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CAPITOLO 3: QUI NON RIPOSANO

Nella Milano dell’estate 1945 si è danzato per davvero, con un trasporto tanto più grande

quanto più cruda era la memoria dei dolori provati e dei lutti subiti.

Alcune decine di antifascisti avevano interpretato il nesso tra la morte del duce e

l’opportunità della danza in una maniera ancora più cogente.

Si erano dati appuntamento dove erano state sepolte le salme di Mussolini, di Claretta

Petacci e dei gerarchi esposti in piazzale Loreto e avevano ballato sui tumuli di terra

battuta.

Anche quando rinunciavano a danzare, certi leader della sinistra ciellenista mostravano di

considerare piazzale Loreto un momento alto della lotta di liberazione, il simbolo del

valore catartico della guerra civile.

All’indomani della Resistenza, gli italiani del nord sentivano di aver meritato della patria,

mentre si domandavano se altrettanto potesse dirsi dei connazionali del sud,sfuggiti alle

tenaglie della guerra civile.

Gli italiani del sud non trovavano ragioni per vergognarsi di aver conosciuto la Liberazione

senza pagare il prezzo della guerra civile.

I cadaveri degli antifascisti sono corpi di uomini,che trasmettono a chi li guarda

pietosamente lo stigma della dignità.

I cadaveri dei fascisti sono corpi di non-uomini davanti ai quali i gappisti non

possono provare pietà.

Nella realtà dell’Italia liberata, fascisti e antifascisti ancora combattono la battaglia per la

sepoltura iniziata durante la guerra civile.

Con la differenza che il potere cimiteriale sta adesso nelle mani dei reduci della

Resistenza, mentre sono i sopravvissuti di Salò che devono lottare per sottrarre i camerati

uccisi al destino di un’illacrimata sepoltura.

Quella di Mussolini non è stata l’unica salma di fascista sottratta alla pietà delle famiglie,né

solo nel caso del duce,l’elaborazione del lutto privato si è intrecciata con

l’elaborazione del lutto collettivo.

Nell’Italia del dopoguerra è stata combattuta intorno ai caduti partigiani e saloini una

battaglia senza esclusione di colpi, la cui posta in gioco consisteva nel monopolio

memoriale della guerra civile.

Nell’autunno del 1945 Montanelli pubblicava un libello “qui non riposano”,che dedicava a

tutti gli italiani morti in questa guerra,voleva rivolgersi agli italiani troppo dabbene per far

politica,convincendoli a stare alla finestra senza lasciarsi raggirare dai professionisti

dell’antifascismo.

Qui non riposano: quale formula migliore per evocare la precarietà del destino

postmortale di certe vittime della guerra civile ?

L’11 aprile 1946 il prefetto di Milano riceve una lettera anonima,su carta intestata a un

Partito fascista democratico (Pfd).

La lettera propone al prefetto Troilo un compromesso politico,e insieme gli pone un

ultimatum militare.

Il compromesso consiste nell’offrire alla democrazia togliattiana la possibilità di

incamminarsi sulla passerella tra fascismo e antifascismo,che il Pfd si dice pronto a

gettare,ma è condizionato a provvedimenti quali la scarcerazione dei prigionieri fascisti

reclusi a San Vittore e la facoltà di celebrare in una chiesa di Milano,nel primo anniversario

del 25 aprile,una messa in suffragio dei camerati uccisi.

Il prefetto di Milano rinuncia a qualsiasi risposta pubblica.

I disperati sono coloro che avendo perso nella guerra civile padri o fratelli, attribuiscono

alla lotta neofascista lo scopo della vendetta personale.

I bruciati sono coloro che non possono ritornare nel luogo d’origine,dove cadrebbero a

loro volta sotto i colpi della vendetta avversaria.

I fantasiosi sono gli elementi più freschi e vitali: uomini sufficientemente vecchi per aver

combattuto nel secondo conflitto mondiale, ma abbastanza giovani per confidare

ancora nei simboli della politica,e abbastanza estranei ai fatti di sangue della guerra

civile per non dover ragionare secondo la logica povera del regolamento di conti.

Uno fra questi ammalati di simbolismo è Domenico Leccisi, che ha scritto di persona la

lettera-ultimatum al prefetto Troilo.

Egli si era qualificato come appartenente alla generazione dei Balilla.

Il fatto che la resurrezione politica di Mussolini fosse avvenuta grazie all’intervento di

Hilter,è valso per loro da segnale che l’alleanza con i tedeschi andava onorata sino in

fondo,solo dai nazisti si poteva mutuare il rigore assoluto della religione totalitaria.

Leccisi ha rimpianto che il duce si fosse fatto incretinire dal suo amore per Claretta

Petacci.

L’istituzione della Repubblica di Salò è stata da lui interpretata come una felice opportunità

che la storia offriva a Mussolini per redimersi.

La posizione di Leccisi è sembrata rafforzarsi con la nomina di Spinelli alla carica di

podestà di milano,poi nel 1944 è tornato al proprio lavoro di vigilanza sull’annona.

Durante gli ultimi mesi di esistenza della Repubblica sociale,Leccisi si è soprattutto

impegnato nell’attività giornalistica.

Con tutto il suo rigore, Leccisi pareva non accorgersi che militare per la Rsi significava

difendere volenti o nolenti,l’Italia della Risiera di San Sabba, e che difendere l’Italia della

Risiera di San Sabba equivaleva a difendere la Germania di Auschwitz.

Leccisi durante un viaggio decise il trafugamento della salma di Mussolini come forma

suprema di appello alla pacificazione nazionale: per richiamare l’attenzione degli italiani

sulla necessità di chiudere con il passato, bisognava scoperchiare quel sepolcro.

