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PSIUP.
Nel 63 si verificarono i primi segnali di un rallentamento economico, l’inflazione
crebbe, caddero gli investimenti. La principale causa furono gli aumenti salariali che
avevano indotto un eccesivo incremento della domanda interna, per cui si era dovuto
procedere all’importazione dall’estero, cosa che creò un deficit nella bilancia dei
pagamenti. Per riequilibrare i conti e contenere la svalutazione della lira, la Banca
d’Italia decise di procedere a una stretta creditizia, mentre il governo preferì ricorrere
a strumenti deflazionistici, che portò una moderazione dei prezzi e la diminuzione del
deficit commerciale ma anche il crollo degli investimenti.
La crisi dell’estate 64
I socialisti, una volta entrati al governo, si trovarono nella situazione di non poter fare
riforme. Nell’estate del 64 il parlamento bocciò un decreto del governo e Moro si
dimise ma ricevette nuovamente l’incarico. Nella tensione fra i due partiti in cerca di
un accordo, si ebbero diversi incontri tra il presidente della repubblica Segni e De
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Lorenzo, comandante generale dei carabinieri si suppone per predisporre un colpo di
stato con l’impiego dei carabinieri, oppure un semplice ricatto per spaventare il PSI. In
ogni caso a luglio si arrivò alla costituzione del secondo governo Moro di centro sinistra
grazie ai voti della DC, del PRI, del PSI e PSDI. Il partito socialista rinunciava a buona
parte delle sue riforme per aderire a un programma finalizzato a risolvere il problema
della recessione economica.
Sempre le 64 Segni fu colpito da una trombosi cerebrale e si dimise dalla sua carica.
Venne eletto presidente Saragat sostenuto da DC, PSI, PSDI, PRI e PCI. Nello stesso
anno morì Togliatti mentre si trovava a Yalta dove stava incontrando i massimi
dirigenti sovietici. Prima di morire stilò un documento in cui invitava Kruscev a
superare quel regime di limitazione e soppressione delle libertà democratiche e
personali che era stato instaurato da Stalin, rivendicando una maggiore autonomia da
parte del comunismo italiano nei confronti dell’Urss.
Dal 1965 l’economia italiana iniziò a migliorare ma l’aumento della produttività non fu
accompagnato da una parallela crescita dei salari. Inoltre la crisi vissuta dal sindacato
negli anni Cinquanta (scissione) rendeva difficile contrattare i livelli salariali, vista
anche la diminuzione dei lavoratori occupati e il surplus di offerta di manodopera
rispetto alla domanda. Nei primi anni Sessanta si ponevano alcune delle premesse per
la successiva esplosione rivendicativa della fine del decennio.
Durante il 66 una serie di disastri ambientali portarono il governo ad affrontare la
questione della regolamentazione dell’utilizzo del territorio, come disincentivare le
iniziative speculative.
Nel 1968 si diede finalmente completa attuazione al dettato costituzionale sulle
regioni a statuto ordinario.
Dopo il varo dei governi di centro-sinistra non c’erano più motivi nella divisione tra i
due partiti socialisti. Si giunse all’unificazione nell’ottobre del 66 sotto il nome di PSU.
Tuttavia fu un’unificazione voluta dai vertici ma entrambi i due segretari mantennero
la carica nel nuovo partito. Le urne nel 68 sancirono il fallimento dell’unificazione
mentre cresceva l’area della sinistra, dove si convogliavano i voti espressione del
malessere e dell’insoddisfazione ormai diffusi nel paese.
Il problema di fondo rimaneva quello di essere un paese ancora arretrato, in cui
servivano nuove leggi per frenare la speculazione, l’eccessivo privilegio. Anche la
scuola era da aggiornare e vi era la necessità di colmare il divario tra Nord e Sud.
I partiti di maggioranza tesero a radicarsi sempre di più nella società usando gli
strumenti del clientelismo nella gestione della spesa pubblica.
3. La chiesa tra Concilio e post-concilio
Tra gli anni cinquanta e sessanta tutti gli strumenti tradizionali della chiesa mostrarono
crepe e inadeguatezza. Dopo la morte di Pio XII fu eletto Giovanni XXIII. Con l’enciclica
Pacem in terris inaugurò un dialogo anche con i non credenti, fece riferimento alla
promozione economico-sociale delle classi lavoratrici e al positivo ingresso della donna
nella vita pubblica. Il Papa compì gesti distensivi perfino con il comunismo. Nel 1959
annunciò di voler promuovere un concilio ecumenico. Il concilio si aprì nell’ottobre 62 e
Giovanni XXIII ribadì che l’assemblea doveva far si che la dottrina cattolica fosse
insegnata in modo più efficace. Il concilio si chiuse nel 65 ma Giovanni XXIII morì nel
63 e il protagonista principale del Concilio divenne il suo successore Paolo VI. Egli era
convinto della necessità di dare un nuova risposta alle sfide del mondo moderno. Le
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questioni più dibattute furono quelle sulla liturgia e sul ruolo della chiesa. Fu
pubblicato il nuovo rito della Messa, si riscoprì il ruolo del laicato che favorì la
diffusione di consiglio pastorali in grado di raccogliere le istanze del laicato.
Preoccupato di mantenere l’unità della chiesa, il papa non abbandonò mai la linea di
prudenza e mediazione.
