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CAP. 6 LA POETICA DEL SIMBOLISMO E LA CRISI DELLA RAPPRESENTAZIONE
La poetica del simbolismo, il cui principale esponente è Mallarmé, considera la scena come luogo
della poesia, del sogno e dell'esaltazione della non realtà quotidiana. Esso si oppone al naturalismo,
così come alla pièce bien faite. Non si tratta però di un movimento che succede cronologicamente
a un altro, visto che la parte più viva del simbolismo si ha tra l'ultimo decennio dell'800 e i primi del
900, quando il teatro è ancora fortemente segnato dal naturalismo. Il simbolismo non ha come
obiettivo sostituire una pratica teatrale o una struttura drammaturgica a un'altra, ma vuole contestare
alla radice l'idea di teatro con le sue convenzioni sceniche e il professionismo dei suoi interpreti. I
protagonisti del teatro simbolista non sono drammaturghi ma poeti, inoltre ai testi dei professionisti
della scena si contrappongono le grammatiche dei poeti. Quindi, in sostanza, il bersaglio principale
del simbolismo non è tanto la letteratura drammatica del naturalismo quanto la condizione
degradata, perché priva di poesia e di mistero, dello spettacolo naturalista. Con il simbolismo, quindi,
si ha il rifiuto del teatro-spettacolo a favore del teatro-scrittura che diventa per i simbolisti uno spazio
teatrale e al tempo stesso scena di una auto-rappresentazione del sè.
Uno dei modelli a cui si rifà il movimento simbolista è il teatro di Ibsen. Di Ibsen, in particolare, ai
simbolisti piaceva il significato nascosto dietro l'apparente oggettività dei testi, che erano disseminati
di indizi relativi a questa realtà alternativa. Gli altri punti di riferimento saranno, sul piano letterario,
Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e Mallarmé; sul piano della teatralità la figura di spicco sarà Wagner,
mentre sul piano della filosofia del teatro, il punto di riferimento base è Mallarmé. Wagner, infatti,
anche se da un lato difende la necessità del realismo a teatro, dall'altro si fa promotore di una nuova
sensibilità, legata alla leggenda, al mito e al mondo onirico. In altri punti, però, Wagner è lontano dai
simbolisti, in quanto rimane legato alle convenzioni dello spettacolo rispetto a un movimento come
il simbolismo che invece privilegia sopra ogni altra cosa la scena interiore e che teorizza l'inutilità
del teatro persino a teatro. Per questo motivo, ai simbolisti non interesserà tanto il Wagner teatrante,
quanto il Wagner musicista, in quanto la musica servirà al simbolismo per rivendicare la potenzialità
musicale della parola drammaturgica. Infatti, centrale nel simbolismo sarà la parola poetica. In
sostanza, il nuovo teatro simbolista non prevede nessuna contestualizzazione storica e sociale,
nessun conflitto di carattere, nessuna azione che limiti la vita quotidiana e nessuna verosimiglianza,
ma solo la potenza della parola poetica che riempie la scena.
AI centro dell'universo teatrale non c'è più l'uomo concreto, fatto di azioni e di passioni, ma l'idea
dell'uomo legata al mistero, al sogno e al mito. Di conseguenza, la parola non serve più a esprimere
sentimenti e passioni, ma a evocare appunto il mistero e a esprimere l'ineffabile. Anche la figura
dell'attore, con la sua materialità e la sua psicologia, viene eliminata dal teatro simbolista in quanto
inevitabilmente finisce col rendere particolare e determinato ciò che per il poeta è invece
indeterminato e assoluto. A questo proposito, un importante esponente del teatro simbolista, Alfred
Jarry, rivendicherà il teatro dei burattini, considerato l'unico in grado di restituire l'esattezza del
pensiero poetico e drammaturgico. Pertanto, con il simbolismo riaffiorerà il mito della marionetta che
sarà uno dei filoni teorici fondamentali del teatro del primo 900. Un altro esponente del teatro
simbolista è Maeterlinck il quale, nei suoi testi come L'intrusa, I ciechi, Pelléas e Mélisande e Interno,
sperimenta la cosiddetta drammaturgia della stasi, mostrando spesso situazioni già definite agli
occhi degli spettatori ma che sono sconosciute ai personaggi sulla scena (per esempio, la morte del
prete che accompagna la comitiva di ciechi ne I ciechi o la morte della figlia che l'Avo alla fine
dell'Intrusa non riesce a vedere perché cieco).
Possiamo in particolare notare la costante presenza di personaggi ciechi e della morte. Il
personaggio cieco in realtà è una metafora dell'uomo che non sa il motivo per cui non ha strumenti
di conoscenza e che per questo è costretto alla stasi. Da questa condizione scaturisce l'angoscia
dell'attesa vana, ovvero il senso di vuoto e di impotenza dell'individuo schiacciato da forze superiori.
