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Naranzi dona i “Versi dell’adolescenza” (post. a Lugano – 1831 – come “Poesie inedite di N.U.F. tratte da un Manoscritto
originale”). Evidente (qui) la tradizione classica: dai lirici greci (Aracreonte e Saffo, variamente parafrasati), da Orazio
giunge, attraverso il richiamato Pontano, sino al ‘700 arcadico (per il quale, oltre a “Weisse alemanno” e l’elvetico
“Gassner” – Bertola – non esplicita riferimenti: è facile notare le influenze di Rolli e Ravioli). Tali personaggi non sono
“maestri” solo per le soluzioni metrico-stilistiche, le immagini e le invenzioni, ma anche per una visione delle cose aliena
dalla grande storia – si veda l’ode “La guerra” – incline a un’esperienza dell’ “io” vissuta, secondo la lezione epicurea, in
termini di misura, di equilibrata ricerca del piacere (amore, nella sua pienezza psico-fisica; immersione felicitante nella
natura; fruizione della “bellezza”: si veda l’ode, introdotta da un versetto del Pontano, “Nox […]/ O voluptatis comes et
ministra” [“O notte, compagna e serva del piacere ”], intitolata “Il piacere”). Ma si legga l’anacreontica “Il desiderio”:
Io non invidio ai vati
le lodi e i sacri allori,
né curo i pregi e gl’ori
d’un duce o d’un sovran.
Saran (i) miei dì beati
se avrò il mio crine cinto
di serto (corona) vario-pinto
tessuto di tua man.
Saran (i) miei dì beati
se in mezzo a(l) bosco ombroso
il tuo volto vezzoso
godommi (mi godo) a contemplar.
Che bel vederci allora
(cambiar mille sembianti),
e dirci; o cori amanti
cessate il palpitar.
Si insinua una tematica patetico-sentimentale, cui l’autore conferisce progressivamente spazio maggiore (almeno fino al
1803; si ricordi il sonetto “Solcata ho la fronte” – 1824 -: osservazione e restituzione dell’ “io”, sulla scia del noto
autoritratto alfieriano): qui richiama la figura leggendaria di Saffo (sulla scia del romanzo di Alessandro Verri, “Le
Avventure di Saffo poetessa di Militene)) riproposta come esemplare di un’esperienza d’amore infelice (tale da portare al
suicidio), nella quale chi scrive crede di potersi identificare:
[…] Me pur trappoco scendere
tra le tetre ombre vedrai;
ma amante ancor; non spegnesi
un vivo amor giammai.
Funerei fiori
dell’infelice madre
(me seguiran, già cenere
tra sorde ed adre pietre […]
“Il ritratto”, nei termini di evidente interrealizzarsi di autocoscienza e poesia, recita:
A me gentile, amabile
volto non diè natura,
ma diemmi invece un’anima 4
tenera, fida e pura.
E diemmi un fervido
cor, cui non sono ignoti
(i più soavi moti
d’amore e d’amicizia.
E diemmi un estro rapido
(che inspira carmi ai labbri),
per cui non è tra l’ultime
quest’amorosa lira […]
Di ispirazione diversa e più compositi sono i “Versi giovanili” (titolo postumo) composti e pubblicati dal 1794 al 1797 –
cui risale l’ “oda” “A Napoleone liberatore” (mai stampata, come i sonetti e le altre due odi: “A Luigia Pallavicini caduta
da cavallo” e “All’amica risanata” – 1803): un gran numero di essi risulta costruirsi all’insegna di un esasperato
younghismo, non primo (nelle invenzioni e nelle scelte di stile) di ascendenze varaniane (“Visioni”, Varano, 1789) e
ossianiche. Dunque, temi mortuari e cimiteriali (Mineo): è difficile dire se Foscolo, soprattutto tra il 1794-1795, vive
realmente una crisi di quel sereno e “illuminato” edonismo” tipico della produzione precedente o se tutto ciò non sia
“esercizio letterario” (sulla scorta, oltre degli già citati, di Gray, Klopstock…; “entrismo”: tendenza a entrare in
organizzazioni o istituzioni per modificarle dall'interno).
Rotte da tetro raggio le tenebre
cingeano il genitor che si giacea
agonizzando sul letto funebre
(e volgea al ciel i moribondi sguardi).
E in me, che dal sudor freddo tergea,
(affisse la sua smorta fronte, le palpebre
e aprì le labbra, e addio mi volea dir.
Ma sol un Ahi trasse dall’ime latebre
Poi, udendo (le) mie lacrimose querele
disse: “Deh basti” e alla mal ferma palma
appoggiò il capo, tacque, e si nascose.
E anch’io pur tacqui…ma spirata l’alma
cessò il silenzio, e alle strida pietose
(gemea la notturna terribil calma).
Oh! qual’orror! un fremito funebre
scuote la terra ed apresi la fossa
ove, in mezzo a tetrissime tenebre,
stan biancheggiando l’ossa (di) mio padre.
Allor le guauto con incerte palpebre;
scendo d’un salto e, alla feral percossa
gemono le profonde alte latebre,
ove ogni parte della tomba è mossa.
E già stendo la man; già (raccolgo il cener
santo)…ahi…tremo…la più cupa notte
mi casca intorno, e (il cor mi stringe gelo).
E par che un suono, un pianto, mi rimbrotte
ond’io mi fuggo, e tutto mi dipinge 5
l’ossa, l’orror, l’oscuritade, il pianto.
