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IL PADRE GRACIAN
Baldasar Graciàn nacque nel 1601 a Belmonte in Aragona. La sua nascita aragonese e la consapevolezza di essere
concittadino del poeta ispano-romano Marziale ebbero profondo impatto sulla sua formazione. L’Aragona è
definita, nel Criticòn, “la buona Spagna”, regione dal temperamento difficile, tanto che i due protagonisti del
capolavoro, Cristillo e Andrenio, nel loro peregrinare in cerca della saggezza, troveranno la quiete dello spirito
solo sulla frontiera montuosa che dalla Castiglia immette in Aragona. La continuità con la tradizione letteraria
ispano-romana consente al poeta di ricostruire una linea genealogica tipicamente ispanica, caratterizzata dal gusto
per l’ingegnosità e lo spirito epigrammatico, che in Marziale aveva il suo capostipite. Graciàn evidenzia più volte
che l’arguzia ingegnosa e il gusto epigrammatico erano di casa nella modesta famiglia in cui egli era nato; i
quattro fratelli che, come lui, avevano scelto la vita ecclesiastica, erano infatti riusciti ad eccellere nell'oratoria e
precisamente, nella modalità sentenziosa ed acuta di gran moda all’epoca. Graciàn entrò nella Compagnia di Gesù
e fu ordinato prete, quindi ebbe l’incarico di insegnare grammatica latina agli allievi di un collegio gesuitico.
Prima di pronunciare i voti definitivi dovette fare tre anni di prova e li trascorse in parte a Valenza, dove il suo
temperamento orgoglioso fu messo a dura prova da alcuni confratelli, mossi contro di lui da meschine rivalità.
Quando poi Graciàn incominciò a scrivere e pubblicare le sue opere, non volle sottomettersi all’autorità della
Compagnia; ma le pubblicò sotto il patronato e a spese di un mecenate, servendosi di pseudonimi, tuttavia così
trasparenti da non ingannare nessuno. Aveva infine cominciato a occuparsi personalmente della stampa dei suoi
libri e a volerne ricavare denaro, il che implicava la disobbedienza al voto di povertà; i suoi rapporti con i
superiori divennero quindi molto tesi.
L’epistolario riguarda uno degli incarichi affidati a Graciàn, quello di cappellano dell’esercito spagnolo mandato a
domare l’insurrezione dei catalani (anno 1642), ai quali era venuto a prestare aiuto un corpo di spedizione
francese. Le lettere di questi anni mostrano il gesuita in una luce assai diversa da quella malinconica ed amara in
cui viene di solito presentato. Graciàn si rivela un attentissimo osservatore degli aspetti più curiosi della campagna
e registra dei particolari tecnici relativi alla strategia o al vettovagliamento delle truppe. Graciàn morì nel 1658. Le
sue prime opere pubblicate furono: El hèroe (1637), El Politico Don Fernando el Catòlico (1640), l’Arte de
ingenio (1642, ma l’edizione definitiva dell’opera del 1648, si intitolerà Agudeza y arte de ingenio); El Discreto
(1646), l’Oràculo manual y arte de prudencia (1647). I primi sono due trattatelli di argomento politico che si
richiamano al Principe di Machiavelli, ma che rivelano nel contenuto un intransigente antimachiavellismo: il
modello di principe antimachiavellico cui fanno riferimento è Fernando il Cattolico, autore dell'unità ispanica.
Più complesso è il caso dell’Oracùlo manual, la più fortunata delle opere di Graciàn, divenuta il manuale classico
del perfetto gentiluomo secentesco, il corrispettovo di quello che nel Cinquecento, era stato il Cortegiano. Si tratta
di una raccolta di trecento massime, ma l’opinione più corrente era che Lastanosa non sia stato solo l’editore o il
raccoglitore delle massime, ma le abbia modificate nel ricavarle dalle varie opere del gesuita; più recentemente
alcuni studiosi, notando che nel prologo del Discreto si fa allusione a un’opera perduta di Graciàn, il Varòn atento
con titolo mutato; l’intervento di Lastanosa si limiterebbe, in questo caso, alla scelta del nuovo titolo. Perplessità
ha sollevato anche il carattere ambiguo di certe massime, come la settima, che si intitola: “Evitare di averla vinta
sul proprio signore” e che insegna a comportarsi prudentemente, talvolta con dissimulazione verso i potenti, per
non suscitarne la pericolosa invidia; o la 21° che si intitola: “Arte per essere fortunati” e che insegna le regole per
ottenere la fortuna. Con questi aforismi, Graciàn vuole insegnare che le cose del mondo sono dominate dal caso e
dalla fortuna, ma il caso e la fortuna sono la materia che il saggio deve plasmare ai suoi fini. Egli esprime
profonda fiducia nella ragione umana e usa come fonte delle sue massime l’opera di Tacito. A partire da ora,
quindi, il gesuita segue la corrente “tacitista”: Tacito offriva ai suoi discepoli secentisti la possibilità di compiere
un percorso su Machiavelli giacchè, oltre ad essere un analista oggettivo e minuzioso della realtà, insisteva su
certe virtù dei governanti (in particolare la prudenza), sull’importanza delle leggi come freno all’arbitrio dei
potenti, sulla necessità di educare all’arte e alla pratica del governo tutto l’”entourage” del principe. Per questo, lo
sguardo era rivolto ai vari organi dello stato e ai diversi corpi sociali per studiarne il comportamento e favorirne la
collaborazione ai fini di un equilibrato esercizio del potere.
