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La terapia genica è una disciplina che si basa in-
all’interno di una cellula bersaglio per correggere un errore innato del meta-
trodotto tramite vettore)
bolismo (per malattie monogeniche di tipo ereditario tramite aggiunta di wild-type), per fornire una nuova
funzione cellulare o per neutralizzare un prodotto espresso dalla cellula.
La terapia cellulare si avvale di uso di cellule come le staminali embrionali e adulte. In questo tipo di terapia
le cellule sono trattate e modificate in vitro.
Quando si potenzia una funzione cellulare tramite terapia genica si parla di terapia additiva, quando si neu-
tralizza un prodotto espresso dalla cellula tramite terapia genica si parla di terapia ablativa.
Con l’utilizzo della terapia genica di cellule germinali si ha un intervento diretto al patrimonio genetico
delle cellule germinali dell’individuo, quindi le modificazioni possono essere trasmesse alla progenie. Que-
sto tipo di terapia genica non sarà approvato nel futuro.
Con l’utilizzo della terapia genica di cellule somatiche vengono introdotti geni funzionanti in cellule so-
matiche che ne contengono una versione difettosa ossia non funzionale. Gli effetti di questa terapia restano
limitati alla persona che sta ricevendo il trattamento e non verranno trasmessi ai discendenti. Gli sforzi più
intensi in questo tipo di terapia si sono incentrati sulla correzione di condizioni causate da mutazioni di singoli
geni come fibrosi cistica, talassemia, emofilia. Attualmente la terapia genica cura malattie multifattoriali come
il Parkinson, il cancro dove si deve correggere non solo un gene ma anche altri elementi.
La terapia genica comporta una complessa serie di applicazioni basata su nuove tecnologie. Per la costruzione
di un vettore funzionante bisogna infatti avvalersi di:
Biologia molecolare: per la costruzione, il clonaggio e la ricombinazione
per l’infezione delle cellule con il virus
Biologia cellulare:
Farmacologia: per la comprensione degli effetti di un infezione sulle cellule
Inoltre sono comunque compresi la clinica medica e l’interazione con il paziente.
Un vettore, per essere funzionante, deve entrare selettivamente nelle cellule cancerogene.
Per poter fare terapia genica bisogna avere una completa conoscenza del meccanismo con cui il gene di-
fettoso produce i propri effetti sul paziente, quindi bisogna avere la capacità di sostituirlo con un gene che
funzioni normalmente.
CENNI STORICI deficit dell’ar-
Nel 1970 il primo tentativo di terapia genica da parte di S. Rogers che trattò pazienti affetti da
ginasi con il papilloma virus di Shape (venne usato il virus di coniglio, il virus esprime arginasi): nonostante
fu un intuizione geniale non ebbe successo.
l’ematologo Cline trattò
Nel 1980 cellule midollari di pazienti talassemici con DNA-ricombinante che espri-
β-globulina.
meva il gene della Questo tipo di terapia fu ex-vivo, le cellule venivano espiantate dal paziente
malato, trattate e reimpiantate nel paziente stesso. Gli esperimenti di Cline furono non-autorizzati quindi non
ma ad Israele ed in Italia. L’effetto ottenuto non era duraturo.
lavorò negli Stati Uniti
Nel 1989 Rosemberg trattò pazienti malati terminali di cancro con linfociti TIL (tumor infiltrating lym-
phocyties) trattati con il gene che codificava per la neomicina (un antibiotico). Si tratta di DNA ricombinante.
Se viene marcata una cellula tumorale si potrà seguire il suo spostamento in modo selettivo.
Nel 1990 Blaise ed Anderson usarono un vettore retrovirale causando trasferimento genico in linfociti prele-
vati e ritrapiantati nello stesso paziente affetto da adenosina deaminasi (ADA). I risultati furono negativi, la
strategia utilizzata fu quindi ex vivo.
ci fu l’approvazione di numerosi protocolli
Tra il 1990 ed il 1999 clinici con vettori virali.
Nel 1999 ci fu il primo decesso causato da vettori virali. Ci fu quindi la rivalutazione dei protocolli.
Nel 2002 vennero scoperti problemi con i retrovirus in quanto causavano tumorigenesi nei pazienti trattati.
UN CASO CLINICO
Nel 1999 un paziente affetto da ornitina-transcarbamilasi (OTC) di 18 anni (Jesse Gelsinger) si offrì volon-
ΔE1/E4
tario per il vettore adenovirale (il vettore conteneva gene sano). Il vettore usato fu Ad5 (vettore di
11
seconda generazione), la dose somministrata fu di 6x10 vp/Kg (particelle virali per Kg) tramite arteria epa-
tica (endovenosa). Dopo 12 ore dalla somministrazione ci fu la comparsa di febbre, trombocitopenia (ridu-
zione delle piastrine circolanti), innalzamento dei valori di IL6 e IL10. Dopo 18 ore dalla somministrazione
si notò uno stato mentale alterato, SIRS (systemic infiammatory responce syndrome), DIC (disseminated in-
travascular coagulation), multiple organ failure. Dopo 98 ore ci fu la morte del paziente. La risposta alla tos-
sicità acuta del vettore adenovirale è causata dalla reazione alle proteine del capside virale, gli adenovirus
vengono quindi modificati per ridurne la tossicità.