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La morte, invece, non è intesa come morte tragica ma come dato di partenza e come elemento
scatenante dell'attesa. Utilizzando le categorie interpretative individuate da Roman Jacobson,
possiamo dire che la struttura del dramma naturalista è metonimica, dove un fatto acquista senso
da ciò che è avvenuto prima e prepara a quanto verrà dopo. Il dramma simbolista, invece, è
metaforico, in quanto il senso procede per metafore, per simboli e per accostamenti inusuali. Nel
teatro simbolista il linguaggio non si preoccupa di spiegare né di descrivere, ma di comprendere in
un'unica parola realtà ineffabili, sensazioni e misteri. Per fare questo il simbolismo utilizza spesso le
sinestesie, ovvero contaminazioni tra sensi diversi. A questo proposito, esemplificativa è l'opera
Martyre de Saint-Sebastién di Gabriele D'Annunzio, dove il poeta scrive in un francese infarcito di
termini arcaici e di vocaboli incontaminati. In quest'opera, inoltre, il testo non è distinto dalle
didascalie. La didascalia dannunziana, infatti, non rappresenta un'indicazione per la messa in scena
e per i movimenti degli attori, ma è un vero e proprio brano letterario che può contenere indicazioni
per i personaggi. Nel simbolismo, inoltre, è costante il recupero di stilemi di derivazione medievale,
soprattutto attraverso il ricorso alle figure dell'allegoria. Molto spesso, inoltre, il drammaturgo, si
rifiuta di rendere particolari determinati i personaggi, per questo li nomina solo con una antonomasia
della loro situazione esistenziale. 12
–
CAP. 7 IL TEATRO DELLE AVANGUARDIE STORICHE
Nel 1896 va in scena l'Ubu Roi di Alfred Jarry, che rappresenta un vero e proprio evento-spartiacque
che chiude la fase iniziale del simbolismo francese e si pone come punto di riferimento per i
movimenti di avanguardia che si svilupperanno nel 900. A questo proposito, però, è difficile spiegare
come i simbolisti, propugnatori della bellezza, dell'ideale, dell'assoluto e del mistero, abbiano potuto
accettare e applaudire un testo come l'Ubu Roi, che non presenta affatto questi elementi. In
quest'opera, infatti, si ha un abbassamento di tono del linguaggio e una deformazione grottesca
della lingua, per questo motivo l'opera è molto lontano dalla poetica dei simbolisti. Probabilmente,
l'aspetto di quest'opera che piacque maggiormente al movimento fu la sua carica meta-teatrale.
Le vicenda ricalca, con un registro e un tono inferiori, la storia del Macbeth di Shakespeare, dove il
protagonista Ubu è impegnato a conquistare il regno a costo di omicidi efferati. In quest'opera è
quindi in sostanza presente la dimensione metalinguistica che sarà predominante nel teatro del 900.
La dimensione metalinguistica è in realtà comune a tutta l'arte contemporanea, e non solo al teatro.
Possiamo per esempio pensare all'arte non figurativa dove centrale è il linguaggio, a scapito
dell'elemento referenziale, del riconoscimento e della descrizione della realtà esterna. Le ragioni di
questa situazione sono complesse, ma quella predominante risiede nella crisi presente in molti
contesti sociali e culturali di quel tempo, come la crisi ideologica della borghesia, la crisi sociale e la
crisi dei valori. Inoltre, in quegli anni, c'è anche una crisi d'identità che investe tutte le arti. Il teatro,
in particolare, è direttamente implicato in questa crisi in quanto, alla fine dell'800, compare un nuovo
mezzo di comunicazione, il cinema, che si pone in immediata concorrenza con esso. Il cinema si
dimostra molto più efficace del teatro sia nel raccontare storie che coinvolgano emotivamente lo
spettatore, sia nel rappresentare verosimilmente la realtà; per questo motivo il teatro del 900
comincerà a spostare il proprio interesse dalla realtà al linguaggio, facendosi prevalentemente
metalinguistico.
In questi anni entrano in crisi anche tutti i presupposti teorici su cui il teatro si era fino a quel momento
fondato, ovvero: il teatro come luogo di educazione civile e morale, il teatro come luogo in cui la
società rappresenta sè a se stessa e il teatro come luogo in cui raccontare storie. Il teatro del 900
lascia al cinema la funzione di raccontare storie e di coinvolgere emotivamente lo spettatore,
occupandosi della sperimentazione linguistica e delle pratiche di spettacolarizzazione della vita. Per
questo motivo, il teatro diventa sempre più elitario, disinteressandosi del contatto con il grande
pubblico. In questo senso, la questione era capire se e in che modo tener conto delle attese del
pubblico quando queste ultime erano sconvolte da una nuova forma d'avanguardia. A tal proposito,
i futuristi, seguiti poi anche dalle altre avanguardie, rivendicano la propria volontà di diversità e
affermano addirittura la volontà di essere fischiati da parte di un pubblico inevitabilmente meno
avanzato di loro.
Lo spazio delle avanguardie diventa a questo punto un nudo contenitore che non è spazio
significante, in cui un poeta declama i suoi versi direttamente rivolgendosi al pubblico, un letterato
legge un suo manifesto oppure un musicista suona un suo pezzo. Questo avviene in particolare
nelle serate futuriste o dadaiste. Oppure lo spazio può essere luogo di sperimentazioni che negano
la scena tridimensionale e che fungono da semplice sfondo pittorico ad azioni stilizzate e anti-
naturalistiche. In questo senso, è evidente come i futuristi, guidati da Marinetti, così come tutte le
avanguardie che seguiranno, si oppongano al naturalismo. I futuristi, inoltre, contestano la relazione
stretta tra attore e personaggio, così come la recitazione psicologica e interiorizzata. Cambia dunque
totalmente il modo di intendere la recitazione dal momento che cambiano i rapporti tra attore e
spettatore e tra attore e personaggio. In questo contesto si afferma il mito della marionetta, che
caratterizzerà praticamente tutte le avanguardie del 900. Sul piano drammatur