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7. LA DRAMMATURGIA DEI GRUPPI
Il ridimensionamento del ruolo del regista, l’evanescenza del testo e il
rinnovamento della centralità dell’attore sono alcuni dei tratti salienti del decennio
teatrale degli anni ’70 e di ciò che sarà definito postavanguardia. Intorno alla metà
degli anni ’70 una nuova generazione si affaccia sulle scene italiane: inizia così un
percorso inedito rispetto al teatro ufficiale, o meglio una moltitudine di percorsi
che reinventano via via altrettanti teatri possibili. Non si tratta tanto di rinnovare il
linguaggio teatrale dall’interno, quanto di ridefinirne il senso e la funzione
muovendosi sui suoi limiti, misurandosi con la contemporaneità, le sue
suggestioni e contraddizioni. Tra i gruppi che operano in quegli anni troviamo i
Magazzini criminali di Federico Tiezzi, Sandro Lombardi e Marion d’Amburgo che
esprimono bene le temperie di un’epoca che intende tecnicamente misurare uno
scarto rispetto al passato, magari anche nella prospettiva del gesto ancora inedito,
Genet a Tangeri
scandaloso, come dimostra proprio la rappresentazione di durante
il Festival Sant’Arcangelo di Romagna. Una scena, poco prima dell’evocazione
genettiana del massacro dei palestinesi nei campi di Sabra e Chatila, si svolge
mentre gli addetti alla macellazione ammazzano un cavallo. La stampa scriverà che
“i Magazzini hanno ammazzato in scena un cavallo”, mentre semplicemente la
compagnia squarciava il velo sulla violenza necessaria per l’alimentazione umana,
come una metafora. Nell’estate del 1985, colpendo loro, in realtà si voleva colpire
tutto il nuovo teatro italiano, le formazioni della cosiddetta ‘postavanguardia’ o
‘teatro della nuova spettacolarità’ che proprio in quegli anni cercava di reintegrare
il testo letterario nel tessuto spettacolare. I Magazzini avevano intrapreso questo
percorso per primi. Per i Magazzini la costruzione dello spazio diventa
progressivamente il sintomo di un’articolazione del linguaggio teatrale volto alla
Crollo
riscoperta del paradigma drammatico e di un rinnovato senso narrativo. Da
nervoso Sulla Strada,
a i Magazzini cercano una ‘lingua’ che si discosti da quella
prosastica del teatro borghese e la trovano nella poesia, poiché nella poesia il
linguaggio preserva il segreto magico della parola, vive nel ritmo, comunica
attraverso il respiro.
La stessa istanza poetica muove altri gruppi, come La Gaia Scienza, maggiormente
orientato verso una dissoluzione del testo più tradizionale in forme molto avanzate
Cronache marziane, Gli
di scrittura scenica. Gli spettacoli de La Gaia Scienza –
insetti preferiscono le ortiche, Cuori strappati – esprimono il rifiuto della narrazione
attraverso un procedimento di spiazzamento e disarticolazione di ogni elemento del
linguaggio scenico. Compagnia teatrale originata a Ravenna nel 1983 da Marco
Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni, il Teatro delle Albe
si distingue per la creazione di un linguaggio scenico dal tratto unico, fatto di
drammaturgie originali e di riscritture dei testi classici, di una verticalità dell’attore
scavata nella ricerca vocale e di un afflato eretico che muove l’opera e l’azione. La
sua impronta si espande da sempre, al di là del piano scenico, in un impegno volto
alla costruzione di mondio, all’incontro con l’altro, a una dionisiaca condivisione
dell’esistenza nell’arte.
8. NAPOLI, LA «METROPOLI TATUATA»
Napoli, città il cui fattore identitario è alla base della costruzione del cosiddetto
comportamento sociale recitato, è uno dei pochi centri in Italia che possa contare
una genealogia continua e coerente di attori-autori. Il 1980 è considerato un anno
di capitale importanza per la storia del teatro italiano poiché proprio a Napoli fa la
propria apparizione un insieme di grandi drammaturghi: Enzo Moscato, Manlio
Uscita d’emergenza)
Santinelli (che in quell’anno debutta al San Ferdinando con e
Le cinque
Annibale Ruccello, che compie la svolta decisiva del proprio percorso con
rose di Jennifer. Proprio dentro la tradizione sta il tentativo di evoluzione, di
trasformazione, di una pelle che non muta ma tatua su se stessa nuovi colori
innestando nuove vicende su un corpo antichissimo, attraverso una drammaturgia
dei corpi, quindi una drammaturgia dell’attore, che esprime la propria origine e
Santanelli
identità sul palcoscenico. Nelle commedie di si avvertono alcuni influssi
del teatro dell'assurdo, soprattutto per uno stato apparente di immobilità e di
apatia, unito alla follia e all'assurdità delle situazioni narrate, che però vengono
superate da un'ironia tutta napoletana, grazie al particolare linguaggio adoperato
dall'autore, un impasto di italiano e di dialetto che si presta a rappresentare
situazioni che oscillano tra il comico e il tragico. Questa naturalezza di
un’alternanza italiano/dialetto viene ripresa da Eduardo, così come la presenza di
Regina
un’attrice fondamentale del teatro di De Filippo, Isa Danieli, protagonista di
madre (1985). Alfredo, grigio cinquantenne segnato dal duplice fallimento di un
matrimonio naufragato, che ancora lo coinvolge, e di un’attività giornalistica nella
quale non è riuscito ad emergere, un giorno si presenta a casa della madre
dichiarandosi deciso a rimanervi per poterla assistere nella malattia. In realtà egli
nutre il segreto intento di realizzare uno scoop da cronista senza scrupoli:
raccontare gli ultimi mesi e la morte della vecchia signora. Ma la vecchia signora,
di nome Regina, seppure affetta da ogni specie di infermità, appartiene alla
categoria delle matriarche indistruttibili. Tra i due personaggi in scena si instaura
così un teso duello, condotto mediante uno scambio ininterrotto di ricatti e
ritorsioni, di menzogne e affabulazioni. La stessa situazione ritorna nel testo più
Ruccello, Ferdinando (1986).
