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Sergij. Secondo la commissione per la riabilitazione istituita dal patriarcato di Mosca, fino al 1941 hanno
subito la repressione per motivi di fede 350mila persone, di cui 150mila arrestate solo nel 1937 e di queste
80mila fucilate. Nel 1939 la Chiesa ortodossa è praticamente in fin di vita.
3 - Una opportunità inattesa
3.1 - Fine del terrore?
•• Tra il 1938 e il 1939, Stalin e il Politbjuro decidono di porre fine al terrore, o almeno di ridurlo. Le
repressioni hanno causato un ricambio della classe dirigente, è stata accantonata la vecchia guardia
bolscevica, ed è avanzata una giovane generazione.
Nel 1938, con l’annessione dell’Austria alla Germania nazista (Anschluss), lo scoppio della guerra sembra
imminente, quindi bisogna concentrarsi sul conflitto, evitando la formazione di un fronte unitario
antisovietico, ed è quindi importante ritardare il più possibile l’ingresso dell’Unione Sovietica nel conflitto.
Questo spinge Stalin a un cambiamento politico, ma la politica antireligiosa non cessa del tutto. L’esistenza
di una intensa vita ecclesiale clandestina diventa uno dei motivi principali che inducono i dirigenti sovietici a
mantenere in vita una direzione ecclesiastica della Chiesa russa (più facile da controllare rispetto a una
galassia di realtà illegali). Comunque, gli arresti dei preti e la chiusura delle chiese continua, anche se con
una intensità notevolmente ridotta.
3.2 - Ortodossia di frontiera
•• In seguito all’invasione nazista della Polonia e allo scoppio della guerra, il 17 settembre 1939 le truppe
sovietiche entrano nei territori orientali della Polonia, occupando la Bielorussia occidentale, la Volpina e la
Galizia orientale, poi annesse alle Repubbliche sovietiche di Bielorussia e di Ucraina. La maggior parte
della popolazione di questi stati è ortodossa. La Chiesa russa si trova quindi a disporre di comunità che
non avevano subito la persecuzione comunista. Ma l’alternanza di dominazioni politiche aveva provocato in
quei territori un tessuto religioso e nazionale articolato. La contrapposizione principale è quella tra fede
polacca (cattolici) e fede russa (ortodossi). La Polonia è intrinsecamente cattolica e sente il compito storico
di espandere il cattolicesimo a Oriente; eppure, tra le due guerre la Polonia è spaccata sia a livello etnico
sia a livello religioso, dunque si sviluppano fenomeni di intolleranza. Molte chiese ortodosse vengono
trasformate in luoghi di culto cattolici oppure vengono chiuse o distrutte.
La presenza di minoranze religiose in Polonia costituisce uno dei problemi più gravi. L’intento del governo
polacco negli anni tra le due guerre è di demoscovizzare la Chiesa ortodossa (anche distruggendo la
maggior parte delle Chiese ortodosse con il coinvolgimento della Chiesa cattolica locale o effettuando una
conversione forzata della popolazione al cattolicesimo), appoggiando anche le correnti nazionaliste
presenti all’interno della Chiesa, inclini alla sua bielorussizzazione o ucrainizzazione. L’obiettivo finale infatti
è la polonizzazione della Chiesa ortodossa, anche con l’introduzione del polacco come lingua nelle liturgie.
È importante che la Chiesa ortodossa polacca si stacchi dalla dirigenza di Mosca. Infatti già negli anni Venti
si rivolge alla sede di Costantinopoli per il riconoscimento dell’indipendenza. Da sempre, Costantinopoli ha
avuto come obiettivo l’indebolimento del patriarcato di Mosca per riottenere il primato ortodosso. Infatti, il
patriarca (ecumenico) di Costantinopoli Gregorios nel 1924 vuole ottenere un sostegno da parte dei
sovietici nelle difficili relazioni con il governo turco, invitando anche Tichon a dimettersi e a rimettere il
potere ecclesiastico nelle mani dei rinnovatori, con conseguente abolizione del patriarcato. Nell’estate del
1940 l’Urss ottiene anche la Bessarabia (faceva parte dell’ex Impero zarista) e la Bucovina settentrionale
(entrambe appartenute tra le due guerre alla Romania e quindi facevano riferimento alla Chiesa ortodossa
romena; quando la Bessarabia, che prima faceva riferimento alla Chiesa russa, torna sotto il controllo di
Mosca, la Chiesa russa senza ritenere necessario un qualche accordo con la Chiesa romena riprende a
esercitare direttamente il potere; lo stesso avviene con la Bucovina, sebbene questo territorio non fosse
mai stato in precedenza sottomesso all’autorità della Chiesa russa).
3.3 - Arrivano nuovi fedeli
•• Tra il 1939 e il 1940 gli avvenimenti hanno determinato un consistente allargamento dei confini della
giurisdizione del patriarcato di Mosca (si parla di diversi milioni di ortodossi in più, seminari attivi, chiese,
monasteri, facoltà teologiche, riviste ortodosse…). Questo ampliamento delle frontiere comporta una
inattesa disponibilità di strutture e fedeli. Per la Chiesa russa si tratta di acquisire nuove energie, che
lasciano sperare in un allontanamento del pericolo della liquidazione. Le autorità sovietiche applicano
anche ai nuovi territori le pratiche del terrore, per giungere a una sovietizzazione delle regioni annesse.