Al Graciàn dell’Oracùlo, infatti, non interessava dettare precetti al principe, ma solo delle norme di
comportamento per chi, trovandosi a contatto col principe (e in genere coi potenti), deve tentare giorno per giorno
di correggerne e moderarne l’arbitrio senza compromettere la propria incolumità e prestigio personale. Un altro
aspetto del tacitismo di Graciàn è la sua forte propensione per la scrittura breve e concisa: la predilezione per
l'espressione concisa affiora in molte dichiarazioni di Agudeza nelle massime dell'Oracùlo. Nel 1642 fu pubblicata
l’Arte de ingenio: fra la prima e la seconda edizione l’opera si arricchì di molti esempi (specialmente di
epigrammi di Marziale): Graciàn si proponeva di mettere insieme le sue idee e quelle dei contemporanei circa la
letteratura e l’oratoria, intese come manifestazioni di civile convivenza, ma, a causa del gran numero di esempi
tratti da autori antichi e moderni, l’Agudeza diventa un saggio del gusto contemporaneo per il genere “acuto” o
“ingegnoso”. L’Agudeza esordisce con una dichiarazione di fede nell’invenzione, nella novità, di contro al
principio aristotelico dell’“imitatio” e prosegue con la distinzione dell’intelletto in due facoltà: ingenio e juicio e
con la volontà di occuparsi esclusivamente della prima: l’ “ingenio” tende alla bellezza e per raggiungerla, si
avvale dell’impiego di tutti gli strumenti retorici, in particolare dell’ “agudeza” o “concepto”. Il Criticòn è un
ampio romanzo allegorico e satirico diviso in tre parti che rappresentano le tappe fondamentali della vita umana;
la prima parte, con il sottotitolo “En la primaver de la ninez y en el estìo de la juventud”, fu pubblicata nel 1651
sotto lo pseudonimo di Garcia de Marlones; la seconda parte, col sottotitolo “En el otono de la varonil edad” e
sotto lo pseudonimo di Lorenzo Graciàn, vide la luce nel 1653; la terza, infine, con lo stesso pseudonimo della
seconda e il sottotitolo “En el invierno de la vejez”, nel 1657.
Il libro ha uno stile avventuroso, incentrato su una coppia di protagonisti di cui si seguono le sorti fino alla fine;
dopo i primi capitoli, gli interventi dei due personaggi sempre più prevedibili, diventano un pretesto per
l’inserimento dei numerosi quadri allegorici. Un uomo giovane con amare esperienze alle spalle, Critilo, fa
naufragio su un’isola deserta dell’Atlantico, Sant’Elena, dove si imbatte in un giovane selvaggio, che gli mostra la
massima simpatia. Vedendolo intelligente e desideroso di apprendere, Critilo gli insegna la sua lingua con
l’intento di trasmettergli tutte le nozioni e le esperienze di cui è in possesso, imponendogli per prima cosa il nome
di Andrenio. Il tema dell’uomo allo stato primitivo, consente a Graciàn di fare sottili considerazioni sulla natura
del pensiero e del linguaggio umano, nonché sui loro reciproci rapporti e di affermare la capacità dell’uomo di
conoscere Dio e di tendere al bene anche al di fuori della fede rivelata, con le semplici risorse della ragione e delle
inclinazioni naturali. La saggezza deve condurre a un equilibrio per garantire utilità e diletto: ogni opera, ogni
creazione della mente umana deve mirare a entrambe le finalità, deve avere un carattere “agrodolce”, come dice
Graciàn. In base alle età della vita e ai temperamenti individuali, gli uomini possono inclinare più al dolce che
all’agro; ma il saggio, cioè l'uomo maturo, deve preferire una mediazione fra le due qualità. Quando Critilo e
Andrenio giungono alla frontiera fra la Castiglia e l’Aragona, al limite fra la giovinezza e la maturità, si accorgono
che i Doganieri del Tempo fanno buona guardia affinchè non si contrabbandino gusti o inclinazioni inadatti all’età
più adulta. Così, nell’ambito della letteratura, sono preferibili Luciano e Seneca, piuttosto che la letteratura
proseguita sulle poesie amorose di Petrarca o di Boscàn.
L’insegnamento di Graciàn, quindi, ha un valore sul piano letterario, ma anche su quello morale. Il concetto di
saggezza artificiosa è complesso: essendo una particolare disposizione dell’animo umano, che è corrotto dal
peccato, essa può anche servire a fini malvagi, da qui l’amarezza del gesuita, la sua satira che occupa molte
pagine del romanzo. I maggiori responsabili della corruzione nel '600 sono considerati i ceti industriosi e
mercantili, dove abbandonavano gli ebrei e i moreschi, ai quali vengono contrapposti i contadini (in genere vecchi
cristiani). Per questo, Graciàn ha un senso così alto della morale e accusa le donne di aver pervertito l’uomo:
questi era il re dell’universo per la legge stabilita da Dio, ma nei secoli ha fatto della donna il suo favorito, ed ella
può tutto. Le considerazioni di ordine politico sono assai frequenti e denotano un accentuato pessimismo: i
governi appaiono a Graciàn ispirati alla doppiezza, all'utilitarismo, alla falsità e i politici sempre machiavellici.
Connessi con la tematica politico-morale, sono i giudizi che il gesuita fornisce sui vari popoli attingendo, da un
lato alla tradizione letteraria, dall’altro ai proverbi popolari: i portoghesi sono sempre cortesi e innamorati; i
castigliani incostanti e fanfaroni; gli aragonesi s