importante di Donna Clotilde, baronessa borbonica
in decadenza come tutta l'aristocrazia fedele ai Borboni, decide di vivere gli ultimi
anni della sua vita nella sua casa di campagna in una non precisata zona dell'area
vesuviana, scegliendo l'isolamento come segno di disprezzo per la nuova cultura
piccolo borghese che si va affermando dopo l'unificazione d'Italia. Il Regno delle
Due Sicilie è appena caduto. È con lei una cugina povera, donna Gesualda, che
svolge l'ambiguo ruolo di infermiera/carceriera. I giorni trascorrono uguali, tra
pasticche, acque termali, farmaci vari e colloqui con il parroco del paese, Don
Catello. Nulla sembra poter cambiare il corso degli eventi, finché non arriva
Ferdinando, un giovane nipote di Donna Clotilde, dalla bellezza “morbosa e
strisciante”. Sarà lui a gettare lo scompiglio nella casa, a mettere a nudo
contraddizioni, a disseppellire scomode verità e a spingere un intreccio
apparentemente immutabile verso un inarrestabile degrado. Ferdinando
rappresenta uno dei punti più alti della drammaturgia italiana degli anni Ottanta;
nelle battute dei personaggi si ostenta una superiorità sofisticatamente difesa del
dialetto napoletano; sicuramente ultimi battiti di un grande cuore borbonico ma
soprattutto un autore che decide di affidarsi alla tradizione, al napoletano come
ultimo baluardo contro un'epoca nuova, spaventosa. Nel 1985, anno in cui
Moscato
Ferdinando,
Ruccello vince il premio IDI con si aggiudica il Premio
Pièce noire.
Riccione per
Quella che storicamente è stata definita la ‘nuova drammaturgia napoletana’
raccoglie qui tutti i suoi elementi più interessanti e specifici: la notte, il sogno,
l’impalpabilità, i sentimenti torbidi, le follie, il giallo, la figura angosciante della
donna, i bassifondi napoletani, l’omosessualità e l’utilizzo innovativo della lingua.
Il lavoro forte, carnale sulla parola sembra contrapporsi al lavoro sofisticato
sull’immagine condotto, in quegli anni da Mario Martone che fondò nel 1978 il
gruppo teatrale Falso Movimento, proponendo una sorta di teatro-immagine basato
su installazioni e studi d'ambiente. Nei suoi spettacoli successivi, con ampio uso di
proiezioni e pannelli mobili, ha cercato la fusione di spazio, luci, suoni, colori,
movimento, gesto, musica e immagini, già uniti all’atto della creazione del testo.
9. LA ‘SOLITUDINE’ DEI NARRATORI
A partire dagli anni ’90 si sviluppa il fenomeno del cosiddetto “teatro di narrazione”
che esprime una rinnovata fiducia nella capacità che il racconto possiede di
organizzare una conoscenza plausibile della società, in un momento in cui
nessuna conoscenza sembra più possibile. Ispirandosi da un lato alle grandi
esperienze del monologo teatrale (a cominciare dal Mistero buffo di Dario Fo) e
dall'altro elaborando le innovazioni provenienti dal resto d'Europa alcuni attori-
autori iniziano a presentarsi sulla scena senza lo schermo del personaggio, ma
anzi - osserva Guccini - con la propria identità non sostituita per raccontare storie,
senza rappresentarle. Un teatro cioè che si fonda sul racconto di un performer che
- senza trucco, costumi o scenografia - assume la funzione di narratore, con la
propria identità non sostituita, metabolizza il proprio vissuto e la storia, operando
un recupero della memoria collettiva; è il testimone e non il protagonista della
Gabriele Vacis
storia che narra. Guccini fa risalire al lavoro di col Teatro Settimo
Stabat Mater,
la fondazione del teatro di narrazione: già a partire dal lavoro
spettacolo della fine degli anni ottanta (il debutto è nel 1989), con Laura Curino,
Mariella Fabbris e Lucilla Giagnoni, la partecipazione di Luca Riggio, la regia di
Roberto Tarasco e la produzione del Laboratorio Teatro Settimo. Nato da una
grossa produzione del Settimo, lo spettacolo giunge a realizzare un progetto
davvero anomalo: girare con questi personaggi in case private e luoghi non teatrali,
cercando il contatto diretto con il pubblico ristretto della casa per narrare le storie
di tre sorelle. Le attrici decidono di tenere addosso anche fuori di scena gli abiti
delle tre sorelle, che nella finzione spettacolare narrano i loro ricordi. La tournée,
che prevede il divieto di repliche nello stesso luogo, si configura in definitiva come
il viaggio stesso delle tre sorelle, un viaggio sul confine tra teatro e vita, tra il
dentro e il fuori della scena fino a far coincidere - nella percezione dello spettatore -
una quasi assoluta identità fra l'attrice nomade e il personaggio altrettanto
nomade che essa rappresenta. Stabat Mater ha quindi contribuito a mettere a
pu