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In questo senso Brioschi giustamente afferma che è il testo ad essere una funzione
dell'interpretazione e non l'interpretazione una funzione del testo. Se è vero che è il
lettore a riconoscere il testo letterario come tale e a predeterminare, aspettandosele, le
caratteristiche dominanti, in funzione delle quali impostare il suo interrogatorio, è
altrettanto vero che è poi il testo soltanto a stabilire la pertinenza delle richieste,
comunicando una serie di informazioni in modo proporzionale alle sollecitazioni subite.
Si potrebbe aggiungere che, qualora per assurdo pensassimo ad un testo come a
qualcosa di naturale, perchè dato, ne ricaveremo la possibilità di misuarci con lui allo
stesso modo in cui fa lo scienziato con l'oggetto della sua ricerca, ovvero verificandone
le leggi attraverso la simulazione operata in laboratorio. Si potrebbe asserire che molta
della potenza di un'opera è tradotta in atto, non restringendosi nei confini della sua
dadita, ma verificandone a priori la potenzialità in quel laboratorio sempre nuovo che è il
retroterra mentale dell'interprete. Questa ipotesi non comporta di trascurare l'importanza
della ricerca, la cui salvaguardia appare esigenza talmente ineludibile da risultare
persino banale, induce piuttosto a prendere atto del carattere occasionale e relativo di
ogni scoperta e soprattutto induce a riconoscere che è l'oggetto per la varietà della sua
natura che impone il cambiamento nel senso dell'eclettismo. --> bisogna essere
consapevoli della presenza di un certo disordine nel testo.
Raimondi sottoliena che il nucleo centrale della questione, consiste nel liberarsi da
totalità precostruite, assumendo certezze solo parziali, solo in questo modo vi è la
possibilità di comprendere il disordine del testo, riconoscendo che nel processo di
conoscenza avvengono dei cambiamenti all'interno del testo, così come anche le nostre
conoscenze si modificano. L'operazione ermeneutica diventa "azione" e come tale si
riferisce all'etica. --> vi è una lettura attiva, come processo cognitivo in grado di fare
domande al testo e di accettarne risposte, per poi trovare anche in modo autonomo
senza per forza interrogarlo, vi è un interpretazione che agisce direttamente sui segnali
del testo.
Juss riprende l'interpretazione secondo cui il termine "ermeneutica" deriva da Hermes, al
quale sarebbe stato assegnato dagli dei il compito di rendere comprensibili i loro
messaggi agli umani. Sposando Philologia, mortale dottissima, Hermes ebbe la
possibiità di indagare non solo il linguaggio degli dei, ma anche quello umano. Ciò
significa che l'ermeneutica dovrebbe lasciare la sua autonomia retorica in favore
dell'arte, mentre la filologia dovrebbe abbandonare il suo sapere libresco. In questo
mondo razionale, l'arte sarebbe capace di produrre il crollo dell'utopia per inserirsi nel
mondo reale della comunicazione ed offrire un contributo al comprendere. Così Jauss
evita il rischio dell'evasionismo estetico e si indirizza ad utilizzare l'esperienza estetica
per comprendere la vita storica.
Scalia: il compito del critico sarebbe quello di annunciare il messaggio ascoltando il
poeta, il quale pure, a sua volta, sarebbe annunciatore di un messaggio ascoltato. Così
vi è una catena di ascolto - annuncio - ascolto, il messaggio significa non in quanto
interpretato, ma in quanto dato.
Orlando: si chiede se per capire l'altro non sia necessario uscire dalla propria pelle, così
da assumere un atteggiamento privo di qualsiasi pregiudizio. Qui l'idea che l'
interpretazione deve organizzare in un tutto unico un insieme di coerenze si realizza
nella verifica dell'esistenza di una coincidenza tra una forma e costanti tematiche nella
svolta romantica-realista tra 1780-1820. Il crito interpreta questi testi come momenti di
formazione di compromesso.
Jervis - sottolinea il fatto che l'interpretazione psicoanalitica sottrae al procedimento
ermeneutico una parte delle sue certezze, poichè il soggetto di conoscenza, viene posto
in discussione o addirittura negato. Infatti, l'interpretare psicoanalitico è caratterizzato
dalla radicale messa in dubbio della separazione tradizionale fra soggetto che interpreta
e oggetto da interpretare. Quanto al testo, inteso come racconto di un sogno o di un
episodio di vita, è per Jervis illusoria la pretesa autonomia del testo come oggetto
dell'interpretazione, perchè rinvia sempre al di là dei suoi confini. Si entra dunque, nel
circuito del relativo. E in effetti, dopo Einstein, sarebbe difficile non ammettere che in
ogni processo conoscitivo, l'osservatore non è mai fuori dal campo dell'osservazione,
ma ne fa parte e lo condiziona. In tale prospettiva si allinea anche
l'intervento di Brioschi, ribadendo che si assume come dato ciò che si è costruito fuori di
noi, egli adduce all'esempio delle lettere dell'alfabeto, le quali non sarebbero altro che
tracce d'inchiostro prive di autoevidenzia, se noi non le inserissimo in un gioco di
cordinazione; se poi si vuol parlare di simboli, si deve riconoscere che essi si danno
sempre in una condizione di paradosso, in quanto non possono essere per se stessi se
non quello che sono per noi. Entra in campo il rapporto tra nominalismo e platonismo.