I motivi politici dei “Versi giovanili” (insieme al tema del suicidio, della memorialistica, della morte, del simbolismo)
subiscono un sensibile spostamento di prospettive (si veda “Il mio tempo; Ai novelli repubblicani; A Bonaparte
liberatore”): tra il 1793 ed il 1797 Foscolo si apre alla realtà storico-politica; vuole diventare un’intellettuale vate
determinato ad esercitare il “diritto di persuadere i propri concittadini”:
Chi medita fra il tacito
saggio orrore di grotte?
(E tragge su le
su le pagine di Giob vigile notte?)
E chi, in ribrezzo, fugge
donde la colpa rugge?
Guai! guai! D’ira e giustizia,
il Leone passeggia,
(insanguina le zampe e i labbri)
entro splendida reggia,
(E estolle un regicidio
all’universo folle).
Tutto imperversa: ingemina
il nitrir de’ cavalli,
mentre tra bronzi orrisoni
rimbombano i timballi,
e infuriata guerra
(sfianca e atterra i cittadini).
Ma qual candida Vergine,
in puro manto ascosa,
(riposa fra gli orrori
dell’eremo e in grembo a Dio,)
e copre il volto ingenuo
rimpetto a orribil opre!
Vien meco, o Eletta, a pianger
il soqquadrato mondo,
ch’ode gli eteri fulmini,
e corre furibondo
a trar suoi giorni eterni
ne’ spalancati Averni.
Vieni, e stringendo in lacrime
l’insanguinata Croce,
(fra ‘l gemito, manda a Dio)
pietosa innocua voce,
mentr’io per l’orbe intanto
(spargo un canto di terror).
Vedilo. È Dio che (occupa
l’aere sol con un braccio,)
ed accigliato spazia,
entro tuonante e cupa,
carca di piaghe, nube,
mentre ai fulmini comanda[…]
(si faccia riferimento al saggio del 1794 “Qual sia il giudizio più giusto e più utile sopra le calamità e vicende attuali”,
dell’arcade torinese Luigi Richeri”; Monti, passato da Roma a Bologna, scrive “Il fanatismo; La superstizione”, 1797 –
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è però compromesso per va della “Bassisvilliana”; Fantoni, dopo aver letto l’ode “All’Italia” alla veneziana “Società di
pubblica istruzione” se ne vide “ordinata per acclamazione la stampa”). Le altre due odi e un sonetto rivolto “a Venezia” e
al suo “popolo” (v.s..), stampate a Bologna a cura e a spese della “Giunta della Difesa”, sono inseribili nel quadro
dell’intelligenza “patriottica - repubblicana”. “Un buon numero d’esemplari” di questi lavori arriva alla municipalità di
Reggo (città a cui sono dedicate, per le sue benemerenze repubblicane). Il 16 maggio comunica di voler ritornare a
Venezia (“degna d’ascoltare da lingue libere sensi di libertà”: “[“A Bonaparte liberatore”] è un prodromo d’una cantica
lirica intitolata la “Libertà italica”, ch’io consacrerò…tragedia repubblicana […]”. Interessante notare come esse abbiano
successive edizioni: nella Venezia “liberata” e dopo Campoformio (1797), dopo il “tradimento” del qui celebrato
Bonaparte. Foscolo nell’aprile 1797 lascia la prossima Repubblica Veneta (di ritorno dice a Gaetano Fornasini: “Voi in
Brescia siete liberi: io per vivere libero abbandonai patria, madre e sostanze. Venni nella Cispadana con la devozione del
democratico; passerò per la vostra rigenerata città colla sacra baldanza del Repubblicano: potremo per la prima volta
giunger le destre sciolte dalle catene dell’Oligarchia […]”) per Bologna: nell’evolvere della congiuntura politica in area
padana (dalla Repubblica Transpadana al Congresso di Reggio Emilia alla Repubblica Cispadana) si arruola nel neonato
squadrone dei “Cacciatori a cavallo”. In una lettera a Giuseppe Rangoni (in cui chiede di essere esonerato dall’incarico,
per motivi di salute), scrive: “Abbandonai la mia patria per vivere libero: rinunziai per l’indipendenza, ch’ho sempre
adorato, alla gloria, ai commodi ed ai miei genitori. Baciai le terre repubblicane con la devozione del vero repubblicano, e
mi feci campione della libertà […]”. Puntualmente accontentato, chiede “un’uniforme qualunque di Uffiziale di onore
della Cispadana: il 23 maggio viene nominato “tenente onorario aggregato della Legione”; riceve l’icarico (retribuito) di
“redattore” o “segretario” della Municipalià ed entra a far parte della “Società patriottica d’istruzione pubblica” (istituita
con decreto provvisorio il 27 maggio (domanda d’iscrizione: “[…] Fra i schiavi e i tiranni vantai Libertà: martire della
Democrazia […] amico de’ miei doveri, e capace de’ miei diritti […] A questa Società spetta di rendere compiuti
veracemente i miei voti […] la virtù è l’unico appoggio del democratico […]”. Il primo intervento, del 20 giugno, (dei
pochi tenuti in questa sede, come ha notato Giovanni Gambarin – vol. IV Ed. Naz. – “Scritti letterari e politici dal 1796
al 1808”) è di carattere pratico operativo (la chiusura dei “casini”) è molto distante dagli altri, aventi l’intento di
persuadere (essi “sono quasi sempre un richiamo […] all’onestà, la virtù; un insistere sulla necessità che lo Stato si armi,
perché senza forza non