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BUR
L’ETÀ DI CARLO V: a partire dal 1520 l'opera di Erasmo si diffonde in tutto il Paese ed interessa non solo la
sfera religiosa ma anche i centri di potere e la corte. Alimenta le speranze di un ritorno alla purezza del
cristianesimo primitivo e promuove un’autentica riflessione interiore vd. Enchirydion militis christiani.
Attraverso i circoli erasmiani si fa più profondo il contatto con il mondo classico (greco e latino). Lo strumento
ideale di comunicazione con la comunità è il dialogo, e questo implica un ripristino dei modelli classici. Juan
Luis Vives assimila la parte comunicativa e pragmatica della lezione di Erasmo. In pseudodialecticos contro
gli artifici della retorica medievale, in exercitatio latinae linguae inserisce personaggi che discutono tra di loro
i contenuti di una lezione di fonetica inseriti uno schema di una giornata esemplare. Erasmo offre anche un
esempio di peregrinatio cristiana, mito del predicatore viaggiante. Alfonso de Valdes vede in Carlo V un
sovrano illuminato che guida il popolo senza violenza né inganni. Dialogo de Mercurio y Carón e Dialogo de
Lactancio y Arcediano sono opere in un è contenuta un’aspra polemica contro la Chiesa romana. Nell'opera
del fratello Juan invece è preminente l'aspetto della riflessione interiore: Dialogo de la doctrina Cristiana,
Alfabeto cristiano, Centodieci considerazioni. Rischio di eresia mentre approfondisce il confronto con la
teologia dommatica sui problemi fondamentali: rifiuta l'intimidazione implicita nell’idea di peccato e sostiene il
valore della libertà di coscienza e la consolazione certa del perdono di Cristo. Utilizza la forma del dialogo
per la chiarezza del messaggio. Nel Dialogo de la lengua afferma la maturità del castigliano e il suo primato
sulle altre lingue iberiche, ricerca di un sistema di norme linguistiche, consiglia di evitare volgarismi, avverte
in questa medietas la forma più adeguata. Dopo il 1530 l’erasmismo subisce censura e declino (vd.
Francisco de Vitoria da erasmista a censore). Francisco de Osuna, frate francescano, nella prosa mette
davanti l'utilità del messaggi e abbandona la forma del dialogo in favore del trattato religioso, l’epistola o il
sermone. Per lui un'anima senza amore di Dio è come un uccello senza piume. Juan de Avila opere
postume Epistolario espiritual e Audi filia. Egli scrive unicamente per interlocutori reali mosso da un impulso
etico-pratico. Compone delle lettere ad una dama che prima di essere simbolo della pecorella smarrita è
un'autentica figlia in carne ed ossa. Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della compagnia di Gesù, compone
gli Esercizi prima in spagnolo e poi in latino (simboleggiano l'allenamento dell'anima). Si esprime spesso
attraverso le cartas. La vita umana è solo un mezzo nel disegno universale di Dio, non gli è estraneo il
linguaggio cavalleresco ma essendo a conoscenza dei suoi limiti (sopravvivono termini, non contenuti): si
definisce “cavaliere di Cristo”.
Poesia italianista: incontro di Boscan con l'ambasciatore veneto Andrea Navagero che lo esorta ad
esercitarsi nell’endecasillabo e nel sonetto ricalcando le forme dei migliori poeti italiani. Neoplatonismo: le
opere dottrinali riescono a influenzare atteggiamenti e scelte dei poeti vd. Marsilio Ficino sull'amore come
strumento di perfezione e dorma di conoscenza della realtà diffuso attraverso i Dialoghi d’amore di Giuda
Abravanel. Questa influenza è la premessa ideologica alla poesia petrarchista: i poeti hanno bisogno che la
loro creazione riceva il consenso di un ideologia universale. Influenza del Cortegiano di Castiglione stampato
a Venezia nel 1528, modello del perfetto cortegiano, sintesi di nobiltà cavalleresca, di equilibrio e perizia
nelle arti. Erasmisti e classicisti condividono l'utopia di un impero degli Asburgo come ideale platonico-
cristiano di nazione.
Garcilaso de la Vega motivi principali della sua opera: con questa della lingua poetica misurata e fluente,
equilibrio fra creazione artistica e il mito biografico del poeta, intesa fra intellettuale e corte. Ha piena
consapevolezza dei valori letterari e formali della sua opera, utilizza come modelli metrici quelli italiani, ma la
sua diventa una vera e propria ricerca, sperimenta la sua capacità dinamica. Oscilla nella sua coscienza tra
versi di arte mayor (struttura ad infinitum, aperta) e severe forme obbligate come la canzone e il sonetto.
