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Il romanzo dell'Ottocento di Michele Colombo
1) Il romanzo in Italia nel Settecento
XVIII sec. –> affermazione romanzo moderno in Inghilterra e Francia "Robinson Crusoe" di Defoe
(1719), "Pamela o la virtù premiata" di Richardson (1740), "Giulia o la nuova Eloisa" di Rousseau
(1761), "Viaggio sentimentale attraverso la Francia e l'Italia" di Sterne (1768), "I dolori del giovane
Werther" di Goethe (1744).
In Italia invece c'è un ritardo, soprattutto per l'inadeguatezza della lingua letteraria alle esigenze di
questo genere che richiedeva anche tonalità colloquiali; il problema si pose anche per le traduzioni,
che vedevano un innalzamento del registro linguistico e stilistico rispetto al tono dimesso e
colloquiale degli originali => più che di traduzioni si trattava di adattamenti dei romanzi stranieri
alla cultura italiana, manipolazioni in cui si smussavano o mettevano passi ritenuti inadatti o
scabrosi. Perciò si ritrovano caratteri aulici anche nei romanzi di consumo di Pietro Chiari e
Antonio Piazza come le inversioni, l'anteposizione dell'aggettivo di relazione, la tmesi tra ausiliare e
participio, arcaismi; ma anche la coesistenza di tratti disparati con un effetto di scrittura
stilisticamente disomogenea: ai cultismi si affiancano neologismi e dialettismi, si nota una riduzione
delle subordinate a favore della paratassi. Stessi fenomeni hanno luogo anche nella narrativa colta,
come per esempio nel racconto filosofico "Abaritte. Storia verissima" di Pindemonte (1790) e nei
due romanzi "Le avventure di Saffo poetessa di Mitilene" (1781) e "Le notti rimane" (1792) di
Alessandro Verri.
Poiché mancava una tradizione romanzesca in Italia, Foscolo si rifece a quella, invece forte,
poetica, la sua prosa infatti inframmezzata da versi veri e propri, che donano alla scrittura un
carattere di lirismo. Questa tecnica a intarsio deriva da alcune fonti come i romanzi stranieri (tra cui
spiccano "I dolori del giovane Werther", "La nuova Eloisa" e "Viaggio sentimentale") e il modello
biblico con il suo linguaggio profetico e visionario, ricco di metafore e similitudini inconsuete;
infine si nota una convergenza tra alcuni passi delle lettere dell'Ortis e di quelle dell'epistolario
foscoliano. La prosa del romanzo si caratterizza perciò per una marcata eterogeneità stilistica,
riportata anche nella "Notizia bibliografica" del 1816 => effetti di alta letterarietà (terne,
parallelismi, riflessioni sentenziose) ma anche colloquialità della corrispondenza epistolare (uso
frequente dei puntini di sospensione, frasi che iniziano con e o ma, alterati, attacchi in medias res,
introduzione del discorso diretto nella narrazione, mutamento di tema). La vera novità dello stile
ortiseiano e il registro teso e drammatico, quindi l'impiego di metafore e similitudini forti, il lessico
espressivo, dettato più scorrevole e veloce, ritmo sostenuto.
2) Alessandro Manzoni
In Italia nessuno aveva ancora tentato la strada del romanzo storico prima del Manzoni.
1821-1823 –> "Fermo e Lucia" prima minuta del romanzo, 37 capp. 4 tomi.
2 stesure dell'Introduzione: la prima del 1821 non offre spunti per delineare il problema
linguistico => lettera a Fauriel (1821): concezione innovativa della scrittura prosastica, come lingua
corrente e condivisa che prenda a modello il francese => poiché in Italia manca una lingua comune
e comunemente usata, tocca al letterato sviluppare per via analogica l'idioma letterario; la seconda
del 1823 constata il fallimento di Manzoni nel suo intento, il romanzo si presenta con una lingua
eclettica e artificiale composta da arcaismi, cultismi, francesismi, milanesismi, colloquialismi.,
toscanismi popolareggianti. La lingua del testo ha una generale patina di letterarietà => terne,
metafore e similitudini. Pagina 1
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1825-1827 –> "Ventisettana" prima revisione integrale dell'opera, 38 capp. 3 tomi. (in quegli anni
studi di Manzoni sulla lingua italiana)
rispetto al "Fermo e Lucia" qui si riduce il peso della soggettività del narratore, si
riducono le digressioni a favore della compattezza della trama, uso della figura dell'ironia (che
permette all'autore di calare il proprio giudizio sui fatti narrati in una scrittura di tono medio e
spigliato). Per quanto riguarda la lingua là si identifico con un idioma storicamente determinato, il
toscano => la Ventisettana mira a raggiungere una lingua viva adatta alla conversazione civile e alla
comunicazione scritta di stampo non letterario => affermazione e proposta di un modello nazionale,
attraverso la consultazione del Vocabolario della Crusca nell'edizione veronese di Antonio Cesari e
la lettura degli autori della tradizione comica e realistica del Cinque e Seicento. Il risultato fu una
lingua che Manzoni definì "toscano-milanese" (per l'uniformità del milanese col fiorentino), non
testimoniata però dall'uso linguistico effettivo.
