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ESEMPIO DI NEGAZIONE LA PAROLA “PESTE” AI TEMPI DEL MANZONI
NON VENIVA PRONUNCIATA SE NON PER ESSERE NEGATA. contorcimento del
linguaggio.
Negare la crisi ha il senso di sfuggire in anticipo (o almeno illudersi di poterlo fare) allo
stress implicito nella necessità di prendere una decisione impegnativa e dalle conseguenze
potenzialmente irrevocabili.
Oppure il meccanismo di negazione della crisi può essere il prodotto del “groupthink”
(pensiero di gruppo): è un tipo di pensiero che appartiene a tutti e se qualcuno esprime
un’opinione contrastante riguardo ad esso viene censuato ed escluso dal gruppo di
appartenenza.
ESEMPIO: tutti pensano “l crisi è passeggera” io dico “no sarà lunga e difficile” vengo
esclusa ed il mio pensiero censurato.
• Esistono inoltre diverse barriere che contribuiscono ad ostacolare l’individuazione delle
minacce ed il conseguente riconoscimento della crisi.
Come per esempio:
-Ogni organizzazione esercita una forte pressione sui propri membri affinché essi vedano e
ricordino certe cose e non ne vedano e ne dimentichino altre.
-Il linguaggio: l’incapacità di capire che è in atto una crisi può essere causata dall’
inadeguatezza dei “sensori” che esso procura, unita alla resistenza dei soggetti abituati ed
addestrati ad impiegarli. (Spiegato meglio: noi siamo abituati ad un certo tipo di linguaggio.
Questo linguaggio durante la crisi cambia e noi non siamo abituati a comprenderlo, quindi
ci troviamo in una situazione di difficoltà che ostacola ancora di più il riconoscimento della
crisi). ↓
L’interazione tra tutti questi elementi di negazione della crisi è fondamentale
Rappresentare la crisi. La mobilitazione generale delle frasi fatte.
Anche quando invece di negarla, i decisori politici e gli uomini comuni riconoscono l’esistenza della
crisi, non è affatto detto che ciò basti a convincerli ad innovare o addirittura cambiare il proprio
schema di pensiero e il linguaggio con il quale lo esprimono. Anzi molto spesso è vero il contrario
siccome una prima reazione alla crisi può consistere in un accanimento delle proprie convinzioni e
dei propri pregiudizi. tutto ciò intralcia ed influenza la situazione su cui il decisore deve
pronunciarsi. Anzi spesso ci si confonde tra ciò che un processo decisionale è idealmente e ciò
che è realmente nella vita reale. ↓
In tutto ciò il linguaggio gioca un ruolo fondamentale, poiché in tempo di crisi le decisioni possono
trovare soluzione nel linguaggio esistente; il problema sorge quando questo linguaggio perde la
propria presa sulla realtà Un laboratorio di metafore
• In un momento di crisi è più facile affidarsi ai linguaggi e ai modelli che sono interiorizzati e
che quindi non richiedono di essere cercati.
L’uomo è più incline a lasciare la scelta di mantenere il linguaggio esistente o cambiarlo alle
istituzioni.
Contrariamente a ciò che ci piacerebbe credere, anche quando le mappe cognitive e i
linguaggi disponibili fanno fatica a interpretare e offrire risposte alla crisi, gli uomini non si
rassegnano ad abbandonare le risposte che hanno già sotto mano prima di essersi sforzati
in ogni modo di adattarle o di invocare il loro contenuto “autentico” (Es: la “vera”
democrazia; il “vero” socialismo) nessuno sa cosa siano ma si spera sempre che presto o
tardi saranno ridotte in realtà.
• Le istituzioni però devono cercare di far comprendere ai cittadini il non conosciuto (ovvero il
ciò che succede durante un periodo di crisi) e lo fanno attraverso l’applicazione di analogie,
comparazioni o semplici associazioni.
Questa necessità di rendere rappresentabile e conoscibile il non familiare attraverso ciò
che è familiare fa dei tempi di crisi un laboratorio inesauribile di metafore.
↓
Il ricorso alle metafore corrisponde a 3 esigenze pressanti in condizioni di crisi:
1) La Parsimonia quanto più è urgente prendere una decisione, meno estesa sarà l’esperienza
del decisore;
2) La Comunicazione il ricorso alle metafore serve ad illustrare una scelta che è stata presa
davanti ad altri. Chi parla e comunica ha infatti l’obiettivo che i destinatari del discorso possano
accettare e interpretare le sue decisioni allo stesso modo;
3) La Legittimazione le metafore non sono mai neutrali (= voglio fare accettare ciò che ho deciso
anche agli altri in modo che mi approvino).
Il sommovimento della memoria ed il saccheggio delle analogie storiche
Esiste un secondo modo di portare il non conosciuto al conosciuto, ed è attingendo dalle
esperienze del passato attraverso le ANALOGIE STORICHE.
Il ricorso a tali analogie è meno impegnativo rispetto all’uso delle metafore, poiché non richiede il
passaggio da un campo di esistenza ad un altro. Dall’altra parte esse però si rivelano più invadenti
quando si tratta di suggerire precisi corsi d’azione poiché le analogie storiche pretendono di dirci
che cosa occorrerebbe fare in situazioni come quella nella quale ci troviamo.
