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LUCANO
VITA: Figlio di Marco Anneo Mela, il fratello minore di Seneca, nacque a Cordova nel 39
d.C. Al pari dello zio fu educato a Roma dai migliori maestri; successivamente si perfezionò in
Atene e fu allievo del filosofo stoico Anneo Cornuto. Secondo i biografi antichi, Nerone gli divenne
molto amico; non solo, infatti, mostrò di apprezzare i suoi primi tentativi poetici, ma addirittura gli
conferì la questura quando era ancora giovanissimo. Improvvisa giunse la disgrazia: Nerone,
geloso del successo poetico del giovane amico, gli divenne ostile e gli vietò di recitare i propri versi
in pubblico; per parte sua Lucano scelse una tattica di opposizione. Per reazione accentuò nel
poema epico i toni repubblicani, facendo di Catone l’Uticense il suo eroe, e si compromise poi
definitivamente unendosi ai fautori della congiura pisoniana. Scoperto il complotto, anche Lucano
fu accusato insieme allo zio Seneca e pur di salvarsi denunziò addirittura la madre Acilia. Non
riuscì, però, ad aver salva la vita e morì suicida per ordine di Nerone nel 65 d.C., dando prova
nella morte di fierezza e di coraggio. Le prime opere di Lucano non ci sono pervenute.
BELLUM CIVILE: Sia i manoscritti sia le antiche biografie di Lucano danno al poema il titolo di
Bellum civile e non c’è alcuna ragione di metterlo in dubbio, anche se ha preso saldamente piede
un secondo titolo, Pharsalia, originato dalle parole di Lucano stesso nel IX libro. C’è da tener
presente, però, che in questo contesto Pharsalia è chiaramente riferito allo scontro definitivo a
Farsalo, che darà l’immortalità sia al condottiero sia al suo cantore. Nella stesura del poema
Lucano usò soprattutto fonti storiche, in particolare Tito Livio. Non mancano tuttavia richiami ai
poeti augustei, in primo luogo a Virgilio, di cui ricorrono spesso citazioni, tratte specialmente dalle
Georgiche. Ma è presente anche Orazio. Il poema lucaneo, attualmente in dieci libri, appare
chiaramente incompleto. È molto probabile che il disegno originario contemplasse un’estensione
analoga a quella dell’Eneide (12 libri). L’intento dell’opera di Lucano non è solo quello di celebrare
la tradizione repubblicana e i suoi eroi, ma anche quello di narrare le vicende che portarono alla
fine della libertas e gettarono il seme del futuro dispotismo. L’epica di Lucano si rivela atipica non
soltanto se la si rapporta alla condizione virgiliana, ma anche se la si confronta con quella arcaica:
Nevio ed Ennio, infatti, avevano cantato, come Lucano, avvenimenti storici, ma l’avevano fatto con
l’intento di esaltare la superiorità di Roma e di elogiare grandi personalità della sua storia. Lucano,
invece, sceglie nella storia di Roma un conflitto interno, che vede schierati Romani contro Romani,
e lo analizza con un profondo pessimismo, cosciente com’è che la vittoria di Cesare s’identifica
con la perdita della libertas e con la caduta delle istituzioni repubblicane. L’inizio della rovina dello
stato è da lui individuato nell’accordo privato fra Cesare, Pompeo e Crasso, cioè nel primo
triumvirato. Il poema epico lucaneo intende reagire alla tradizione virgiliana. Per esprimere la
propria avversione all’atteggiamento di Virgilio, Lucano rifiuta di proposito l’uso del mito e si volge
a narrare un fatto storico. Virgilio, poeta augusteo, si era rifugiato nel mito perché la narrazione
delle origini dell’impero lo avrebbe costretto a parlare delle guerre civili; Lucano, per parte sua, fa
del poema epico non più una esaltazione delle gesta gloriose di Roma, ma un’arma di denuncia
della guerra civile, che aveva condotto alla fine della libertas repubblicana. Egli allude, infatti, al
suo modello, ma ne rovescia gli esiti. Quando Lucano si accinse alla composizione del poema
epico, il panorama culturale romano era sensibilmente cambiato rispetto all’epoca augustea; una
parte importante dei rappresentanti della cultura era passata all’opposizione. Anche il principato si
era evoluto dal modello augusteo. È in questo mutato panorama politico-culturale che Lucano
concepisce un nuovo poema epico: come tutti gli aristocratici della sua epoca egli è imbevuto di
stoicismo e ha davanti agli occhi l’ambizioso progetto di Seneca, che intende modellare la figura
del principe secondo gli ideali della stoa. Lucano concepisce una visione della solidarietà
universale in chiave profondamente pessimistica: nessuno ha la possibilità di scampare al
cataclisma della discordia. È probabile però che sia preferibile parlare di un pessimismo
progressivo, perché tutto lascia credere che inizialmente Lucano abbia salutato con favore
l’ascesa al trono del giovane imperatore. In Seneca tale evoluzione si era manifestata nella fuga
dalla corte e nel volontario isolamento, mentre in Lucano trova la sua espressione nella convinta
denuncia. Ritorna qui la polemica moralistica che tanta parte aveva avuto nelle opere degli storici
repubblicani. Il denaro aveva definitivamente pervertito i costumi: le elezioni e il favore popolare
erano sistematicamente comprati dai candidati; come logica conseguenza si era diffusa l’usura. È
possibile che i toni repubblicani siano stati accentuati dopo la fine dell’amicizia con Nerone. Mentre
il poema virgiliano ha un suo protagonista indiscusso, che è il rappresentante delle virtù positive e
proprio per questo persegue una missione a lui assegnata dagli dei, nel poema lucaneo invece si
può tutt’al più parlare di protagonisti, i quali esibiscono talora qualità positive (Catone), ma più
spesso di presentano con spiccate caratteristiche negative (Cesare e Pompeo). Pompeo non ha
affatto la tempra del protagonista, perché appare continuamente ondeggiante e indeciso, privo di
fiducia nei suoi uomini e addirittura in se stesso, ormai incapace di guidare un esercito alla vittoria.
