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Il guerrigliero audacissimo che muta in eroi tutti quelli che lo seguono, e che col solo suo
comparire mette in fuga i nemici.
Nel breve ritratto c’era già tutta una nuova realtà retorica. Non più il martire
schiacciato da forze preponderanti, la cui fine esemplare giungeva dopo aver lasciato
una testimonianza morale, ma l’eroe intraprendente dei pochi contro i
molti,irriducibile nel coraggio e nell’intraprendenza.
Se il miracolo del martire era stato nel sopravvivere in qualche modo alla distruzione del
suo corpo,il miracolo dell’eroe sarà di fare dei corpi comuni tanti corpi d’eroi e di
cacciare i nemici. Non più martiri ma giganti.
A partire dalla sua fisicità, il corpo di Garibaldi non somiglia a nessuno dei corpi descritti
da Vannucci o dal Panteon.
L’eroe è diverso dai martiri, si dirà, ma l’osservazione benché corretta richiede una
qualche cautela.
In primo luogo perché l’eroe è anche un martire e perché il corpo dell’eroe rientra in una
serie di codici culturali,a partire dalla dualità corpo e anima: non è la forza fisica che ne
fa un eroe,bensì la fede,la tenacia,la volontà. Non è il primato della fisicità a fare l’eroe,
ne consegue che un eroe è pur sempre anche vulnerabile quanto un
martire,bisognoso del soccorso dei volontari.
Come avvertono le scienze sociali, la forza fisica è irrilevante per la statura politica di
un leader. La maggiore qualità fisica dei rivoluzionari non è stata la forza fisica,ma la
bellezza .
La quale,a differenza dei muscoli,è strumento di leadership.
La bellezza è potere, secondo Hobbes, perché raccomanda gli uomini al favore delle
donne e degli estranei.
Anche i combattenti temono per il viso dei feriti abbandonati sui campi di battaglia.
Sul viso riposa l’identità dell’individuo e la permanente bellezza dell’eroe-martire,ma la
bellezza del viso costituisce anche la via della spiritualizzazione della sua corporeità.
Quanto a stature, l’eroe non è un gigante,né il suo viso ha qualcosa del seduttore.
La bellezza è un derivato dell’ideologia.
Il viso dell’eroe testimonia della sua identità e la sua bellezza risiede nell’insieme
delle sue qualità morali,nel carattere e nella devozione alla causa,di cui il viso funge
da specchio.
A partire dall’identità,inoltre,la bellezza può essere rinvenuta anche nel complesso della
fisicità,nei modi e perfino nei segni permanenti delle ferite e della
menomazioni,essendo questi i simboli della neonata virilità nazionale.
Che cosa costituisce un eroe?
Per Garibaldi senz’altro la sua fisicità, a partire dal vestito e dalla bellezza del volto.
Come nel modulo agiografico tradizionale, nella giovinezza dell’eroe era già scritto il suo
destino.
l’eroe era chiamato dalla Provvidenza a compiere un’altissima missione.
Il modo d’essere e la bellezza ne facevano un leader naturale. Il suo modo di essere
contribuiva a circondarlo di un prestigio.
Dal colore degli occhi e dei capelli alla fronte ampia alla voce ai gesti alle abitudini
alimentari ,tutto testimoniava di un intento idealizzante: gli occhi erano dati per
azzurri,benché li avesse castani; i capelli biondi a significare dolcezza,la fronte ampia
e prominente indice di forza di volontà,la voce che trascina;la parola sincera
testimoniata dalle affioranti emozioni; i gusti semplici a tavola,il vino un’eccezione.
I segni sul corpo raccontano la sua parentela con i martiri.
L’eroe aveva in sé quella sicurezza della riuscita.
Garibaldi si mostrava consapevole che anche le dicerie sui suoi poteri taumaturgici
accrescevano lo splendore della sua aureola e non vi si sottraeva.
Quasi più nessuno credeva che Garibaldi fosse un uomo mortale.
Ma è in battaglia che l’eroe rivelava le sue capacità straordinarie.
Quell’eroe che era al fondo di ogni martire assumeva con Garibaldi una dimensione intera.
Il suo corpo prodigioso era descritto come un fascio di energie,sempre dominante,tuttavia
da una volontà sovrana.
L’esposizione al pericolo di Garibaldi,era quanto rendeva arditi i garibaldini,spronati a
salvarlo. Queste qualità gli rendevano amica la vittoria.
Caratteristiche specifiche della battaglia garibaldina: regola dei pochi contro i molti.
Sempre pochi contro i molti,sempre svantaggiati nelle armi e nel numero.
Che Garibaldi sia da solo o alla testa di un gruppo di volontari,il modulo retorico non
cambia.
Di lui risaltava la lezione o il gesto memorabile,che rendeva il nemico sempre perdente.
Sul fiume Paranà i francesi furono fuori combattimento erano milletrecento di contro a 271
garibaldini.
Toccava a Garibaldi la fabbrica degli eroi.
Lui aveva la proprietà di trasformare anche le persone semplici in eroi e destinarle
all’immortalità.
Con Garibaldi aveva definitivamente termine il tempo dei martiri al passato,cari a
Vannucci.
Grazie alla sua presenza,poteva accadere ai martiri di tornare fra i combattenti.
Da martiri a eroi,dunque,ma l’eroe non muore come un martire.
Spariva anche la dilatazione dell’agonia,sulla quale aveva lavorato Vannucci.
La morte dell’eroe era un evento quasi fatale.
