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LE FORME DELL’OTTOCENTO

L’estetica del mélodrame e la vulgate del Romanticismo

«Fingiamo!»

Nato in Francia a cavallo tra fine Settecento e inizi Ottocento, il mélodrame fu codificato a partire

almeno da Coelina ouf l’Enfant du Mystère da Guilbert de Pixérécourt (1800) destinato a diventare

l’interprete più rappresentativo e fortunato, e si diffuse poi in altri paesi d’Europa, specialmente in

Inghilterra.

Il mélodrame – per il quale è preferibile conservare il termine francese, per non contraddire l’i-

taliano «melodramma» che designa l’opera lirica – è un genere strutturalmente particolare, nato

da una sorta di riconquista della parola da parte di spettacoli solo visivi. Prima della Rivoluzione

solo i teatri «patentati» potevano rappresentare i classici e le novità, mentre ai teatri minori erano

concessi spettacoli senza dignità letteraria, supportati solo dall’elemento spettacolare e dalla musi-

ca: dopo la Rivoluzione, la riconquista della parola provocò un’esplosione di forme meticce (mimo-

drammi, pantomime dialogate).

La struttura drammatica del mélo inverte i termini della macchina teatrale consueta: non è un testo

letterario pensato a priori che ha bisogno di una realizzazione, ma una forma spettacolare che

chiede aiuto alla drammaturgia per completarsi, mantenendo la spettacolarità originaria (panto-

mima, musica, balletto). Per questo restano fondamentali:

la musica, come strumento di sottolineatura emotiva e di individuazione dei personaggi;

– i tableaux [quadri] che – specie in finale d’atto - servono a riassumere in un’immagine com-

– posta situazione e stati d’animo dei personaggi.

Strutturalmente, il mélo viene dalla giustapposizione non omogeneizzata di elementi. Musica, ta-

bleaux, azione, balletti, momenti di sospensione lirica o esplicativa, numeri di grandiosità sceno-

grafica si sommano senza integrarsi, offrendosi a una fruizione per singoli effetti, scomponibile in

momenti. Dato che i personaggi di base sono sempre gli stessi e la vicenda drammatica senza va-

riazioni, il mélo si concede una struttura ad assemblaggio, in cui l’opera esplora le infinite varietà

dello schema di base: il mélo è un prodotto dichiaratamente industriale, che assembla componen-

ti autonomi.

Il patetico è forse la cifra più importante del mélo: il punto di convergenza del pathos è nella

sofferenza muta e rassegnata della vittima, passiva e ignara delle forze che le si abbattono contro,

il cui eroismo è quello della sopportazione e non certo quello della lotta. Per questo, il soggetto del

patimento non è un eroe consapevole, maschio privo di innocenza e sublime nella sua tensione al -

l’azione, ma quasi sempre una vittima innocente, femmina e segnata da una serie di inferiorità so-

ciali e psicologiche. Il significativo rovesciamento è che la vittima alla fine vince, ma senza combat-

tere, per la intrinseca forza della moralità della storia (e magari perché trova un cavaliere che si

batte per lei): e con essa vince il pubblico che si è identificato nelle sue sventure, innescando il

meccanismo consolatorio che è la vera forza del mélo. La vera vittima sacrificale che permette alla

macchina spettacolare una ricomposizione dell’ordine infranto è in realtà il cattivo sopraffattore.

Che la macchina sia consolatoria è confermato dalla struttura dell’intreccio drammaturgico, che

nasce da una situazione edenica, di stabilità felice – violata dall’intrusione di un altro, che viene da

fuori a portare la minaccia e il tradimento. Alla fine, l’eroina è salva, torna nel proprio spazio inizia-

le con uno status rafforzato: l’ordine infranto si ricompone a un livello più alto. È una struttura cir-

colare, che non risolve lo scontro con una catastrofe totale [tragedia] o con la vittoria del mondo

dei giovani su quello dei vecchi [commedia]; il mondo che vince è quello iniziale, e la crisi non

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porta che la riconferma dei suoi valori.

Il mélo è stata confrontato con la struttura della fiaba analizzata da Propp. Dalla fiaba prende la

forma ideologica dello scontro fra Bene e Male e una struttura narrativa che sostanzialmente si di-

sinteressa dei personaggi come individualità, facendone delle «funzioni». Si potrebbe dire che il

mélo sta alla tragedia come la fiaba sta al mito, se è vero che tra mito e fiaba può esservi la stessa

materia, ma la fiaba né è la versione minore, degradata.

Il mélo è il regno del tutto esplicito, della completa e perfino impudica esteriorizzazione delle

forze in campo. Se il dramma moderno sposta all’interno dell’uomo il punto di tensione di conflit-

to, il mélo esteriorizza l’interno e rende un fatto sociale l’intimità psicologica dell’individuo.

Si ha l’impressione che il mélo non rappresenti l’universo borghese, ma costituisca una gigante-

sca operazione di orientamento delle classe subalterne uscite dalla Rivoluzione senza più i tradi-

zionali punti di riferimento. In realtà i valori del mélo sono i vecchi valori pre-rivoluzionari (l’onesta

povertà, la modestia, la sopportazione,...), proiettati in un ambiente contadino: il mélo offre alla

grande massa un modello di vita e una gerarchia di valori reali, insieme a una compensazione con -

solatoria delle sopraffazione e delle violenze delle classi dominanti che è solo simbolica, perché si

esaurisce nel simulacro di catarsi con cui si scioglie il nodo drammatico.