2002: INTEGRAZIONE ADENOVIRALE lato c’è la possibilità di inserire
Nel 2002 sono stati utilizzati retrovirus per la terapia genica: da un stabil-
un’espressione sufficiente a differenza dell’adenovirus,
mente un gene in un cromosoma permettendone
dall’altro c’è il rischio di mutagenesi inserzionale a causa dell’integrazione causale del virus che può attivare
fino a 100kb di distanza favorendo sviluppo di malignità in quanto l’inserimento nella
un proto-oncogene
cellula ospite è random.
L’evoluzione nella terapia genica riguarda anche l’evoluzione nei vettori. Il virus è il wild-type, il vettore
che viene usato si ottiene dal virus ingegnerizzato.
Due bambini malati di leucemia affetti da SCID furono trattati con vettori retrovirali, ma morirono.
TERAPIA CELLULARE
La terapia genica è associata a quella cellulare.
Le preparazioni cellulari somministrate hanno finalità analoghe ai farmaci, le cellule subiscono manipola-
zione mentre le sottopopolazioni cellulari vengono sottoposte a particolari trattamenti come la selezione cel-
l’espansione
lulare e in vitro.
I target sono cellule staminali adattate in vitro e queste cellule vengono usate come farmaco per la cura della
patologia.
Tipi di staminali
Staminali embrionali: hanno un potenziale proliferativo illimitato, per cui sono dette totipotenti, ossia pos-
sono dar luogo a tutte le cellule dell’organismo. Si ottengono dalla blastocisti al quarto giorno. Hanno pro-
blemi etici, in Italia per lavorare con le embrionali si lavora con quelle di topo.
Staminali adulte: derivano da cellule del fegato, ematopoietiche (si differenziano in cellule del sangue), me-
in cellule dell’osso della cartilagine e del muscolo). Le cellule adulte danno luogo
senchimali (si differenziano
solo a particolari tipi cellulari.
I VETTORI
I vettori sono i veicoli per la trasduzione di un transgene mentre le cellule bersaglio sono le cellule in cui
il transgene deve essere introdotto. I vettori possono essere virali e non virali.
I vettori virali sono: retrovirus, adenovirus, lentivirus (derivati da HIV), herpesvirus, virus adenoasso-
ciati (il virus usato è il wild-type, il vettore utilizzato si ottiene dal virus ingegnerizzato). In base al tipo di
applicazione viene usato un vettore diverso.
I vettori non virali sono: plasmidi nudi, elettroporazione in vivo, liposomi.
Le caratteristiche ideali di un vettore devono essere:
Tropismo di espressione (il vettore deve entrare in cellule specifiche)
Durata di espressione (espressione di transgene nel tempo)
Livelli di espressione (quantità di transgene possibilmente controllata ossia quantità di transgene re-
golata. Per espressione duratura a livelli elevati per malattie monogeniche si usa retrovirus. Se si deve
fare rigenerazione tissutale non serve un’espressione duratura si usa quindi adenovirus che non si in-
tegra nel genoma)
Efficacia clinica (test funzionali)
Scarsa tossicità (indici di funzionalità di vari organi, parametri biochimici)
Quindi in terapia genica per malattie monogeniche si usano i retrovirus mentre per la rigenerazione tissu-
tale si usano gli adenovirus.
Il vettore ideale ha tutte le caratteristiche migliori di entrambe le classi (virali e non virali).
La principale difficoltà della terapia genica consiste nelle difficoltà che il vettore ha sia di interagire con la
cellula bersaglio (quindi in questo caso la presenza di una membrana plasmatica) sia per la difficoltà del vet-
tore stesso di raggiungere il sito della cellula bersaglio (un esempio potrebbe essere la presenza della barriera
ematoencefalica).
La durata della trasduzione può essere di due tipi:
l’espressione del transgene è a
Stabile: se lungo termine (usata soprattutto per malattie metaboliche)
se l’espressione è rapida e di
Transiente: breve durata (usata per vaccini a DNA e TG per tumori)
consiste nell’introduzione direttamente nell’organismo del vettore
La terapia genica in vivo sotto forma di
nudo o mediante l’uso di vettori sia virali che non. La terapia genica
plasmide in vivo potrebbe essere svan-
ed inoltre c’è un’ampia dispersione
taggiosa in quanto il paziente viene direttamente a contatto con il vettore
del vettore stesso (la quantità di vettore che raggiunge il fegato è quasi la metà), un vantaggio è rappresentato
dalla riduzione dei costi e della velocità.
consiste nell’espianto delle cellule dall’organismo, l’introduzione nelle cellule
La terapia genica ex-vivo
espiantate del gene di interesse, e nella reintroduzione di queste stesse cellule nell’organismo. Ad esempio se
si dovrà trattare un paziente ustionato si preleveranno cellule da zone non ustionate, si esegue la terapia ex-
vivo e si reimpiantano nella zona ustionata formando un nuovo strato di epidermide. Gli svantaggi rappresen-
tati da questo tipo di terapia consistono nei costi, nel tempo e nelle modificazioni che le cellule possono subire
una volta che sono state espiantate dall’organismo, i vantaggi sono che il paziente non viene a contatto diret-
tamente con il vettore, non c’è dispersione e l’effetto è maggiore.
La patologia maggiormente curata con la terapia genica è il cancro (vengono utilizzate soprattutto le cito-
chine).
FASI FARMACEUTICHE
Fase I
Viene valutato il meccanismo di azione del nuovo farmaco nell’uomo, la sua tossicità e la dose minima tolle-
l’efficacia del farmaco.
rata. Questi parametri non servono a stabilire
Fase II
Viene stabilita l’attività del farmaco, vengono confrontate le dosi e si cercano conferme sulla tollerabilità e
sulla tossicità.
Fase III
Ha una durata di vari anni dove si s