Aprire una bara per chiudere una storia?

La verità è tutt’altra, Leccisi si proponeva di aprirla.

Non casuale la scelta dell’obiettivo: il corpo del duce,morto da un anno e sepolto senza

una lapida,ma vivo e presente nella memoria degli italiani.

Per Leccisi, il trafugamento era un rito di passaggio: trasformava il neofascismo

clandestino in neofascismo pubblico.

Con l’aiuto di due camerati,Leccisi ha agito tra la mezzanotte del 22 e l’alba del 23 aprile

1946.

poche ore dopo i guardiani diurni del cimitero hanno dato l’allarme.

Durante i cento giorni successivi le avventure vere o presunte del cadavere del duce

hanno occupato le prime pagine di tutti i giornali italiani.

Il duce non più corpo,ma memoria: facile pensarlo,difficile crederlo nell’Italia

dell’immediato dopoguerra.

Per la ricerca della salma di Mussolini,il ministro Romita mobilita i vertici investigativi del

Viminale,uno spiegamento di dottori.

Il 28 aprile,riassumendo quanto raccolto dalla polizia scientifica,Sorrentino afferma che la

salma di Mussolini era stata trafugata da più persone abituate ad avere contatto con

cadaveri:becchini o tecnici di medicina legale.

Dieci giorni più tardi,De Cesare presenta a Romita un quadro generale assai meno

inquietante.

Il vice-capo della Polizia comincia con l’escludere qualsiasi coinvolgimento della

famiglia Mussolini,nell’iniziativa neofascista: gli accertamenti del caso l’hanno

dimostrata all’oscuro dell’intera popolazione.

Per i trafugatori veri della salma,i guai seri cominciano pochi giorni dopo l’impresa

criminale.

Il 29 aprile 1946 la polizia arresta Mauro Rana,uno dei due collaboratori di Leccisi.

Leccisi venne arrestato il 31 luglio 1946,appena uscito da una riunione clandestina

con i neofascisti della zona est della città.

Il giorno dopo venne arrestato anche il terzo,Antonio Parozzi.

Ma la cattura dei trafugatori non garantisce alle forze dell’ordine il ritrovamento del corpo

del duce,ma Parozzi e Gasparini raccontano per filo e per segno le avventure del

cadavere.

Dicevano che la salma era nascosta nel convento francescano di Sant’Angelo.

Padre Parini afferma di conoscere l’ubicazione esatta del corpo di Mussolini ma vuole che

lo stato si impegni per darle sepoltura cristiana,non rivelando nemmeno alla famiglia la

sede prescelta per la nuova inumazione.

Il questore di Milano si impegna in tal senso.

Otto mesi più tardi la Corte d’Assise di Milano avrebbe confermato lo spirito della

ricostruzione di Agnesina punendo Leccisi non in quanto criminale politico ma in quanto

delinquente comune: amnistia per il trafugamento della salma.

Il giudizio di Agnesina era politicamente scorretto oltre che umanamente ingiusto.

Il trafugatore della salma era figura poco raccomandabile: uno squadrista,un bombarolo.

Ma era personaggio genuino,votato al culto del duce e alla causa del neofascismo.

Alla fine di quell’anno,Leccisi è costretto a vivere dal carcere la fondazione del

Movimento sociale italiano (Msi).

L’investimento di Leccisi intorno al corpo morto del duce valeva da garanzia d’identità e da

assicurazione per l’avvenire.

L’acrostico del nome rimanda infatti a “Mussolini Sempre Immortale”.

CAPITOLO 4: MUSSOLINI BUONANIMA

Negando alla famiglia Mussolini la restituzione della salma,il governo italiano ha

inteso evitare che il sepolcro del duce divenisse,nel bene o nel male, luogo della

memoria .

La strategia governativa non è bastata però a cancellare dalle memorie il ricordo della

salma del duce: anzi, l’ignoranza dell’ubicazione del sepolcro da parte dell’opinione

pubblica si è rivelata un elemento di stimolo dell’immaginario.

Lenin, Mussolini,Hitler,Mao: alla morte di leader tanto carismatici,la posterità si è

interrogata sull’esistenza o meno di un loro testamento politico.

Nell’Italia della Liberazione l’accertamento delle ultime volontà di Mussolini è potuto

sembrare tanto meno urgente in quanto il duce stesso aveva ripetutamente dichiarato il

proprio rifiuto di trasmettere al paese qualsivoglia lascito testamentario.

Per una decina d’anni dopo la morte di Mussolini,si è riacceso sui settimanali il dibattito

intorno all’autenticità di questo o quel documento che avesse valore di testamento del

duce.

C’è stato un testamento mussoliniano cosi falso da non aver meritato nemmeno la critica

dei filologi della domenica:quello pubblicato da Montanelli nel 1947,sotto il titolo Il

buonuomo Mussolini.

Nel finto testamento Mussolini dichiarava di aver volontariamente operato affinchè

l’Italia uscisse battuta dalla seconda guerra mondiale,perché gli italiani sono grandi

non quando vincono ma quando perdono.

Nel 1947 il Mussolini di Montanelli giustificava la scelta di farsi capo della Repubblica

sociale con il medesimo ordine di ragioni che la memorialistica saloina avrebbe trasmesso

alla storiografia apologetica dei decenni successivi: si era trattato di un sacrificio personale

inteso a salvare il salvabile nell’Italia occupata.

Alla fine di aprile del 1945,Mussolini aveva raggiunto Milano proprio affinchè il cerchio d

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

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