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2. AMBROGIO LABERIO E I SUOI RAZIONALI SOPRA IL CODICE NAPOLEONE (1808)
La “scuola dell’esegesi” italiana è conosciuta solo in modo parziale: si tratta di una pista di ricerca avviata una trentina
d’anni fa da Giovanni Tarello. Anche Genova, annessa all’impero francese nel 1805, ha dato qualche contributo non
secondario alla creazione di una scienza giuridica costruita sul nuovo dato normativo costituito dal Codice Napoleone,
ed una figura è quella di Ambrogio Laberio.
Ambrogio Giuseppe Laberio nasce a Genova l’8 maggio 1742 da Giovanni Battista di Giovanni Bernardo e da Maria
Livia. Giovanni Battista è un giureconsulto.
Ambrogio – seguendo una tradizione famigliare ormai giunta quantomeno alla
3° generazione – intraprende gli studi giuridici e si diploma presso il locale Collegium Iurisperitorum il 26 gennaio
1773.
La sua attività di avvocato si avvia ben presto verso un alto profilo professionale. Almeno a partire dal 1779 le sue
allegazioni forensi iniziano ad essere stampate, e già nel 1787 gli è affidato dai Supremi Sindacatori il patrocinio delle
loro ragioni contro il governo.
La caduta della Repubblica di Genova segna per lui l’inizio del coinvolgimento in politica.
Nel 1797, e in un contesto di intense esaltazioni rivoluzionarie, Laberio è stato consultore, lo ha fatto da giureconsulto
extracollegium, non avendo mai potuto accedere alla locale corporazione dei giuristi dottori; è cioè rimasto in una
posizione sostanzialmente marginale rispetto al blocco di governo della Genova di Antico regime.
Con il 17 gennaio 1798 termina per la Repubblica Ligure la fase del Governo provvisorio e vengono installati i due
organi assembleari dotati di competenze legislative. Tra i Sessanta, o “giuniori”, trova spazio anche Ambrogio Laberio;
è rappresentante del distretto dell’Entella, che ha capoluogo Chiavari.
IL dibattito tra i Sessanta – cui Laberio prende immediatamente parte in modo fattivo – si orienta subito su tematiche di
ordine strettamente giuridico: l’obbiettivo è la certezza del diritto.
Per quanto riguarda invece il settore istituzionale nelle parole di Laberio traspare in modo netto il timore che venga a
definirsi un governo dotato di prerogative eccessive, che sbilancino gli equilibri istituzionali e ledano aree di
irrinunciabile autonomia di comunità e istituzioni: attraverso le teorie illuministiche sulla separazione dei poteri
riemergono reazioni istintive all’accentramento burocratico.
All’inizio dell’estate del 1798 il clima politico genovese muta rapidamente: l’assemblea dei Giuniori [cioè l’assemblea
dei Sessanta] entra sostanzialmente in crisi e Laberio è tra quelli che cominciano a disertarla sistematicamente. In una
situazione resa più tesa dalle vicende belliche sono soprattutto gli attriti con il Direttorio, che preme costantemente per
nuovi finanziamenti da destinare all’impegno militare, a farsi sempre più forti.
In questo frangente è innanzi tutto il comandante in capo dell’armata d’Italia Brune, a manifestare le preoccupazioni
maggiori per una possibile perdita della Liguria ad opera di un legislativo [assemblea dei Sessanta] a suo parere in
buona parte pronto ad accordarsi con il Papa e poco disposto ad assecondare le pur necessarie aperture diplomatiche ai
piemontesi.
Ma è infine Brune – di ritorno da Parigi dove ha conferito col Direttorio sul da farsi a Genova – a rompere gli indugi: è
necessario che siano fatti ritirare dal corpo legislativo [assemblea dei Sessanta] i membri che si sono dimostrati “nemici
della libertà” e “partigiani della superstizione”. E’ lo stesso Brune a indicarne i nomi a prescrivere per loro anche
l’allontanamento dalla città (come per altri esponenti dello scenario genovese).
Tra essi vi è quello di Ambrogio Laberio e il 31 agosto il consiglio dei Sessanta “accetta” le sue dimissioni.
Insomma Laberio è travolto nell’ultima fiammata rivoluzionaria “giacobina” (o meglio filodirettoriale e anti-
assembleare), che in realtà è coerente al nuovo corso che, la Francia post-termidoriana ha ormai intrapreso, e che in
poco più di un anno avrà definitiva sanzione col colpo di stato del 18 brumaio [1799]. Tra i proscritti del fruttidoro
[dodicesimo mese del calendario rivoluzionario francese, dal 18 agosto al 16 settembre] francese vi era stato infatti
anche il presidente del Consiglio degli Anziani, futuro membro (e leader) della commissione che lavorerà alla
realizzazione del Code civil del 1804, Jean-Etienne-Marie Portalis.
Le vicende della assemblee legislative francesi e le vicende delle analoghe istituzioni delle repubbliche italiane hanno
sviluppi uniformi; esse sono determinate anche dal dibattito in corso sulla legislazione civilistica in prospettiva
codicistica; analoghe anche le vicende dei giuristi via via coinvolti. Anche il fructidorisé Laberio rientrerà in gioco con
riconoscimento ufficiale (nominato professore all’università nel 1803) in quel medesimo clima di generale
riallineamento moderato del Consolato e dell’Impero. Si sta formando in Francia quell’articolato gruppo di giuristi,
travolti magari in passato da momentanei rovesci, che costituiscono gli artisans del Code civil, per poi divenire talvolta
anche suoi “esegeti”, e magari funzionari e professori della futura università imperiale che quel codice dovrà
consolidare a livello didattico e scientifico.