1838-1840 –> "Quarantana", stampata in dispense (trasferimento di Manzoni a Firenze per
verificare la corrispondenza della lingua della Ventisettana con quella dell'uso, "risciacquatura in
Arno") - Il sostituzione di forme arcaiche, auliche o genericamente sostenute con altre
correnti nello scritto e nel parlato di tutta Italia
- introduzione forme fiorentine o tosco-fiorentine, alcune di diffusione nazionale,
altre di carattere locale
- sostituzione dell'unità alla molteplicità: là dove l'uso di Firenze oscillava tra due
forme concorrenti, le correzioni al romanzo scelgono per un solo termine
- espunzione di forme e locuzioni lombardo-milanesi, sostituite da equivalenti di
circolazione nazionale
- tendenza del romanzo a ridurre la varietà lessicale, evitando l'impiego di sinonimi
(preferenza a Termini medi, appartenenti al lessico fondamentale)
- raggiungimento dell'esattezza della rappresentazione
- ampliamento di giri di frase colloquiali
3) Manzoniani e no fra i minori
Dopo il successo della prima edizione dei "Promessi sposi" (Ventisettana) un gruppo di romanzieri
si pose nella scia del Manzoni: Tommaso Grossi ("Ettore Fieramosca" 1833), Cesare Cantù ("Marco
Visconti" 1834 e "Margherita Pusterla" 1838), Giulio Carcano ("Angiola Maria" 1839
). In queste opere ci sono riecheggiamenti fitti e conclamati dei "Promessi", come l'ambientazione
per alcune di esse sulle rive del lago di Como e alcune consonanze con i personaggi manzoniani;
inoltre vi si scorgono gli stessi caratteri linguistici della Ventisettana: convergenza tra modi
settentrionali e toscani, presenza di tratti aulici e arcaici, sul piano sintattico presenza di costrutti
oralizzanti, uso di termini colloquiali, toscanismi, frequenti modi di dire e proverbi che mimano la
lingua d'uso => permangono tratti alieni dalla "risciacquatura in Arno".
Il romanzo popolare (o di consumo) presenta una estraneità alla temperie manzoniana: il
romanzo di consumo non ha solo fini ludici ma anche di propaganda politica e ricorre a personaggi
e intrecci stereotipi, al gusto del patetico, del macabro e dello straordinario. Esponenti del genere
sono Antonio Bresciani ("Ebreo di Verona" 1850-1851 e i suoi seguiti "La repubblica romana" e il
"Lionello o delle società segrete") e Francesco Mastriani ("La cieca di Sorrento" 1852). Sul piano
linguistico hanno una propensione ad una lingua letteraria che inclina all'arcaismo, questa patina
aulica e arcaica investe indifferentemente tutti i personaggi e le situazioni, con effetti di comicità
involontaria –> risentono della lingua del melodramma, ma sono pronti anche colloquialismo,
toscanismi, regionalismi, tecnicismi, forestierismi e neologismi, che spesso ricorrono in metafore,
con l'intento di impressionare il pubblico. Pagina 2
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4) Altri mondi e modi narrativi
1840 –> "Fede e bellezza" di Niccolò Tommaseo (Venezia, Gondoliere) in 6 libri
Tra il 1827-1834 Tommaseo si trasferì a Firenze => contatto diretto con il fiorentino e in
generale con il toscano vivo. Il riferimento al toscano era profondamente antimanzoniano:
perde d'importanza la distinzione tra lingua viva e arcaica, e l'intera tradizione letteraria
diventa potenzialmente utilizzabile dallo scrittore, guidato da criteri espressivi piuttosto che
dall'attenzione all'uso corrente => peculiare impasto di patrimonio letterario (prosastico e
poetico), toscano vivo e classici latini e greci. Centrale l'apporto del toscano vivo sia per i
tratti comuni alla tradizione letteraria (apocope postvocalica, prostesi di i) sia per i pretti
idiotismi, a cui si associa una sintassi colloquiale (che polivalente, anacoluti, ci
attualizzante, sconcordanze), e tratti letterari (uso dittongo uo, uso egli ed ella).
Scopo di questa commistione è una ricerca di espressività non con intento mimetico bensì
tesa a esplorare i colori linguistici in tutte le loro sfumature => recupero senso etimologico
o arcaico dei termini.
Il racconto procede continuamente interrotto da divagazioni, riflessioni, descrizioni, ricordi
e dialoghi => disinteresse per il procedere lineare della trama che si accorda con la
sperimentazione di forme narrative diverse all'interno dell'opera (monologhi, diari, lettere).
L'esperimento non ebbe
L'esperimento non ebbe fortuna, il romanzo ricevette dure critiche. Nel 1852 uscì la
versione definitiva (Milano, Borroni e Scotti) dove furono attenuati i toscanismi e gli
aulicismi.
1867 –> "Confessioni di un ottuagenario" di Ippolito Nievo (Firenze, Le Monnier. Opera postuma
curata da Erminia Fusinato, nel 900 "Confessioni di un Italiano")
Caratteristica del romanzo è la commistione di generi diversi: romanzo storico, di
formazione, racconto (pseudo) autobiografico, che si rispecchia anche nella varietà della
lingua dove si accostano dialettismi, toscanismi, colloquialismi, aulicismi, francesismi, i
primi provengono dall'oralità mentre i secondi sono ricavati per via libresca. Toscanismi e
settentrionalismi ricreano un linguaggio medio e colloquiale, ma sono presenti anche
aulicismi e citazioni dantesche, manzoniane, leopardiane e foscoliane.
Linguisticamente la posizione di Nievo è anti-manzoniana, a fronte dell'omogeneità
linguistica della Quarantana quindi predomina un'accentuata varietà, diversamente da
Tommaseo, volto alla ricerca espressiva (e in cui manca il dialetto) Nievo attinge in modo
disinvolto al patrimonio disponibile alla propria competenza linguistica e rifiuta di
enfatizzare il problema espressivo del romanzo, questo perché il p