Sin dall’inizio poi sono evidenti i caratteri negativi della figura di Cesare, le cui azioni appaiono
guidate da una brama sfrenata di potere e dal desiderio d’imporre la sua legge ai cittadini e allo
stato. Egli è il vero responsabile della guerra, perché ha concepito un progetto autocratico. È stato
lui a violare la legalità repubblicana decidendo di scendere in armi contro il governo legale.
Analogamente, sin dall’inizio, s’intuisce che la giusta causa è quella del senato. L’identificazione
della factio senatoria con la parte giusta avviene nel II libro, dove il Catone lucaneo si ribella e si
oppone alle scelte degli dei e a una prospettiva che vede come certa la distruzione di Roma. La
sua però è una ribellione disperata e sterile, perché concepita nella piena consapevolezza della
sconfitta. Sin dai primi libri, dunque, la figura di Catone primeggia moralmente al centro del poema,
perché egli è rappresentato come il depositario della virtus, al di sopra delle parti: sul piano etico
egli è il vero antagonista di Cesare. In Lucano si giunge ad affermazioni radicali, che implicano
addirittura la negazione dell’esistenza degli dei e la critica aperte alle più note tradizioni religiose. Il
suo stile appare ampolloso, barocco, rivolto a una ricerca degli effetti, vicino all’asianesimo, in cui
alla ridondanza espressiva si unisce il gusto per la sentenza ad effetto. Se ne ricava l’impressione
di un atteggiamento oratorio incline alla magniloquenza. Dalla predilezione per singole scene forti
deriva un tipo procedere per blocchi narrativi, che favorisce la frammentazione della narrazione
piuttosto che un andamento unitario. Tuttavia la maggiore novità introdotta da Lucano nella
tradizione epica risiede nell’invadente presenza della voce dell’autore, che interviene
continuamente col suo commento, con la sua protesta, con i suoi commenti e anche con le sue
modificazioni della realtà.
PETRONIO
VITA: La tradizione antica non ci fornisce alcuna notizia sulla vita di Petronio: in mancanza
di testimonianze dirette, una parte consistente della critica ha proposto l’identificazione dell’autore
del Satyricon con un personaggio degli Annales di Tacito, Gaio Petronio, proconsole in Bitinia e
console nel periodo neroniano, maestro di vita raffinata alla corte imperiale, tanto da meritarsi
l’appellativo di elegantiae arbiter. Secondo il racconto di Tacito, Gaio Petronio si suicidò per
l’accusa di cospirazione mossagli da Tigellino, il potente prefetto del pretorio. La personalità del
Petronio, colto e raffinato autore del Satyricon, presenta forti analogie con l’aristocratico
personaggio degli Annales, uomo di corte e dedito ai piaceri; il fatto, poi, che il personaggio
tacitiano sia definito arbiter elegantiae richiama alla mente il cognome Arbiter, tramandato da una
parte della tradizione manoscritta petroniana. La società descritta nel romanzo, infine, sembra
coincidere con quella dell’epoca neroniana.
SATYRICON: La tradizione manoscritta attribuisce titoli diversi all’opera petroniana. È ormai
invalso l’uso di adottare quale titolo la forma Satyricon, sottintendente libri; comunque alcuni editori
recedenti preferiscono il nominativo neutro plurale Satyrica, per analogia con i titoli del tipo di
Bucolica. Nulla si sa dell’ampiezza originaria del romanzo. Non pochi studiosi del passato hanno
giudicato impensabile che un romanzo come quello di Petronio abbia avuto un’estensione di più di
15 libri. Alcuni ipotizzano un rapporto privilegiato con la perduta fabula Milesia, che accordava
ampio spazio al riso e alle situazioni piccanti. Punto di forza di questa teoria è la presenza non
sporadica di novelle sia nel Satyricon sia nelle Metamorfosi di Apuleio. Tuttavia risulta sempre più
chiaro che in epoca classica la novella non vive una sua vita autonoma nei confronti del romanzo:
ciò appare confermato dal fatto che tutte le novelle inserite nel romanzo non costituiscono pure e
semplici divagazioni e digressioni, ma mantengono con la linea narrativa un solido aggancio e si
propongono un chiaro fine didattico. La novella, dunque, sarà uno degli elementi costitutivi del
romanzo. La presenza del prosimetrum nel romanzo petroniano ha spinto a vedere particolari
analogie con la satira menippea. Tuttavia la differenza sostanziale sta nel fatto che quanto in essa
costituisce un espediente formale diviene in Petronio un modo di organizzare e strutturare il
racconto. In conclusione, sembra inevitabile ammettere che i rapporti con la fabula Milesia e con la
satira menippea individuano solo due componenti del romanzo: da un lato la presenza, in alcune
parti, di un carattere licenzioso e dissacratorio, dall’altro la mescolanza di prosa e versi.
Nonostante l’indubbia importanza di tali componenti, né l’una né l’altra ci aiutano a decifrare il