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Teorie e tecniche degli audiovisivi - gli autori trasgressivi nel cinema classico Pag. 1
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I grandi registi del cinema americano

I migliori anni della nostra vita, 1946, L'ereditiera, 1949), ma il suo utilizzatore più noto fu Orson Welles. Un altro esempio è il primo piano lungo (psicologico), molto raro finché non iniziò ad essere usato da Elia Kazan e Nicholas Ray, padri del cinema moderno americano.

John Ford conquistò la sua indipendenza dalla produzione grazie alla straordinaria levatura morale dei suoi lavori, partecipanti a pieno titolo tra i miti di fondazione della civiltà americana. I suoi film avevano come temi più profondi quelli della battaglia per la libertà, l'uguaglianza, la lotta epica contro la natura, contro gli indiani e contro i fuorilegge.

Nel western quindi si andava definendo e confermando l'identità della nazione, rappresentando tutti i grandi snodi e problemi del Nuovo Mondo. In questo senso i western di Ford furono strumenti di unificazione culturale del paese. I suoi eroi, sia personaggi famosi (ad esempio

Il Lincoln di Alba di gloria) sia gli uomini comuni, sono tutti eroi del sacrificio, che fondano il cammino della giustizia attraverso la fatica e la dura lotta. Ma le sue opere non sono mai trionfali, anzi spesso gettano ombre e dubbi su tutta la storia ufficiale, dove i buoni "ufficiali" non sono quasi mai i veri buoni.

Una poetica di così alto livello spianava il campo a qualsiasi trasgressione stilistica, poiché la sua opera era troppo importante per venire censurata o manipolata. Ford sviluppò uno stile personale che non rinnegava il primato dell'azione, però usava alcuni strumenti normalmente sconsigliati, come la profondità di campo, con la quale girava intere scene. Inoltre non amava il primo piano e spesso non li girava volontariamente per evitare le intromissioni dei produttori che volevano aggiungerli in fase di montaggio.

Inoltre nei film appaiono alcune idee legate alla visione di Ford che andavano contro il modo di pensare comune dell'epoca.

Per esempio gli indiani, che nel genere western sono dei semplici nemici della civiltà, per Ford sono a volteamici, anche più affidabili di alcuni bianchi, e in ogni caso nemici valorosi e nobili, che alcuni hanno paragonato ai[4]Troiani dell'IliadeOrson WellesSe Ford riuscì sempre a mantenersi entro il sistema hollywoodiano, Orson Welles, che amava definirsi sua discepolo, venne ne platealmente buttato fuori. Le sue opere furono infatti il primo, clamoroso caso di rottura dell'illusione direaltà, con un ritorno preponderante della componente visiva, che in quegli anni era sacrificata a favore dell'azione e dei dialoghi. Welles creò immagini di straordinaria violenza visiva, distorte, sovrumane, sperimentali, nelle quali si nota l'influenza dell'espressionismo tedesco. Inizialmente Welles era stato accolto ad Hollywood trionfalmente, come ragazzo prodigio, dopo la sensazionale trasmissione radiofonica La guerra dei mondi del 1939.durante la quale finse un attacco alieno alla terra come se fosse vera cronaca. La popolarità improvvisa gli garantì un contratto mai visto ad Hollywood, che consisteva nella totale cartabianca per la realizzazione di un film con la Rko: assoluta libertà e budget illimitato. Nacque così il suo capolavoro e uno dei film più celebrati della storia del cinema, Quarto potere (Citizen Kane, 1941), una profonda riflessione sull'identità dell'uomo moderno, sul potere e sulla ricchezza, oltre che un monumento alle potenzialità spettacolari del cinema. Il film fu un mezzo flop e il successivo film, L'orgoglio degli Amberson (1942), venne realizzato con un budget più limitato. Qui venne per la prima volta sperimentata la profondità di campo sonora, dove i personaggi parlano contemporaneamente rendendo difficile la comprensione, come nella vita reale. Abbandonato dalla Rko fece un ultimo film per la Columbia Pictures (Lasignora di Shanghai, 1948), un incubo dove i personaggi si sbranano tra loro come squali, prima di essere definitivamente bandito da Hollywood, diventando un autore maledetto. In seguito viaggiò per il mondo facendo l'attore, per guadagnare i soldi per autoprodursi i successivi film (Machbeth, 1948, Otello, 1952, Rapporto confidenziale, 1955, e L'infernale Quinlan, 1958, Il processo, 1963), tutti incentrati su storie tenebrose, quasi incubi, con uno stile allucinato che arrivò ad usare talvolta anche obiettivi a 9 mm per distorcere le figure fino a renderle mostruose. Sono considerati il suo testamento gli ultimi film Storia immortale (1967) e F for Fake (1974), nei quali si parla del potere assoluto della finzione e il fascino dell'illusione, in un cinema tutto di attrazioni. Lo stile di Welles fa letteralmente a pezzi le regole del cinema classico e si fa erede delle sperimentazioni dei decenni precedenti, dalle attrazioni di Méliès, alle

inquadrature distorte dell'espressionismo, alle inquadrature dal basso alla Ejzenštejn. Ma il suo cinema resta sempre sia estremamente realistico che esasperatamente allucinatorio. Tipici del suo stile sono la profondità di campo, l'uso di obiettivi grandangolari (18 mm o 9 mm), che allungano lo spazio e deformano i personaggi, la scelta di punti di vista innaturali (come il dolly che sfonda dal soffitto in Quarto potere) e, più in generale, l'aggressione continua dello spettatore da parte delle immagini, che lo stimolano continuamente rendendolo incapace di gustarsi la storia in tranquillità. Con Welles torna propotentemente il cinema delle attrazioni dell'inizio del Novecento, rivisitato ed enfatizzato in chiave poetica. Welles, a differenza dei maestri del cinema classico, fa di tutto per non essere invisibile dietro la macchina da presa, come un illusionista che vuole dimostrare la propria bravura.