Il termine mélodrame stesso scompare, sostituito completamente dalla parola drame. Con l’av-

vento dei drammi romantici il mélo si inabissa, per poi ricomparire negli anni Quaranta, mutando

parzialmente forma e mostrando una vitalità che lo farà sopravvivere. Il dramma romantico si in-

nesta sulla tradizione del mélo, con solo alcuni elementi di rottura: l’uso del verso, la volontà di let-

teratura degli autori, il recupero consapevole di alcune suggestioni del Romanticismo europeo.

Tra teatro invisibile e teatro teatrale

«Il mio progetto non essendo quello di dare quest’opera in teatro»

GOLDONI DIDEROT

MONDO TEATRO MONDO LETTERATURA

Lo scrittore-teatrante, che scrive in di- Lo scrittore-letterato che, a tavolino,

retto contatto con la scena pronto a scrive un testo a priori, consegnandolo

scendere a compromessi con essa e in quanto opera alla letteratura prima

anzi a lasciarsi guidare da essa, che che al teatro, e che non intende rico-

consegna un testo che non possiede noscere alle necessità della scena al-

l’intangibilità dell’opera ma è disponi- cun diritto ad agire sulla costruzione

bile ad integrarsi con gli altri elementi del testo.

dello spettacolo.

Nella prima metà dell’Ottocento la grande letteratura teatrale e il testo rappresentato sembrano

divaricarsi fin quasi a un punto di non ritorno. In questo periodo c’è una non omogenea, ma rico-

noscibile categoria di teatro invisibile, fatto da grandi letterati ma pochissimo rappresentato, o ad-

dirittura non conosciuto dai contemporanei – tanto che non apparterebbe alla storia del teatro, se

non fosse per la riscoperta che se ne ebbe nel Novecento.

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FRANCIA Musset

INGHILTERRA Coleridge / Shelley / Byron / Swinburne

ITALIA Manzoni

GERMANIA Lenz / Kleist / Hölderlin / Büchner

BÜCHNER – Woyzeck

Il Woyzeck è una tragedia in senso stretto e – elemento di novità – interamente in

prosa, costituita da un linguaggio fratto, poco aulico ma anche poco colloquiale:

un linguaggio di estrema tensione in cui si produce un corto-circuito tra la qualità

umana del personaggio e la sua condizione sociale → La chiave del dramma è che il

linguaggio di Woyzeck è insufficiente alla profondità del suo tormento: il proletario

sente da eroe, soffre da nobile, ma il suo linguaggio lo tradisce e lo umilia, come i

suoi persecutori.

Oltre a ciò, c’è il conflitto tra condizione sociale e passioni: la condizione sociale

che determina la coscienza e la coscienza di essere determinato dalla condizione

sociale.

Con la sua sconvolgente modernità, Woyzeck è il prototipo perfetto di un teatro invisibile per ma-

nifesta incompatibilità con le regole dello spettacolo e della drammaturgia. Altro, seppure in alcu-

ni elementi differente, è rappresentato dal Faust di Goethe: un modello di scrittura di un’opera

«teatrale» che rifiuta di fare i conti col teatro e vuole misurarsi solo sul piano della grande lettera-

tura. A questo modello si può opporre quello di una drammaturgia come scrittura veloce, addirit-

tura in serie, totalmente al servizio delle necessità della scena: questo è il modello vincente, che

costituisce il «teatro visibile» dell’Ottocento, determinando la lunga separazione tra grande lette-

ratura drammatica e spettacolo teatrale.

Anche in Francia la fortunata stagione romantica non dura che un quindicennio, sconfitta al re-

cupero di una drammaturgia borghese diderotiana, con il ritorno del mélo e della commedia di ar-

gomento contemporaneo [→ Signora della camelie, Dumas]. Il genere dominante negli anni Qua-

ranta sarà quello del vaudeville, un prodotto industriale, fatto in serie a più mani, con una struttu-

ra drammaturgica esile e spesso pretestuosa, con un’alternanza di parti dialogate e di canzonette.

Sulla solidità strutturale della pièce bien faite potrà svilupparsi la cd. commedia sociale di Augier

e Dumas figlio e in più in generale la tipologia teatrale a cui si è dato il nome di realismo. Sulla base

del grande romanzo realistico e, in parte, sulla poetica diderotiana, nasce il dramma come rispec-

chiamento del sociale e come strumento di educazione e di perfezionamento dell’uomo. Rinasce

l’idea del dramma come specchio, come luogo dell’illustrazione di comportamenti psicologici e so-

ciali il più possibile aderenti a quelli in vigore negli strati significativi della società. Ora è la realtà e

non l’ideale a costituire il fondamento della scrittura drammaturgica; e il linguaggio deve farsi tra-

sparente.

Dumas, seguendo la sua vocazione moraleggiante, si renderà responsabile della diffusione di un

personaggio-funzione che avrà conseguenze rilevanti nella struttura di molto drammaturgia fra

fine Ottocento e inizio Novecento: il raisounneur, quel personaggio un po’ dentro e un po’ fuori

dell’azione drammatica, quasi alla maniera del coro greco, capace

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
18 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Armilla di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Drammaturgia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Cambiaghi Mariagabriella.