I fatti genovesi del 1798 sono dunque fondamentali per comprendere il clima politico e culturale in cui sta maturando il
Laberio futuro commentatore del Code Napoléon. Sono gli anni di una svolta fondamentale anche per la cultura
giuridica, si sta cioè consumando in questo momento il passaggio dalle astrazioni di derivazione illuministica
(Rousseauviana, giacobina, rivoluzionaria, ecc.) alla prassi della ricostruzione di un nuovo ordinamento giuridico. In
opposizione rispetto alla logica filodirettoriale e giacobina di fruttidoro (quella dell’agosto 1798 ligure), Laberio si farà
trovare allineato al Napoleone della fase consolare-imperiale e coerente a una cultura scientifica che ormai respinge
apertamente gli inutili bartolismi ma anche le astrattezze illuministiche, pronto di fronte al Code civil e alla possibilità
di renderlo immediatamente oggetto di studio, commento e applicazione.
Negli anni della seconda Repubblica ligure Ambrogio Laberio, inizia la sua opera di riflessione sul diritto.
IL punto di partenza è la didattica, i problemi di metodo. Questi temi vanno a costituire il nocciolo della praelectio, che
nel gennaio del 1804 inserisce nel suo corso e pubblica come De praestantia studiorum juris civilis et patrii.
La parte iniziale dell’esposizione è dedicata a un’elegante digressione storica sull’arte della giurisprudenza, e sui diversi
modi in cui essa fu intesa e interpretata. I passaggi sono ovviamente scanditi dall’opera di Giustiniano, dall’eclisse
altomedioevale, dal ritrovamento delle pandette ad Amalfi e infine dal rinascimento giuridico medioevale. In questa
ultima fase si colloca lo sviluppo del diritto statutario genovese, o meglio, di quello che adesso è il diritto ligure: infatti,
l’unificazione legislativa della Repubblica ligure è passata attraverso l’estensione degli Statuti civili di Genova a tutto il
territorio dello stato. Quei capitoli sono cioè adesso il diritto patrio unico e “codificato”, salvo il rinvio al diritto
comune.
Dando eco a considerazioni di stampo umanistico Laberio ribadisce l’importanza dello studio del diritto romano a fini
formativi, prestando – però – attenzione agli errori, anche madornali, che dai glossatori in poi sono stati commessi
nell’opera interpretativa del Corpus iuris. Di fronte a questa immutabile fonte di riferimento, va posto il diritto vigente.
Insiste poi sull’importanza della conoscenza storica per lo studio del diritto patrio.
L’opinione di Laberio è che il problema non sia tanto quello di superare, abrogandolo, il diritto vigente (leges e statuta),
quanto i limiti dei singoli giudici; in definitiva anche l’interpretazione dei dottori può essere utile per risolvere i casi
controversi, le questioni interpretative più problematiche. E’ però fondamentale disporre di operatori del diritto in grado
di gestire con misura il sistema del diritto comune, riferendosi magari alle indicazioni di Giovan Battista De Luca.
IL punto di arrivo della dissertazione – dato il contesto in cui si inserisce: l’insegnamento universitario – è dunque
l’importanza del momento formativo; coessenziale alla vita dell’intero sistema giuridico è l’individuazione del metodo
di studio più appropriato.
Le lezioni devono partire dallo studio del Digesto – d’altronde lui in questo momento insegna diritto romano – per poi
passare alla “quaestiones in foro frequentiones”, al fine di armonizzare insegnamento teorico e apprendistato
professionale.
Interessante è invece il fatto che Laberio indichi una particolare fonte tipica dell’esperienza giuridica ligure. Vi sono
una ricca serie di manoscritti, contenenti commenti agli Statuti civili, nonché vota di giureconsulti e decisioni dei
tribunali: si tratta di una fonte molto confusa, di difficile utilizzazione.
Non è il caso, dunque, di riportare in blocco e in modo acritico un materiale tanto informe, bisogna invece enuclearne la
rationes [principi], dando luce ai motivi che hanno eventualmente creato situazioni di ambiguità interpretativa.
Si formò [lungo il 500-600] cioè una letteratura di commento agli statuti particolarmente elaborata e Laberio individua
in essa, non dimenticandone i limiti, un efficace strumento di analisi giuridica.
La Praelectio di Laberio non presenta sul piano generale motivi di rilevante novità.
IL professore genovese, con i riferimenti alla tradizione patria e allo ius commune, rimane ancora un uomo che non si fa
carico di proposte realmente originali. E’ però sensibile e accetta la sfida di predisporre opere che non siano né meri
esercizi dottrinali né semplici attrezzi per la pratica forense, ma siano strumenti effettivamente utili alla formazione dei
giuristi.
Nel 1805, annessa Genova alla Francia napoleonica e al momento di scegliere i 4 docenti della scuola di diritto
dell’Università imperiale, Laberio è l’unico della lista di candidati inviata a Parigi di cui si possa affermare che sia
“homme de merites qui connoit [conosce] le droit romain et notre code civil”.
Un dato non scontato questo della conoscenza piena del Code Napoléon da parte dei professori genovesi, se ancora a
febbraio del 1806 per le autorità francesi si tratterà solo di un augurio su c