Intorno al tema di amore-dolore si dispongono quelli di eredità petrarchesca: li adatta ad una lingua diversa
da quella italiana. Il poeta emerge come individualità precisa e conferisce alla sua produzione un limpido
egocentrismo del sentimento con un’autonoma riflessione. I sonetti sono in struttura crescente sull’unico
pilastro che è la confessione amorosa, rimasti incompiuti per la morte dell'autore. Le Egloghe appartengono
agli anni della maturità e testimoniano l’adesione al petrarchismo. Il virtuosismo aristocratico di Sannazzaro
si intravede. Pastori e ninfe, lamento d'amore, ricordi mitologici sono la materia di tutti e tre i poemetti (il
modello italiano è presente come suggeritore, mai ispiratore. Viene tenuto a distanza). Illustra l'esperienza
dell'uomo che nasce dalla contemplazione della natura e dalla scoperta della propria solitudine. Si tratta di
un'unica storia, una specie di celebrazione della condizione d'amore la cui genesi autobiografica (la passione
per Isabel Freyre) è vincolante. Per bocca di ogni pastore-amante rievoca uno scorcio della vicenda
amorosa, travaglio per l'assenza (Salicio), sentimento di perdita irreparabile (Nemoroso), gioco d'amore e poi
smania del possesso e la follia per un nuovo abbandono (Albanio), pianto e celebrazione per l'amata
scomparsa (Nise). Vi è l'ipotesi di una struttura comune ai tre poemetti poiché il poeta sembra avere una
concezione unitaria nella ricorrenza dei nomi e dei volti e in quella degli elementi naturali. 1) è bipartito tanto
che ai due pastori Salicio e Nemoroso sono concessi lo stesso numero di versi. Il poeta fa trasparire un filo
di emozione ma senza abbandonarvisi. 2) azione principale affidata ad Albanio che vive l'incontro sulla
scena con la ninfa Camila. Lunga tirata panegirica sui duchi d’Alba. 3) scena quasi ferma, le ninfe vengono
contemplate a distanza, il poeta si distanzia da esse rivelando il suo obiettivo ultimo: oggettivare il suo caso
umano. Garcilaso muore durante l’assedio della fortezza di Muy in Provenza senza eroismo, quasi per caso.
Egli odiava il mestiere del soldato e la guerra e si era definito conducido mercenario (da cortigiano a
mercenario comandato) e sovverte il concetto di milizia come portatrice di fama. L'eroismo per lui è tutto
nella poesia e nella lingua.
Cristóbal de Castillejo si oppone a Garcilaso, Boscan, Hurtado de Mendoza e in una delle sue invettive
chiama in causa l’Inquisizione, le sette religiose, e persino Lutero. Egli sente il verso tradizionale in arte
mayor come rappresentativo dello stato. Il suo è come un appello al ristabilimento dell'ordine. Parla in nome
della comunicazione immediata. Attaccare i petrarchisti non significa soltanto combattere una forma di
“extranjerismo” ma anche smascherare un groviglio di sottigliezze non aderenti alla verità dei sentimenti,
denunciare una mancanza di chiarezza che pregiudica il contatto con la poesia. La sua rimane una voce
isolata nello splendore ufficiale dell’italianismo di corte.
Storiografia: Pero Mexía Historia Imperial y cesárea fondata sul concetto universalistico del nuovo impero
come ultima espressione dell'impero romano e perciò una storia del mondo. Poi si dedica a un racconto
dettagliato Historia del emperador Carlos V rimasta incompiuta, in cui giunge a una lucida mediazione fra
verità storica e idea della mansione universale dell'imperatore. Francesillo de Zuniga cronista in chiave
burlesca, storia parodiata del regno Coronica Historia (1527) non ha ambizione moralistiche e si concede il
lusso di beffare i personaggi, l'obiettivo è divertire i lettori e li suppone a conoscenza dei pettegolezzi e delle
miserie dei cortigiani.
Antonio de Guevara nasce la figura del moralista di corte. Nelle sue opere ci sono due volti:
rappresentazione di un’esperienza attuale e mondana racchiusa in un involucro di finzione letteraria spesso
arcaicizzante. Libro aureo del emperador Marco Aurelio breviario di regole per il buon governo dei principi.
Non ha nulla di originale: il racconto appare al lettore dopo strati di calcolate mediazione vd. Finzione del
manoscritto ritrovato. Il frate appoggia la politica è la forza del suo re, ostenta anche un pacifismo di fondo.
Nell’episodio del “villano del Danubio” traspare una requisitoria contro la tirannia dei nuovi conquistatori
spagnoli sugli indigeni d’oltre oceano. Nel Menosprecio de corte y alabanza de aldea l'autore adotta il luogo
comune del beatus ille. Lo stile ha due piani diversi: da un lato l’eloquenza accademica disseminata di parole
come “virtù”, “vizio”, “vanità”, “povertà”, “ricchezza”; dall'altro una lingua che nasce dallo sgomento interiore
per la vita di quella corte e per i mali di quei cortigiani.
I cronisti delle Indie: sono scrittori realisti non per vocazione ma per circostanza, scrivono a distanza da
centri di potere come la corte o il convento. Tutti si assomigliano in due aspetti: volontà di trasmissione
immediata e tentativo di uno sguardo distante. La prima difficoltà che incontrano è quella con la lingua:
nominano le cose estranee con attributi, simboli e segni tradizionali. Ben presto il nuovo mondo diviene la
sede ideale per la realizzazione di profezie religiose e miti pagani. Colombo nel giornale di bordo e nelle
“cartas de relacion” inviate ai Re Cattolici durante i 4 viaggi realizzati tra il 1492 e 1506 si muove su due
piani distinti: penetra e osserva ma allo stesso tempo confronta e aggiusta le cose più strabilianti con la
propria tradizione. Stile essenzialmente realistico che sfrutta però il sentimento di realizzazione del mito. Le
cartas del conquistatore Cortes sono diverse poiché egli riferisce immediatamente ciò che accade mentre
egli penetra, combatte, distrugge un impero. Egli opera una scelta linguistica: opta consapevolmente per la
semplicità espositiva. C'è un'ombra di mistero rappresentata dalla non vinta meraviglia per la civiltà
assoggettata. Scrive ben protetto dai suoi “idola”, cioè Dio, Cristo, la fede, il re, se stesso come eroe saggio.
Quindi tutto ciò che si trova sul suo cammino è inferiore perché estraneo a quei valori. Cortes si dedica a
numerose descrizioni delle meraviglie della capitale azteca che poi non esita a di