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Labov le innovazioni a livello di sistema hanno origine e si trasmettono non dalle classi alte o da quelle
basse, ma dalle classi sociali intermedie (soprattutto classe operaia) in quanto più solidali e più compatte.
Labov scopre che il mutamento fonetico comincia quando una variante si diffonde in un sottogruppo e
diventa simbolo dei valori sociali di quel sottogruppo e diventa “standard” quando si diffonde ai gruppi più
influenti nella comunità. Le classi alte resistono più di tutte alle innovazioni. Questo discorso è valido per
società occidentali e non sappiamo se sia generalizzabile anche a società “esotiche”.
2 - La stratificazione sociale nelle indagini sociolinguistiche
•• Quali sono i criteri con cui si può stabilire la stratificazione? Quanti e quali strati esistono in una società?
Come si fa a stabilire quali individui appartengono a un determinato strato? Negli anni Sessanta si faceva
una divisione in tre strati fondamentali, suddivisi a loro volta ognuno in due sottostrati, più uno strato di
emarginati: (alto e basso) ceto alto, (alto e basso) ceto medio e (alto e basso) ceto basso. Kleining negli
anni Settanta divide la popolazione in base al tipo di attività svolta in ceto alto, (alto, medio e basso) ceto
medio e (alto e basso) ceto basso, più i “disprezzati socialmente”. In Italia Labini nota che la società
moderna è economicamente e culturalmente sempre più differenziata e allo stesso tempo sempre meno
divisa da barriere di classe, infatti adesso le differenze tra classi dipendono più da elementi culturali che da
elementi oggettivi. Si appartiene a una classe non solo per motivi economici, ma anche per motivi culturali
e ideologici, ed è per questo che diventa ormai difficile fare distinzioni nette tra le classi. Secondo Labini
l’unico modo per distinguere le diverse classi sociali è individuare il modo con cui si ottiene un certo
reddito, ovvero individuare il “tipo di lavoro”. Negli anni Ottanta allora Labini fa questa divisione della
società italiana in cinque classi sociali: borghesia, classi medie urbane (più eterogenee e numerose: 44%),
coltivatori diretti, classe operaia (la seconda più numerosa: 43%), sottoproletariato. Mioni invece suddivide
la popolazione in (alta e piccola) borghesia, operai e contadini. Anche Labov si occupa della variabile di
strato sociale in SL, e crede che il rango sia meglio stabilirlo in base al “tipo di lavoro” che in base ai
consumi che si fanno. Secondo Labov, i tre fattori indici della classe sociale sono: il reddito, il grado di
istruzione e l’occupazione e definisce da tre a dieci classi: classe media, classe operaia e classe inferiore e
a ognuno dei tre fattori (reddito, istruzione, occupazione) può essere associato un valore da 0 a 3 e la
somma corrisponderebbe a una classe (si possono avere risultati che vanno da 0 a 9, ergo 10 strati).
Secondo Trudgill la ricchezza è il principale fattore di stratificazione sociale, ma impiega i tre fattori di
Labov (reddito, istruzione, occupazione) e anche il tipo di abitazione, il luogo di abitazione e l’occupazione
del padre; a ogni fattore può essere dato un valore da 0 a 5. Si ottengono quindi cinque strati: (media e
inferiore) classe media, (superiore, media e bassa) classe operaia. Trudgill ha notato che le tre classi più
“povere” omettono più spesso la marca di terza persona singolare nel presente indicativo (she love invece
di she loves…), mentre le prime due classi non omettono (quasi) mai questa marca. Questa divisione netta
è chiamata “stratificazione netta” da Labov, mentre di solito ci sono delle “stratificazioni fini”, come in un
continuum, con valori vicini tra i diversi strati. Per osservare questa variazione (omissione di marca alla
terza persona singolare nel presente indicativo di lingua inglese) basta suddividere gli individui sulla base
del tipo di occupazione e del grado di istruzione. Milroy non è d’accordo con questi fattori che misurano
l’appartenenza alla classe sociale e ritiene più appropriata una concezione qualitativa della stratificazione
sociale, ovvero suddividendo gli individui in base agli stili di vita, e i raggruppamenti fatti sono tre: lavoratori
autonomi orientati sulla loro attività produttiva (solidarietà e reti sociali con legami forti), salariati che non
hanno controllo sul processo di produzione (lavoro in funzione della famiglia, sempre con reti sociali fitte),
professionisti e lavoratori dipendenti di alto livello (il lavoro prevale sulla famiglia e le reti sociali sono a
maglia larga con legami deboli). In Europa di solito non si usano indici numerici come quelli usati da Labov
e Trudgill in quanto ci si accontenta di una categorizzazione più rozza, basata soprattutto su due fattori: tipo
di attività svolta e grado di istruzione (in Europa il reddito non è importante). Berruto stesso ha usato questi
due fattori per suddividere la società italiana in borghesia (ceto medio-alto), piccola borghesia (ceto medio-
basso) e ceto operaio. Un modello a tre strati è usato anche da Galli de’ Paratesi e da Bianconi. Rizzi
invece rifiuta una diversificazione in strati e suddivide gli individui secondo attività (manuale/non manuale)
e titolo di studio (alto/basso). Lo Piparo usa come variabile sociale il solo titolo di studio (scuola
elementare, scuola media, diploma, laurea). Insomma, i sociologi non amano questa maniera di studiare
sulla base della stratificazione sociale, mentre i sociolinguisti usano gli strati sociali non come entità da
studiare, ma solo come punti di riferimento, anche se spesso sono impossibili da oggettivare con sicurezza,
e Labov e Trudgill ne sono consapevoli. Secondo Berruto e Galli de’ Paratesi in Italia i due fattori più
informativi per stabilire la posizione sociale sono l’istruzione e la professione (che induce a un certo
comportamento anche linguistico in base al prestigio della professione), anche se sono da tenere in conto
le ideologie personali e gli indicatori di classe sociale (tipo di automobile, di telefono, di abitazione, di abiti,
di vacanze, di film, di libri…). Dunque, per il sociolinguistica è sufficiente individuare una stratificazione
sociale non molto dettagliata, comprendente pochi strati. Anzi, sarebbe sufficiente solo suddividere gli
individui in base a due grandi classi basate sul grado di istruzione: parlanti istruiti e parlanti non istruiti.