Alfred Hitchcock

Alfred Hitchcock fu

l'autore che dimostrò come si potesse stare perfettamente a proprio agio nella macchina industriale di Hollywood, dedicandosi a un genere, il giallo, entro il quale rappresentare una propria visione personale del mondo. La libertà Hitchcock se la guadagnò con il successo, di pubblico e di critica, che ottenevano le sue opere. I suoi film infatti sono pienamente godibili e mostrano anche un alto valore stilistico, che per la prima volta venne riconosciuto da François Truffaut, che scelse "Rebecca, la prima moglie" come esempio di "politica degli autori", dove lo stile è prioritario rispetto al contenuto, alla poetica. Per Hitchcock una delle esperienze più significative che si possono vivere è la paura, sia di essere aggrediti, che di essere puniti (secondo lui la cultura occidentale si basava sul senso di colpa e la repressione degli impulsi aggressivi e sessuali). Un aneddoto raccontato allo stesso Truffaut riguardava il

Giovanissimo Hitchcock che da piccolo era stato fatto rinchiudere, tramite un amico poliziotto del padre, una notte in prigione senza motivo, per insegnargli il rispetto della legge e dell'autorità. Da quel ricordo il regista sviluppò il tema dell'ossessione di colpevolezza, che è vicina alle teorie di Freud. Ma il regista dissemina nelle sue storie anche un notevole humour nero, che porta a ridere delle proprie paure, ma anche a vedere il male più affascinante, più divertente del bene.

Lo stile di Hitchcock è fortemente onirico, basato sui contrasti di luce espressionisti, con lo spazio quasi piatto o, all'opposto, eccessivamente sfondato in profondità, in ogni caso innaturale. Il risultato è qualcosa di sospeso tra la veglia e il sonno, come l'effetto cercato dal cinema surrealista. Dietro la facciata di un'apparente adesione ai metodi del cinema narrativo classico, il regista inseriva tutta una serie di trasgressioni.

che in più punti facevano venir meno il principio della chiara leggibilità, come i lunghi movimenti di camera, i giochi di luci e ombre nell'inquadratura, i punti di vista che celano cose allo spettatore: sono tutti elementi che abbassano la priorità dell'azione in favore di una visione importata sullo "sguardo" della cinepresa (e quindi del regista). Inoltre Hitchcock fu il primo a recuperare il bagaglio delle invenzioni del cinema muto d'avanguardia, in particolare quello surrealista e espressionista, soprattutto nelle scene di sogno: in Io ti salverò (1945) usò la collaborazione di Salvador Dalì, in Vertigo (1958) usò spirali rotanti come in Anémic Cinéma di Marcel Duchamp. Importante è poi il gioco dei punti di vista, dove si alternano gli stessi oggetti, le stesse azioni, viste però in maniera inquietante da soggetti paranoici e perseguitati, oppure in maniera limpida e oggettiva, chesembra smentire le paure, da parte dei soggetti scettici. Nasce così un gioco di contrasti, che dà ambiguità alla storia, la quale oscilla sempre tra angoscia e umorismo, anche con passaggi repentini. A questo si aggiunge il tema del doppio, come in Psyco (1960). Non mancano poi le storie dove si possono cogliere elementi simbolici, come la riflessione sull'atto di guardare in La finestra sul cortile (1954). Grande importanza hanno i dettagli, spesso oggetti chiave della storia (la tena in Rebecca, la tazza in Notorius, ecc.). Inoltre Hitchcock fu un maestro della tecnica della suspense, elaborata almeno dal film Sabotaggio (1936), ma anche dell'effetto sorpresa, come in L'uomo che sapeva troppo (1935). Europei a Hollywood: la "lingua franca" Nel cinema americano dell'età d'oro di Hollywood lavorarono numerosi cineasti europei, che si integrarono felicemente nel sistema degli studios, godendo spesso di una certa libertà chene garantì il profilo di autori, amplificato dalla disponibilità dei capitali americani. Oltre al già citato Hitchcock, inglese, ci furono soprattutto i tedeschi e austriaci in fuga dalla dittatura nazista (Fritz Lang, Friedrich Wilhelm Murnau, Billy Wilder, Joseph von Sternberg, Ernst Lubitsch, Douglas Sirk) e scandinavi (Victor Sjöström). Negli anni Venti e Trenta nacque così una stagione del cinema americano detta "lingua franca", dove si mischiarono le tradizioni poetiche europee con quelle narrative americane, in un felice connubio. Lubitsch fu il padre della commedia moderna, e Wilder fu il suo erede, con una sfumatura però più amara e psicoanalitica, dimostrata anche nel genere drammatico con capolavori come il noir La fiamma del peccato (1954) e la spietata riflessione sul divismo Viale del tramonto (1950). Fritz Lang, già maestro nella costruzione delle immagini simboliche durante il suo periodo tedesco, divenne

Uno dei migliori interpreti del genere poliziesco e noir, con film come La donna del ritratto (1944), Dietro la porta chiusa (1948) o Il grande caldo (1953), nei quali si percepisce un sinistro fascino del male.

Il viennese Joseph von Sternberg fu l'artefice del

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher N. A. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie e tecniche dei linguaggi audiovisivi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi dell' Insubria o del prof Alovisio Silvio.