Il ricorso a scorciatoie come queste appare particolarmente attraente in tempi di crisi siccome oltre
che semplificare il processo decisionale, semplificano anche il compito di legittimare e comunicare
le proprie decisioni.
La stessa magia semplificatoria è presente nei “precedenti” di segno opposto: le esperienze
negative sono viste come moniti.
Mobilitando le frasi fatte, la crisi mobilita anche i pezzi di memoria che sono appesi a quelle frasi
il decisore, rovistando nel proprio deposito di esperienze personali e collettive, è costretto a
ricordare e rivelare cosa ricorda, in ordine e con quali connessioni. (ES: esperienze vissute in
prima persona = vengono ricordate per prime). Tra queste esperienze, le uniche adatte ad essere
richiamate pubblicamente sono quelle condivise o almeno comunicabili perché vissute insieme,
oppure perché riversate più diffusamente nella memoria pubblica.
↓
E’ lo stesso meccanismo infernale delle frasi fatte. nel momento in cui sono costretti a ricordare, gli
uomini di una stessa epoca e di uno stesso ambiente scoprono di ricordare tutti le stesse cose e
nello stesso modo.
(ES: Hitler=ricordo negativo)
Il logoramento del linguaggio. Ripetizione, farsa, scherno e afasia.
Non è affatto escluso che la crisi di un linguaggio dominante sfoci sin da subito in una guerra di
successione tra uno o più linguaggi pronti a soppiantarlo.
Ma la regola, nella storia è il ritardo cioè la corruzione dei linguaggi disponibili prima che ce ne
siano altri pronti a sostituirli. Questa corruzione può assumere quattro forme:
1) La ripetizione gli uomini si sforzano di dar fondo al linguaggio che sono abituati ad usare da
sempre adattandolo, stirandolo e storpiandolo. La crisi produce un’accelerazione quasi nevrotica
del linguaggio esistente, quando questo si scopre incapace di indicare un orientamento.
Questa incapacità di uscire dal linguaggio dominante grava soprattutto su coloro che lo
maneggiano meglio intellettuali, esperti, tecnici, politici, etc.
2) La farsa la differenza basilare tra farsa e ripetizione sta che mentre quest’ultima mobilitava
soltanto il linguaggio dominante, la farsa chiama in causa tutto il ventaglio dei linguaggi disponibili,
compresi quelli che vorrebbero essere alternativi al primo. Rispetto a queste prime due forme di
corruzione, le successive due hanno almeno il vantaggio della consapevolezza.
3) Lo scherno nutrirsi della corruzione il linguaggio dominante non è sostituito, semplicemente
esso è liquidato o, persino, ridicolizzato. Le frasi fatte sono messe in esposizione, ma solo per
essere massacrate.
4) In Afasia una volta che il linguaggio esistente non riesce più a dire, l’uomo rinuncia del tutto a
esprimersi. Il linguaggio esistente non viene più né impiegato né denigrato; semplicemente, è
lasciato cadere, insieme alla disponibilità a prendere parte a quel poco che resta, a questo punto,
del dibattito “pubblico” lontano dalla verità nascosta delle cose. L’afasia può condurre direttamente
all’apatia, cioè alla rinuncia contemporanea alla passione politica e all’azione. Ma, nell’altro senso,
l’afasia può aprire lo spazio per un’azione “pura” in quanto liberata dalla zavorra delle parole.
Esorcizzare la crisi. L’appello a una sfera neutrale.
Nella stessa misura in cui mette a nudo, la crisi suggerisce di travestire, sminuire o spoliticizzare.
Per qesto i soggetti chiamati a decidere e a giustificare davanti agli altri le proprie decisioni devono
potere appellarsi a una sfera comunemente avvertita come estranea ad ogni divisione: una sfera
nella quale risulti possibile sospendere le dispute e le lotte senza fine che “ritardano” la decisione.
↓
E’ qui che incontriamo la RETORICA DELLA NEUTRALITA’
Tanto più acuta è la percezione della crisi, tanto più è insistente l’imperativo a travestire le
rivelazioni più destabilizzanti che l’accompagnano.
Con neutrale intendiamo una triplice rivelazione che:
1) accetta come proprio limite le esigenze dell’ordine sociale esistente;
2) si rappresenta come superiore o indifferente ai partiti;
3) presenta la decisione critica come la trascrizione di un sapere impersonale.
Neutrale come “concreto”, nel senso di “ancorato ai fatti”.
Se la crisi dis-vela e, scavando sotto le fondamenta, espone la realtà alla consapevolezza della
propria precarietà, l’appello alla neutralità le replica ordinando di “restare ai fatti”, cioè di non
allargare ma di restringere l’orizzonte fin dove è necessario ad arrivare nel più breve tempo
possibile ad una decisione. Neutrale pensiero che non perde tempo, richiamo alla concretezza,
prendere la realtà per quello che è = adattarsi alle forze economiche e sociali esistenti.
Questa pretesa di concretezza è vincolata ad alcune ferree regole di funzionamento:
1) un linguaggio tanto più è neutrale, quanto più è semplice;
2) per isolare il linguaggio da ogni possibile “intrusione” di valori, la neutralità vuole il livellamento
del pensiero del mondo, cioè l’assicurazione che un pensiero pragmaticamente neutrale si limiti a
misurare o comparare i fatti, senza interrogarsi sulla loro origine o sul loro valore.
3) “l’intelligenza pragmatica guarda ad un futuro immediato” garantire l’autoconservaz