Vengono chiusi gli istituti di istruzione teologica, si sospende l’insegnamento della religione nelle scuole, le
organizzazioni religiose vengono sciolte, si dichiara la nazionalizzazione delle proprietà ecclesiastiche e il
clero viene gravato di pesanti tasse. Comunque, non si assiste a un’offensiva antireligiosa a tutto campo in
quanto l’assimilazione di popolazioni che si caratterizzano per una radicata fedeltà alle forme tradizionali
della pratica religiosa richiede una prudenza particolare. La repressione si indirizza soprattutto verso gli
esponenti delle nazionalità non russe (ucraini, baltici, polacchi…). In ogni caso, la situazione di Mosca
continua a essere drammatica; l’allentamento della pressione è dovuto all’obbligata distrazione di Stalin per
i problemi militari per via del conflitto mondiale.
3.4 - Rinascita religiosa sotto la Wehrmacht
•• Il 22 giugno 1941 l’invasione da parte delle truppe tedesche nell’Urss provoca un cambiamento della
condizione dei credenti. Diverse sono le forme che assume questo processo di trasformazione secondo la
parte del fronte dalla quale si ritrovano le diverse regioni. Nelle zone occupate dai nazisti si assiste a una
rinascita religiosa, con riapertura di chiese e monasteri, fenomeno che non viene provocato dai tedeschi,
ma il quale viene da questi tollerato. Infatti, l’iniziativa proviene soprattutto dai fedeli che si mobilitano per la
riapertura dei luoghi di culto, e addirittura si organizzano per restaurarli e decorarli. Il risveglio religioso ha
luogo soprattutto tra le generazioni più anziane. In Lettonia e in Estonia si formano dei gruppi del
Movimento cristiano studentesco russo, fondato da esponenti dell’emigrazione russa (antisovietica),
repressi dai sovietici. I tedeschi vogliono imporre il calendario gregoriano alla Chiesa ortodossa, ma i fedeli
si oppongono dicendo che neanche i sovietici erano arrivati a tanto (anche se vi era stato un suggerimento
da parte loro negli anni Venti). Il calendario della Chiesa ortodossa resta quindi quello giuliano.
3.5 - Svastica e croce bizantina
•• Le autorità tedesche si trovano di fronte a questa rinascita spontanea della Chiesa e modulano la loro
linea politica in relazione alle differenti condizioni locali. I nazisti sostengono una campagna in favore
dell’unificazione delle parrocchie russe presenti in Germania poiché la loro intenzione è quella di porsi
come protettori della Chiesa ortodossa russa perseguitata dal potere bolscevico. Il collante è quindi
l’antibolscevismo. Nell’atteggiamento dei tedeschi nei confronti della Chiesa russa però prevale l’ideologia
di Hitler e della Gestapo, che considera gli slavi come sotto-uomini. Le popolazioni dei territori occupati
sono sottoposte a un regime di razzie, di deportazioni come manodopera coatta in Germania, di uccisioni di
massa eseguite soprattutto nei confronti di ebrei (2 mln di vittime) e di zingari. In generale la politica
ecclesiastica del regime nazista è ispirata da motivazioni antireligiose e ha come obiettivo l’eliminazione
delle chiese, da sostituire con la fede nazista. Infatti, la violenza è usata anche nei riguardi delle comunità
religiose (vengono distrutte chiese e vengono uccisi in massa preti e fedeli). I territori annessi all’Urss nel
1939 e occupati dai nazisti vengono spartiti presso la Prussia orientale (diventando parte del Reich), la
Polonia e la Romania. Dalla cancelleria del partito nazista (Nsdap) arriva il divieto di ogni attività politica per
i gruppi religiosi e viene favorita ogni divisione (autocefalia) capace di indebolire la Chiesa ortodossa
facendo leva sui sentimenti nazionalisti (il piano funziona soprattutto in Ucraina, in cui si formano due
Chiese: la Chiesa ortodossa ucraina autonoma, che fa capo a Mosca, e una Chiesa autocefala, la cui
legittimità non viene riconosciuta dalle altre Chiese ortodosse). Nella guerra mondiale, la Chiesa ortodossa
e in genere i russi, sebbene il disaccordo con i bolscevichi da un punto di vista ideale (nelle questioni di
fede), non possono che schierarsi dalla parte dei bolscevichi e contro il nazifascismo, nemico naturale della
stirpe russa e in genere slava, con la sua teoria razziale condotta fino agli estremi fisiologici, ed è per
principio ostile al cristianesimo (anche se per considerazioni di ordine tattico può non manifestare subito la
sua ostilità). Non è possibile, secondo il locum tenens Sergij (poi patriarca nel settembre 1943), che
vescovi ed ecclesiastici siano dalla parte del nazifascismo, e l’unica spiegazione è una loro sottomissione
obbligata per via di pressioni e ricatti fascisti (con chiaro riferimento all’esarca Sergij, che infatti viene
ucciso dai tedeschi ad aprile 1944, quando rifiuta di dichiararsi contro il nuovo patriarca Sergij). Stalin allora
comincia a essere permissivo nei confronti della Chiesa così da creare un fronte comune contro il nazismo.
3.6 - Chiesa e patriottismo
•• La Chiesa russa sin dall’inizio della guerra si dichiara al fianco del popolo russo. Il patriottismo è
profondamente radicato nell’ortodossia russa. La Chiesa avrebbe tutti i motivi per negare al governo
sovietico il suo sostegno e forse potrebbe anche approfittare delle difficoltà del regime per favorirne la
caduta, ma si schiera al fianco del potere. Non è pensabile per gli ecclesiastici russi che la Chiesa possa
schierarsi contro il governo proprio quando la Russia è invasa, “come una madre che vede il senso della
vita nella salvezza dei suoi figli”, dice Sergij. La presa di posizione viene comunicata il 22 giugno 1941 a
tutte le parrocchie del patriarcato di Mosca, all’indomani della “Grande Guerra Patriottica”, contro i tedeschi
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