei refrattari ansiosi di ribellarsi! Sono, queste, due
differenti canalizzazioni dello stesso istinto di coraggio, di potenza e di energia.
Ci si osserva, infine, che v'è una flagrante contraddizione fra il nostro ideale futurista e il nostro elogio della guerra, la quale
costituirebbe piuttosto un regresso verso le epoche barbare. Noi rispondiamo che alte questioni di salute e d'igiene morale debbono
necessariamente essere risolte prima di qualsiasi altra. La vita della nazione non è forse simile a quella dell'individuo, che combatte le
infezioni e le pletore per mezzo della doccia e del salasso? Anche i popoli, affermiamo noi, devono seguire una costante igiene di
eroismo, e concedersi, ad ogni decennio, una gloriosa doccia di sangue ».
La consonanza tra futurismo e sindacalismo soreliano ruota principalmente attorno al mito dell'azione e della
violenza. Una delle matrici pri