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E T A’ I M P E R I A L E
Dinastia Giulio – Claudia (14-68 d.C.)
- nato in Turchia; liberto di Augusto. Scrisse i primi libri sotto Tiberio. Uscito indenne o
FEDRO
quasi dal processo intentatagli da Seiano per il sospetto che nelle sue favole ci fossero malevoli
allusioni ai potenti del tempo, continuò a scrivere fino sotto Claudio (uno degli ultimi
componimenti è indirizzato a Fileto, liberto di Claudio).
E’ il primo autore della poesia latina che abbia fatto della favola la sua unica forma d’arte.
Nei poemi Fedro manifesta un singolare prurito della rinomanza letteraria, nella semplicistica
illusione di giungere alla gloria coltivando un genere di poesia quasi irrimediabilmente condannato
ad un inevitabile schematismo e ad una inevitabile monotonia e monocromia, per cui sotto
l’attraente scorrevolezza e la sapida brevità dei componimenti, la sua arte non giunge a farci vivere
effettivamente un personaggio e neanche un tipo
Opera: in 5 libri (ce ne dà la sicurezza Aviano, un favolista in versi vissuto forse nel IV secolo d.C.)
Stile: di gusto alessandrino:
- sorvegliata brevità delle favole
- ogni vocabolo soppesato e collegato al giusto posto
- raffinatezza della tecnica metrica
- densità epigrammatica della morale
Seneca ignorò volutamente Fedro.
Marziale è l’unico degli autori illustri che lo abbia ricordato.
L’opera di Fedro ci è giunta probabilmente incompleta. Forse le favole a noi giunte son quelle che
entrarono presto nelle scuole e dalle scuole furono raccolte e conservate.
Il Medioevo non conobbe direttamente le favole di Fedro, ma esse furono certamente alla base di
quella raccolta di favole in prosa che va sotto il nome di Romulus o Aesopus latinus.
Nel sec. XV Niccolò Perotto raccolse non si sa da quale fonte 30 o 31 favole di Fedro fin allora
sconosciute che vanno sotto il nome di Appendix Perottina. Non sappiamo quante in essa siano di
Fedro, quante di Aviano, quante dello stesso Perotto.
– (34-62 d.C.) Aulo Persio Flavio appartiene alla generazione che trascorse e bruciò la
PERSIO
sua giovinezza nella età Neroniana. Nato a Volterra nel 34 d.C.; a 6 anni perdette il padre; a 12
andò ad abitare a Roma. Visse sempre all’ombra della madre, della sorella, degli austeri maestri
(grammatici, retori, filosofi stoici) eppure, inesperto come era della vita, volle atteggiarsi a maestro
di vita. Ne nacquero 6 satire (era lento a scrivere) che tradiscono la formazione tutta e solo libresca:
in esse Persio ammassa tutti i luoghi comuni diatribici più vieti, in un linguaggio fra i più oscuri e
faticosi della latinità. Persio trovò nell’acre satira luciliana, meno umanamente comprensiva di
quella di Orazio, il modello più congeniale, tuttavia è indubbio che egli ricalcò non solo Lucilio ma
anche Orazio. Ricchissimo, si diede a voler imitare il tono della predica cinica!
Lo stile di Persio costituisce un isolato esempio di ricercato arianesimo mascherato da
Stile:
atticismo. Ebbe il torto di avviare nella satira di tipo graziano la tradizione dello stile oscuro, da cui
neppure G. Giovenale, poi, seppe liberarsi.
(segue)
E T A’ I M P E R I A L E
DINASTIA GIULIO – CLAUDIA (14-68 d.C.)
SENECA
Nella sua visione politica egli rimane sempre coerente, perciò già nel 39 d.C. per un suo discorso
pronunciato alla presenza di Caligola, incorse nell’ira dell’imperatore che gli risparmiò la pena ca-
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pitale solo perché una sua favorita gli fece osservare che Seneca sarebbe morto tra breve per
consumazione.
Dal 41 al 49 fu in esilio in Corsica per essere stato coinvolto in un processo intentato da Messalina
contro Livella (sorella di Caligola) della cui bellezza era gelosa.
Nel 49 fu richiamato a Roma da Agrippina perché educasse Domizio (Nerone), il futuro imperatore.
Seneca, il cui ideale politico era quello di un principato rispettoso delle pubbliche libertà, pretese
creare in Nerone il modello dell’imperatore filosofo e determinò alcuni atti significativi della
politica neroniana (un provvedimento per lenire la condizione degli schiavi, un progetto di riforma
fiscale – bocciato dal Senato che si sentiva leso nei suoi interessi privati.)
Quando Nerone, dopo 5 anni di governo, inizia apertamente una politica da rigido autocrate, Seneca
cade in una crisi di disgusto e di sconforto e nel 62, morto Burro, si decide al ritiro.
Seneca dunque fu dibattuto fra l’ideale filosofico della vita ritirata ed ascetica e l’anelito a
giovare agli altri uomini partecipando alla vita attiva.
Suoi maestri: stoici, cinici e neopitagorici, ma specialmente Papirio Fabiano, retore e filosofo
stoico: da lui e dal padre Seneca ricevette l’amore alla retorica e divenne così, ancor più di Cice-
rone, l’oratore della filosofia, di una filosofia stoica con preponderanti interessi morali.
Dante giustamente lo chiamò “Seneca morale”.
In Seneca l’oratoria è più sottile, quasi più insidiosa di quella di Cicerone: fine sprezza-
Oratoria
tura, moderna vivacità e varietà di raccordi, sapienza di scorci ed effetti improvvisi, sfaccettamente
d’un’idea in modo da renderla sempre nuova, da far penetrare nel vivo di un pensiero, il suo
pensiero, che è sofferenza, coscienza tormentosa di tutte le infinite contraddizioni della vita e
dell’anima umana.
