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Personalità filmica

Olivier ha una professionalità camaleontica e per questo è difficile individuare una costante

divistica nella sua carriera.

Da metà degli anni 30 agli anni 50 si definisce ciò che marca l’identità dell’attore: la sua

personalità filmica negozia tra il sistema di produzione e narrazione inglese con quello

americano.

Negli anni 40 partecipa a produzioni inglesi. In Inghilterra l’immagine divistica di Olivier si basa

sulla sua raffinata professionalità, crea la sua fama sullo schermo quando stupisce lo spettatore

con un incanto di immedesimazione. Olivier risponde a un’esigenza culturale: celebrare l’attore

come gentleman (attore-cavaliere), componendo ricercatezza formale e tradizionalismo in

continuità con il teatro di fine 800 e recando forti tracce dell’arte dell’attore inglese (da Burbage,

Garrick fino a Kean). Olivier comunque partecipa solo in parte al fenomeno della star.

Importante per questa generazione di attori è il primo piano: fino alla metà degli anni 40 Olivier

recita in campi lunghi e si impone come unità corporea; solo con il suo Amleto il suo volto sarà

centrale.

Per gran parte del periodo classico cinematografico (gioventù attore), Olivier condivide con gli

interpreti del muto la vocazione ad apparire come oggetto di contemplazioneicona di bellezza

romantica e di gioventù codificata come vigore del corpo.

Tre settimane di paura (1937) mostra che anche Olivier è soggetto a manipolazioni produttivo-

distributive e a interpolazioni extratestuali tipiche del divismo cinematografico. Distribuito solo dopo

che i due attori protagonisti (Olivier-Leigh) non rendono pubblica la loro storia d’amore.

È nel 1939 che viene sancito il successo internazionale di Olivier con La voce della tempesta e

con Via col vento.

Negli anni 40 l’immagine di Olivier elabora mutazioni culturali relative all’ideale di mascolinità,

ibridando modelli di languidezza ed eroismo e al contempo portando in superficie il culto del

corpo maschile perfezionato attraverso il costante esercizio fisico.

Olivier è un bravo gestore dell’impresa di sé: gestisce la sua carriera e la sua immagine, è anche

un innovatore.

In Inghilterra inizialmente il pubblico ha interesse per l’attore solo in quanto artista, non della sua

vita privata come invece accadeva ad Hollywood; solo dopo le rivoluzioni sociali tra le due guerre il

pubblico inglese si interessa al glamour degli attori.

L’eroe romantico e i modelli del Music Hall

La costante divistica dell’Olivier classico sono le parti di eroe romantico: è sempre

coprotagonista in un filone di “women’s films” dove un’eroina vive una tragica storia di sacrificio o

sperimenta un romantica vicenda di crescita personale. Questi ruoli romantici risentono dei

modelli del muto come Rodolfo Valentino e Ivor Novello; passano ad Olivier la convinzione che

essere amanti convincenti sullo schermo è credere veramente all’amore romantico o alla

cavalleria. Opera quindi una ricerca di modelli maschili alternativi attraverso una virilità languida.

Esempio è il Nelson del Il grande ammiraglio, film ricondotto a un filone di film inglesi che

ritraggono personalità storiche rappresentandone il privato, Nelson è un eroe storico calato in un

registro melodrammatico: impedimento amoroso, ragioni di stato, sacrificio. Olivier incarna una

rigidità e una dignità maschili, complicandola di un impaccio verbale. Nelson comunica più

attraverso i gesti e la corporalità che attraverso le parole.

Nella tradizione teatrale, e poi cinematografica, inglese la separazione tra commedia e dramma

riflette la distanza tra nord industriale e popolare, emblema del proletariato incolto, con i suoi locali

e music hall, e il sud borghese e raffinato che va a teatro.

Della tradizione del music hall si ritrova in Olivier la capacità di intrattenere il pubblico, l’attore

“è” anziché “fare una parte”.

La personalità divistica di Olivier trae la forza da un’intensa frequentazione di un pubblico non

necessariamente cinematografico e dalla consapevolezza di rivolgersi ai propri connazionali.

Opera un aggiornamento della tradizione che lo renderà intramontabile.

Il costume e il gesto

Anni 40: cinema inglese decodifica la percezione di classe della società britannica. Gli attori sugli

schermi sono distinguibili in base all’abbigliamento e a una serie di dettagli del corpo (se vestito

troppo raffinato il personaggio non è degno di fiducia). Gli attori inglesi degli anni 40 sono modelli

di formalità e decoro, e soddisfano le aspettative di una classe media che corteggia l’idea di

leadership, controllo, distinzione.

Affianco a questi protagonisti vi è un’altra classe di attorichaps: aspetto mediano, fedeli e bonari,

destinati ad assumere un ruolo primario nel decennio successivo e a operare una svolta

generazionale e sociale.

Negli anni della guerra la propaganda cinematografica celebra una collettività epica dove gli

eroi sono le persone comuni, che imparano la tolleranza le une dalle altre e costruiscono una

comunità cooperativa (es. Nuovo orizzonte).