4. I giovani protagonisti
Agli inizi degli anni sessanta le generazioni dei quindicenni e dei sedicenni divennero
un nuovo soggetto sociale che si esprimeva con un’autonomia culturale, sociale e
politica. I modelli e le mode che si affermarono nel nostro paese in quel periodo
riecheggiavano motivi e comportamenti nati fra i teenagers anglo-americani.
L’esperienza dei teddy boys portò alla luce il disagio delle nuove generazioni
spaventando i genitori per la carica di violenza e di teppismo, risse e furti che la
caratterizzava.
La protesta degli universitari
Mentre i governi di centro sinistra manifestavano la propria debolezza e le speranza di
una stagione di riforme si rivelavano vane, nell’autunno 67 cominciò a manifestarsi il
fenomeno della contestazione giovanile che non si poneva solo come momento di
critica nei confronti del sistema capitalistico e consumistico ma anche come
contrapposizione alle culture imperanti nella società italiana, il marxismo, incarnato
dal PCI, e quella cattolica, rea di non compiere una definitiva scelta a favore dei
poveri.
Le prime cause della protesta giovanile dipesero dalle carenze del sistema scolastico.
La riforma varata dal governo fanfani nel 62 aveva introdotto la scuola media unica e
obbligatoria fino a 14 anni. Ciò in aggiunta alle migliori condizioni economiche indusse
molti giovani provenienti anche dal mondo operaio a prolungare i propri studi, provocò
la crescita tumultuosa delle iscrizioni negli atenei italiani. Inoltre la scuola aveva
sopravanzato con la sua offerta di diplomati e laureati la capacità di assorbimento del
mercato del lavoro. la situazione delle università italiane era già problematica prima
del 68. I primi episodi di contestazione risalgono a Pisa nel 64, nel 66 a Venezia e
Milano, mentre cominciava a diffondersi la protesta contro lo guerra in Vietnam.
Nell’autunno 67 il movimento fece un salto considerevole diventando un fenomeno di
massa. Si mobilitarono gli studenti dell’Università di Trento dove fu fondata la facoltà
di Sociologia, voluta e finanziata dalla DC con l’obiettivo di creare nuove figure di
operatori sociali. Proprio contro questo progetto si ribellarono gli studenti che
organizzarono sit-in imponendo che venissero tenuti dibattiti e controcorsi sui problemi
d’attualità. Nello stesso mese ebbe inizio anche l’occupazione dell’Università Cattolica
di Milano per protesta contro l’aumento delle tasse di iscrizione e il rettore chiamò la
polizia e procedette alla chiusura dell’università.
Le cause di questa esplosione erano da rintracciare in una miscela tra nuovo
internazionalismo, i giovani erano mobilitati contro la guerra in Vietnam, e problemi
concreti, dovuti alle carenze della scuola italiana. La rigidità e l’ottusità delle risposte
accademiche e politiche accentuò la rabbia degli studenti. Così dalle rivendicazioni
specifiche su aule, esami o lezioni si passò alla messa in discussione dell’intera
struttura universitaria e dei suoi assetti autoritari. Nel mese di febbraio la Sapienza fu
occupata, il rettore chiese l’intervento della polizia e proprio per protestare contro lo
sgombero tremila giovani organizzarono un corteo che sfociò in una durissima
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battaglia contro la polizia. In questa circostanza si inserì la critica al movimento di
Pasolini nella quale egli contrappone gli studenti contestatori, giudicati come figli di
ricchi borghesi, ai poliziotti, poveri. Il mese di marzo vide l’estendersi delle occupazioni
in tutta Italia mentre tendevano a diventare sempre più frequenti gli scontri fisici con
le forze dell’ordine. Il movimento intanto si espandeva in direzione degli studenti medi
e verso il mondo del lavoro dove gli universitari cominciarono a unirsi agli operai nei
picchettaggi davanti ai cancelli delle industrie. La contestazione proseguì violenta per
tutta la primavera e si riaccese in autunno. La contestazione si spostò anche in luoghi
come manicomi e carceri, dove si denunciavano le condizioni di abbruttimento nelle
istituzioni totali con l’obiettivo di ottenere condizioni meno disumane di vita e la
riforma dei codici.
Gli episodi di contestazione studentesca trovavano le proprie ragioni in una più
generale critica nei confronti della società: i valori sostenuti dai padri venivano criticati
dalle nuove generazioni. A condizionare i moti studenteschi fu senz’altro la lettura
degli scritti del marxismo. I giovani non volevano liberarsi solo dall’alienazione che
imponeva il sistema capitalistico ma anche dalle imposizioni culturali conseguenti. Il
sessantotto fu anche largamente ispirato dalle realtà e dai miti del Terzo mondo, come
la guerriglia sudamericana, la rivoluzione culturale in atto nella Cina maoista.
Fortissimo era il riferimento alla guerra in Vietnam con l’esaltazione delle gesta dei
vietcong, esempio della capacità di liberazione di un popolo e di resistenza vittoriosa
contro una superpotenza come gli Stati Uniti.
Per quanto consistenti, le masse di contestatori erano comunque una minoranza.
Tuttavia anche chi non aveva compiuto una scelta politica di sinistra creava in questi
anni un proprio modo di comportarsi diverso e spesso in contrapposizione con quello
dei genitori: provocatoriamente portavano capelli lunghi e disordinati, vestiti dismessi,
ascoltavano le canzoni dei Beatles, Rolling Stones e Bob Dylan.
5. Novità politiche e sindacali
I sessantottini criticavano le posizioni moderate del PC che al suo interno esprimeva
valutazioni assai differenti rispetto