Infatti è proprio il primo che, secondo Brioschi, ammette con più chiarezza la necessità
di una fondazione pragmatica dei sistemi simbolici.
Nominalista = un testo non contiene alcun programma d'istruzioni in cui l'interprete
debba farsi esecutore. Nè gli è possibile poi fare riferimento ad un insieme di Idee
platoniche per attingere ad un'interpretazione autentica; è invece quella forma di vita,
dove la dimensione cognitiva, linguistica e pragmatica si intrecciano e si confondono.
Così per Brioschi, la logica platonista rischia di rendere insolubile il problema della
validità dell'interpretazione, poichè, cercando nel testo stesso i suoi criteri di
interpretazione col fare appello ad un'intuizione privilegiata dell'essere, o vi si troverà
quelli che essa stessa vi ha proiettato o non ve ne troverà affatto e si condannerà a
riprodurre la perenne alternativa tra "dogmatismo dell'evidenza" e "arbitro
incondizionato". La prospettiva nominalista invece sa di non poter trovare nel testo altro
che quello che l'interprete ha saputo mettervi e che le regole e le categorie che si
applicano ai simboli, vi si applicano perchè grazie ad essi sono stati costruiti come
simboli, senza pericoli di autoconferma o mere illusioni di conferma. Il testo, infatti non
potrà nè confermare nè smentire la nostra interpretazione, per il semplice fatto che esso
è il risultato di questa interpretazione.
3. CAPITOLO; RICERCA LETTERARIA E CULTURA SCIENTIFICA
1.3 UNITà DEL FINE
De Sanctis approfondì la logica intorno all'idea della conoscenza, fondata sui due
strumenti della percezione e dell'appercezione sostanuta la prima dai sensi, riferita l'altra
agli stati d'animo. La percezione si lega all'ambito del conoscibile, mentre
l'appercezione al limbo dell'inconoscibile. Se il legame tra la fine del corporeo e il
principio dello spirituale rimane ignoto ed anche la scienza, il cui compito consiste nel
trasformare l'essere nel sapere non riesce a svelarlo, si offre come mezzo determinante
per l'apprendimento il pensiero che può altresì giungere attraverso il linguaggio alla
formulazione dei concetti e da questi alle leggi delle cose, che è lo scopo della scienza.
Questa concezione può essere applicata anche al rapporto tra scienza e letteratura,
intendendo una come esperienza e l'altra come pensiero, entrambi finalizzati al
conseguimento di una consocenza totale. L'accostamento non elude neppure di
configurarsi come risultato finale di quella contrapposizione pretesa alla
complementarietà fra investigazione scientifica e creazione poetica, protese a dare
forma all'informe coscienza.
La scienza non è completamente razionale. La creazione di concetti scientifici ha la sua
origine in concetti metafisici fondamentali, che non è possibile verificare empiricamente.
Il piano del metafisico, dunque, retaggio da sempre intangibile della prospettiva
letteraria, da motivo di scontro diventa terreno di incontro tra due schieramenti diversi.
Come non vedere la somiglianza del processo gnoseologico che conduce lo scienziato
alla sua scoperta e l'artista alla sua creazione, alla luce della comune potenza? In
entrambi i casi si tratta di condurre il disordine vero l'ordine.
Nell'ambito di una realizzazione artistica non si può mai prescindere da quel principio
generativo che s'identifica con la figura dello scrittore e a cui corrisponde un campo di
possibilità e un insieme di tendenze destinate a realizzarsi solo in parte. Vale a dire che
quando lo scrittore inizia il suo viaggio attraverso il deserto delle pagine bianche opera
una più o meno consapevole selezione all'interno del ventaglio della sua virtualità.
Nel circuito della ricerca scientifica esiste una datità delle leggi che limita il piano
interpretativo e circoscrive la sfera soggettiva dello sperimentatore, senza tuttavia
impedirgli il punto di partenza che poi è il punto in comune di ogni processo
gnoseologico. = Il coraggio dell'intellettuale che consiste nel conservare attivo e
vivente l'instante della conoscenza nascente e nel farne la sorgente della percezione,
costituisce ancora una volta un comune terreno d'intesa tra i due poli cognitivi. L'intento
che qui si persegue, ad ogni modo, non è di escludere vi siano differenze tra i due
circuiti conoscitivi, quanto piuttosto di prospettarne i possibili punti di contatto e di
abbattere alcune differenze che li separano: ma soprattutto nella certezza che ciò che
può accomunare scienza e letteratura è la loro origine e il loro fine.
Così lo scienziato come il letterato tendono costantemente alla lettura e
all'interpretazione del messaggio che accompagna l'uomo nel suo cammino enigmatico
su questa terra. Tutto parla continuamente e non conta se l'approccio è all'essoteoria di
una legge fisica o al fascino esoterico di un'emozione, importa che siano ogni volta di un
poco diradate le tenebre dell'ignoto e che il destinatario della rivelazione si renda più
consapevole di ciò che opera in lui e intorno a lui, oppure della sensazione interiore che
la descrizione puntuale o simbolica del poeta renda più chiara, consentendone una
compiuta riappropriazione, una fruizione totale e inesperibile altrimenti. Se il