CAPITOLO 5 : GARIBALDI INCARNAZIONE DELL’EROE
Il pensiero ha spesso timore degli eroi sospettandoli di segreto autoritarismo.
Il saggista scozzese Thomas Carlyle aveva spiegato che le rivoluzione moderne
avevano bisogno degli eroi,l’eroe era costitutivo della società,perché generatore di
quella lealtà che era affine alla fede religiosa.
Carlyle è noto negli ambienti dell’emigrazione italiana a Londra,amico e frequentatore di
Mazzini.
In almeno due snodi essenziali le posizioni di Carlyle e Garibaldi tendono a convergere.
La prima concerce il culto dell’eroe, la seconda riguarda il favore con cui è vista l’opera
di un dittatore nella costruzione di una nuova società.
Garibaldi considerava il suo arrivo sulla scena della storia come reincarnazione dello
spirito della libertà, che dopo secoli tornava in Italia..
Uomo della provvidenza, destinato a compiere un’aspettativa che durava da venti
generazioni: fare l’Italia.
Benché nulla di strano egli dichiari nelle Memorie a proposito della sua fanciullezza,il
bambino era però già eroe,dotato di altruismo,sensibilità e coraggio.
Tra l’adolescenza e la prima maturità,aveva già salvato almeno tre persone
dall’annegamento.
Il destino è già tutto nella persona.
Il suo corpo riverbera una natura speciale,ha avuto un padre e una padre che gli hanno
lasciato in eredità le virtù,cioè la buona disposizione d’animo.
Se un re viene dal lignaggio del sangue,che rimonta in certi casi fino all’unzione divina,il
grand’uomo,come dice Garibaldi per sé,viene dalla Provvidenza.
Si sa quanto Garibaldi sia ossessionato dall’ombra del passato.
Si potrebbe dire,come per Napoleone,che è spinto a imitare. Greci e Romani sono da lui
considerati modelli di eroismo e sprezzo della morte.
Vivere nella storia è la via della sua superumanizzazione. In questo si apparenta
senz’altro a Napoleone.
L’ipotesi della provvidenza: tale designazione divina,tuttavia,differisce dalla
tradizionale.
Se tale chiamata poteva cadere su di un re buono come su uno cattivo,la designazione
della provvidenza,invece,sembra premiare i virtuosi.
In questo senza Garibaldi è figura di sovrano laicizzato: come i re tradizionali,ma laicizzati
del XVIII secolo,è considerato buon padre,buon marito,gran capitano.
A tali quantità si aggiungono quelle dell’eroe. Umano si,ma non uomo comune.
Il suo valore come il suo dolore,le sue virtù come le sue quantità fisiche sono
incomparabili.
Lui rifiuta il potere,il suo punto debolezza,non potendo saldare gli attributi della sovranità
con un’istituzione,Garibaldi è costretto a farli coincidere con se stesso.
La sua sovranità coincide con il suo corpo fisico,fragile,perituro. Di qui
l’idealizzazione fisica e le qualità carismatiche.
Garibaldi non somiglia ai genitori. Da loro eredita solo alcune qualità.
Come corpo sacro Garibaldi è un’elargizione della Provvidenza laica (la storia).
Garibaldi ha dunque due nature in un corpo,o addirittura due nascite interconnesse:
profana (carnale) e sacra (metafisica).
Cosi la sua continuità è doppia: continuato dai figli,ma avente anche vita futura nella
storia.
I figli gli somigliano,non solo per le virtù,che ereditano ma anche fisicamente: cosi da
riprodurre anche la sua corporeità nel succedersi delle generazioni.
Lo continueranno anche come leader? solo la storia potrà confermarlo.
Postulato di Carlyle: l’eroe è un tipo unico,singolare.
Il corpo di Garibaldi esercita un fascino di natura erotica sulle donne e omoerotica
sugli uomini,che lo idealizzano attribuendogli un aspetto seducente,dagli occhi azzurri
(che non aveva) all’armonia delle membra,secondo i frenologi.
In molti ricorsero alla spiegazione della doppia natura di quel fascino,maschile e
femminile.
L’eroe è maschile nel darsi alla guerra,ma è femminile nella disponibilità al sacrificio.
Due simboli spiccano nell’uniforme di Garibaldi: il mantello,il simbolo dell’invulnerabilità
e della protezione,e che in questa polarizzazione rappresenta la parte femminile,un
manto protettivo che ricorda la Madonna della misericordia.
E il sigaro,simbolo maschile per eccellenza,connesso all’attitudine al fumo.
Il sigaro rinvia senz’altro a un’esplicita connotazione sessuale.
Garibaldi ha avuto due mogli,più due ufficiose,la marchesina Raimondi,moglie di nome
ma non di fatto,e la Raveo,moglie di fatto ma non di nome,da cui ebbe una figlia.
Mettendo anche nel conto non meno di tre fidanzate.
Il compimento del matrimonio elettivo segna la continuità del patriottismo,dal momento
che tocca alla donna la trasmissione della memoria risorgimentale e garibaldina ai
figli.
Due temi dunque s’impongono: l’innamoramento e la formazione della coppia.
La comunità dei virili,come la delinea Garibaldi,è quella che vive oltre l’esistenza
ordinaria,che non teme la morte.
Garibaldi non era altrettanto liberale verso gli uomini che non corrispondevano agli
stereotipi della mascolinità.
La bellezza rinviava una qualità interiore,in questo caso la fede patriottica.
Garibaldi in diverse occasioni tratteggiava la bellezza dell’eroe garibaldino,con evidenti
allusioni a se stes