Infatti, il comportamento linguistico non si può ricondurre esclusivamente all'appartenenza di classe o a
qualsiasi altro fatto sociale (rapporto riduzionistico) né a un particolare strato deve corrispondere per forza
una certa variante linguistica (rapporto deterministico). Non c’è rapporto uno a uno tra società e lingua,
infatti i condizionamenti sono sempre probabilistici: è probabile che a un certo strato sociale corrisponda un
certo comportamento linguistico, ma può anche non essere così. Insomma in SL l’opposizione si può fare
solo tra alcune varianti principali a cui assegnare una certa correlazione con altrettanti principali strati
sociali.
3 - Modelli del rapporto tra lingua e stratificazione sociale
3.1 - Un modello sociologico
•• Ci sono stati tentativi di elaborare modelli teorici che mettessero in correlazione l’appartenenza di
classe sociale con determinati tipi di varietà linguistiche. Il più importante è il modello della teoria dei
due codici del sociologo dell’educazione Bernstein, molto criticata e fraintesa per la sua complessità
dai sociolinguisti. Possiamo distinguere tre fasi del suo pensiero: nella prima fase Bernstein parte
dal problema dell’insuccesso scolastico dei bambini del basso ceto operaio in Inghilterra negli anni
Sessanta (infatti quei bambini possiedono solo un codice ristretto, non adeguato alle richieste della
scuola per la trasmissione dei contenuti educativi; i bambini della classe media invece dispongono
sia di un codice ristretto sia di un codice elaborato, capaci quindi di parlare in maniera più astratta e
più logica), anche se Bernstein non condivide la “teoria del deficit”; nella seconda fase vede i due
codici come “codici linguistici” non come modi di esprimersi ma come modi di organizzazione e
formulazione verbale dell’esperienza e in più crede che i due codici siano generati non tanto in base
all’appartenenza di classe, ma in base alla divisione sociale del lavoro; nella terza fase (meno nota
presso i linguisti) la sua teoria diventa più complessa e più astratta: al centro c’è sempre la divisione
sociale del lavoro, infatti più è complessa la divisione sociale del lavoro meno è specifica la
relazione tra un agente e la sua base reale, più è indiretto il rapporto tra significati e una base
materiale specifica e maggiore è la probabilità di un codice elaborato. I codici sono ora caratterizzati
da due fattori indipendenti: classificazione (classification, relazione tra le categorie referenziali di un
contesto di riferimento; è basata sulla distribuzione del potere nella società e fornisce regole di
riconoscimento) e inquadramento (framing, regolazione delle pratiche comunicative tra emittente e
ricevente; riguarda il controllo della comunicazione e fornisce regole di produzione). Bernstein fa un
esperimento sui bambini di sette anni della bassa classe operaia e della classe media chiedendo
loro di raggruppare figure di diversi cibi e poi di motivare quel raggruppamento. I bambini della
classe operaia hanno dato motivazioni di carattere individuale (“è quello che ho mangiato a
colazione”, “non mi piacciono”), mentre i bambini della classe media hanno dato motivazioni più
logiche (sono verdure”, “vengono dal mare”…). Secondo Bernstein un codice è un principio
tacitamente acquisito che seleziona e integra significati rilevanti e forme di realizzazione evocando
contesti, quindi è riferito non a enunciati o a singoli contesti, ma a relazione tra contesti. I codici
possono essere specificati con la formula “O // + - Cie / Fie", dove O sta per orientamento di
significato (elaborato, ristretto), + e - stanno per forte e debole mentre i ed e stanno per interna (in
un determinato contesto comunicativo, come: scuola, famiglia…) ed esterna (relativa al rapporto tra
contesti diversi, come: tra famiglia e scuola…). Un codice +C +F è conveniente in termini di
trasmissione (come è quello dei bambini della classe media) e mostra quindi un maggiore grado di
scolarizzazione. Secondo Halliday i due tipi di codici da un punto di vista linguistico sono diverse
strategie d’uso della lingua. In realtà, non è vero, come crede Bernstein, che la correlazione tra
estrazione sociale