Per Olivier recitare è l’arte della persuasione. Stesso pensiero di Delsarte: il gesto rende lo

spettatore testimone di un lavoro sotterraneo; esso è agente diretto del cuore: è lo spirito mentre

il linguaggio è la lettera. Un vero artista non lascia che i gesti (o la voce) rivelino più di un dieci

per cento dell’emozione segreta che sente; si occulta al pubblico e lo lascia ignorare le proprie

buone qualità.

Questa devozione all’arte attoriale di matrice ottocentesca costituisce la radice del lavoro di Olivier.

Cinema americano

Negli anni 40 nei film iniziano ad esserci labilità e inganno. Il contesto è di povertà e violenze del

decennio precedente. In questo contesto Olivier appare sugli schermi americani anagraficamente

giovane ma geograficamente vecchio (rappresenta il vecchio continente). La sua attorialità è utile

alla metabolizzazione di motivi diffusi concernenti l’America di questi anni di riflessione, di

pausa, anni involuti.

Olivier esporta a Hollywood un’Inghilterra vittoriana utile ai miti culturali americani; porta

sugli schermi il verismo dominato dalla conservazione dei miti di una classe: senso civile,

progresso, rettitudine, ingegno. Egli quindi incarna uno sguardo rivolto al passato che attraversa

la Hollywood degli anni 40. Il cinema americano di questo periodo incorpora i modelli culturali e

letterari dell’Europa, metabolizza la propria grandezza nazionale in un sogno di progresso

simile all’Inghilterra degli albori dell’era industriale.

Vengono fatti film con un’etica e una morale spiccata, una ricerca di forme superiori.

Olivier rientra in questo quadro in quanto personalità altera, capace di offrire un’immagine pubblica

immacolata.

Shakespeare. Climi eroici

Mitografia dell’attore

Nell’arco della sua carriera Olivier dirige e interpreta tre pellicole che adattano Shakespeare,

Enrico V (1944), Amleto (1948) e Riccardo III (1955). Questi film hanno tutti pregi eccezionali e

vistosi punti deboli.

Il “cinema shakespeariano” occupa uno spazio speciale in cui l’essere divo rimaneggia e rivitalizza

le grandezze degli attori che hanno segnato la storia del teatro inglese.

Durante la seconda guerra mondiale Olivier viene congedato per partecipare ai film Nuovo

orizzonte e l’Enrico V, entrambi concepiti come contributi allo sforzo bellico (fini propagandistici).

Enrico V viene costruito per coincidere con l’invasione della Normandia. Con questo film Olivier

vince l’Oscar per la migliore interpretazione maschile, interpretazione che mostra la completa

maturazione dell’attore come star cinematografica (avvenuta in 15 anni). Per ragioni di propaganda

l’Enrico di Olivier è reso come un reggente valoroso e composto, una figura integra e ideale. Con

questo film Olivier non permette più allo spettatore di identificarsi con il personaggio. Olivier

lavora sulla sottrazione, in modo da non far accedere lo spettatore alla sfera emotiva. Il teatro

elisabettiano infatti non era un’esperienza per il singolo, ma per la comunità nella sua totalità,

era una pratica sociale, la cui caratteristica era trasformare le transazioni di quella comunità in

piacereOlivier rimane fedele a questo.

I film shakespeariani di Olivier fanno confluire nel cinema la tradizione dell’attore come

depositario dei valori sacri della cultura, la sua trasformazione in personalità d’eccezione.

L’attore non è più colui che si attiene al testo, ma l’artista che rende viva la parola, non solo

interprete ma anche autoreOlivier manifesta questa consapevolezza al cinema, dove è sempre

attore e autore.

Proprio un bel film Sir Laurence… ma non deve più dire che è Shakespeare

La questione della soggettività dell’attore è materia di discussione nelle letture critiche dell’Amleto.

In quest’opera sopravvive nel tempo la pratica ottocentesca del “tagliarsi addosso” il dramma con

negligenze rispetto al testo.

Nel 900 la ricezione dell’Amleto rivela una fondamentale tensione tra la psicologia dell’uomo

moderno, improntata a un principio egualitario e all’idea della possibilità del singolo di sovvertire

gli ordini di potere, la concezione aristocratica elisabettianal’opera rende chiara la separazione

tra Amleto e Polonio. Olivier cerca di normalizzare e concretizzare il mitoAmleto fisicamente

bello, comunicativo, interpretato con una forte attenzione all’esteriorità e alla plasticità della forme.

Il grande pubblico infatti si aspetta un divertimento dato dalla densità dell’azione. Il suo film si

aggiudica 5 Oscar.

Amleto si differenzio da Enrico V nella relazione tra lo spettatore e il corpo dell’attore, nel rapporto

di questi con lo spazio: la mobilità di Olivier qui è morbida e ampia mentre prima era composta e

misurata. L’attore nell’immaginario novecentesco, è colui che riesce a riattivare tensioni e

desideri del sociale contemporaneo e riattualizzi il principio base del testo-contesto

elisabettiano.

Olivier semplifica il personaggio di Amleto ma allo stesso tempo risarcisce il personaggio

attraverso la relazione attore-uomo avviata con l’introduzione del divismo cinematograficoviso del

divo. Nei monologhi interiori di Amleto, Olivier rende il proprio sguardo sfuggente non in comune

con lo spettatore che non si sente partecipel’anima del personaggio è inafferrabile.

Olivier è un att

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
10 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher calime di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di storia del cinema e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Pesce Sara.