Da qui la cronica asistematicità ed empiricità del suo pensiero!
Seneca non ci dà un “sistema” filosofico, non ha preoccupazioni gnoseologiche: il problema morale
assilla Seneca. ma un problema che è immanentistico e perciò Seneca non può essere avvicinato a
S. Paolo! Immanentismo, cioè Dio è nel sacrario dell’umana personalità, nella ragione intensa non
come indagatrice dei massimi problemi dell’universo (anche se ha scritto il De providenzia e le
Naturales quaestiones), ma come illuminatrice dei recessi umani secondo il principio dell’esame di
coscienza.
Ricorda: i caratteri della filosofia Senecana su esposti donde scatturisce la constatazione che egli
porta avanti il processo dell’interiorizzazione;
i caratteri della sua prosa, del suo stile nervoso e vibrante; aggiungi l’esasperazione delle passio-
ni e il gusto delle scene atroci e macabre nelle tragedie, segno evidente dell’epoca di rottura e di
crisi in cui furono scritte e annuncio di una moda letteraria che sarà seguita da molti scrittori e poeti
dell’età imperiale.
E vedi bene tutto il testo.
E T A’ I M P E R I A L E
DINASTIA GIULIO – CLAUDIA (Neroniana)
PETRONIO che lo stile e il decadentismo di Seneca (e di Lucano) ci hanno fatto
L’aura di modernità
intravedere nella Roma neroniana, raggiunge nell’opera di Petronio la sua più ampia e cristallina
espansione:
- nello stile
- nel genere letterario
- nell’atteggiamento spregiudicato di rottura nei confronti della tradizione letteraria e
dell’ambiente socio-politico-culturale dell’epoca.
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Nonostante le sue esplicite simpatie per Virgilio e Orazio, e nonostante critichi i gusti stilistici
Stile.
della sua epoca (vedi la parodia dello stile lucaneo della Pharsalia nel “pezzo” in versi che
introduce sotto il titolo De Bello Civili), si professi cioè contrario alle tendenze dell’asianesimo
contemporaneo, lo stesso Petronio è, forse inconsciamente, asiano per il tono saltellante, vivido, irto
di punte e di frizzi; anzi egli rappresenta dell’asianesimo, come di tutta l’arte d’età neroniana, il
culmine e la purificazione. Ma egli piega questo arianesimo al suo genio:
la spinta verso il nuovo, che ora insita nel gusto asiano, viene da lui adattate alle esigenze della
sua creazione, con l’introduzione, nella cena di Trimalcione e nei passi più audacemente veristici,
di solecismi (1) della plebe e di barbarismi: quando occorre, Petronio si mette a parlare il
linguaggio delle cortigiane d’infimo rango, dei tavernieri, dei liberti ignoranti.
Si può dire che il Satyricon, misto di prosa e di versi, sia una Menippea che
Genere letterario.
presenta però la novità di essere gigantesca e divisa in libri.
(Le Satire Menippee sono l’opera più schiettamente letteraria di un grande erudito dell’età di
Cesare: Varrone Reatino, quello che nel De comoediis Plautinis determinò quali commedie di
Plauto dovessero ritenersi sicuramente autentiche. Il titolo Satire Menippee ci riporta da un
lato a Lucilio (Satira) e dall’altro a Menippo di Gàdara, il filosofo cinico greco che aveva
iniziato una forma originale di satira del costume che mirava, con linguaggio popolaresco e
vivacità di spirito e d’invenzione grottesca, a riformare la società umana mettendone in ridi-
colo vizi ed errori. L’aspetto più evidente, formalmente, dell’opera di Menippo era la me-
scolanza di prosa e versi.
Varrone lo seguì in questa mescolanza, cioè nella forma; ma nei contenuti, più che a riformare
il presente, Varrone mirò a celebrare nostalgicamente il buon tempo antico, contrapposto alla
corruzione presente. Tuttavia ci sono anche in Varrone trovate grottesche, battute spiritose,
immagini comiche di sapore italico, mescolanza di linguaggio popolaresco e di linguaggio
solenne usato a scopo parodistico… ma dai frammenti superstiti pare che manchino origi-
nalità e unità stilistica. Anche Seneca ci diede una menippea nel Ludus de morte Claudi o
Apokolokyntosis.)
Forse fu il Ludus di Seneca a suggerire a Petronio di dare forma di Menippea al Satyricon –
che è in verità un romanzo -, per dare ad un genere ancora disprezzato come quello del ro-
manzo maggior dignità letteraria e avere la possibilità di inserire nel racconto tutte le di-
gressioni suggeritegli dalla fantasia, non esclusi i “pezzi” poetici che gli servivano per la paro-
dia letteraria. ma “parodistico”
Quindi possiamo definire l’opera di Petronio “romanzo”, anzi, romanzo erotico”
(e qui ritroviamo l’aggancio alla satira menippea).
Abbiamo detto parodia del romanzo erotico perché l’opera è fondamentalmente modellata sul
romanzo erotico in voga, ma con una grossa novità: la coppia è una coppia maschile, nelle cui vi-
cissitudini entrano scene sentimentali, tradimenti, riconciliazioni, effusioni patetiche o disperate,
tentativi di suicidio. Non mancano nel Satyricon gli altri ingredienti del romanzo erotico: naufragi,
processi, colpi di scena…
Ma accanto alla parodia del romanzo erotico ellenistico, troviamo anche la satira letteraria,
abbiamo visto, e la satira del costume. Ma non possiamo