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In Germania c’è una prima ipotesi grande-tedesca che vuole comprendere l’Austria in una

federazione e una piccola-tedesca che vuole la costituzione di uno Stato nazionale lasciando fuori

l’Austria.

Quanto al Lombardo-Veneto, le truppe austriache, schiacciate a Milano e Venezia di fermano a

Verona in attesa del peggio mentre nel resto d’Italia i movimenti patriottici invitano i vari Stati della

penisola ad unirsi in una Lega. Nel marzo le truppe piemontesi entrano a Milano ma restano

diffidenti nei confronti degli insorti, arrivati anche da tutta Italia: accettano il contributo degli Stati

ma non costituiscono la Lega per non rendere il conflitto nazionale.

L’ondata rivoluzionaria inizia a defluire partendo da Parigi, dove viene costituita una repubblica

basata su una Costituzione democratica, un’unica assemblea parlamentare eletta a suffragio

universale maschile e un presidente eletto dal popolo. Nel frattempo Radetsky passa al contrattacco

nel lombardo-veneto e costringe i piemontesi ad un armistizio che riporta, ad agosto, tutti i vecchi

confini. All’inizio del 1849 sale al trono asburgico Francesco Giuseppe, il quale promulga una

Costituzione valida per tutto l’impero fatta eccezione dell’Italia abolendo in questo modo tutte le

antiche costituzioni delle varie parti dell’impero. In Italia si registra una ripresa democratica che

conquista favori in Toscana e a Roma, città in cui affluiscono un gran numero di patrioti (tra cui

Mazzini e Garibaldi) e viene proclamata la repubblica romana. Ma questa a vita breve, perché

interviene in favore del papa l’esercito francese che restaura il potere papale e combatte la

resistenza cittadina. L’ondata rivoluzionaria in questo modo si riassorbe.

Capitolo 4. Unificazioni statali

Nel 1851 il presidente della repubblica francese, Luigi Napoleone Bonaparte, sciolse il parlamento

promuovendo un colpo di Stato e chiedendo allo stesso tempo al popolo di approvare la sua azione

tramite un suffragio universale. Intanto nell’impero asburgico Francesco Giuseppe annulla la

costituzione concessa nel 1849 muovendosi su una linea autoritaria e modernizzatrice; Vittorio

Emanuele II, nuovo re del regno di Sardegna, conserva lo Statuto albertino emanato nel ’48 e nel

1852 promuove a capo del governo Camillo Benso, conte di Cavour, il quale, consapevole delle

debolezze italiane, infittì le relazioni commerciali con l’Europa progredita e rafforzò le relazioni

diplomatiche del regno aiutando l’armata anglo-francese nei Balcani. Lo zar Alessandro II

promosse l’abolizione della servitù contadina facendo in modo che la gran parte delle comunità

rurali adottasse un sistema di proprietà collettiva e ridistribuzione periodica delle terre ai capi-

famiglia, vista di buon grado anche dai funzionari perché garantiva l’ordine nell’impero.

Tornando all’Italia, Cavour puntò sull’alleanza con Napoleone III per risolvere l’ormai famosa

“questione italiana”; quella che i patrioti definirono seconda guerra d’indipendenza scoppiò nel

1859 e fu combattuta in Lombardia dai piemontesi e dai francesi; nel frattempo il governo toscano e

quello emilio-romagnolo furono travolti da insurrezioni: con la battaglia di Solferino fu proclamata

la vittoria dei franco-piemontesi contraddistinto dalla decisione francese di consegnare la

Lombardia ai piemontesi e lasciare il Veneto agli austriaci. L’Italia risultò quindi divisa in tre stati

indipendenti: quello centro-settentrionale (monarchico costituzionale, rifletteva moderne idealità

liberali e patriottiche), quello centrale (assolutista e teocratico, appariva come un fossile storico che

sopravviveva solo grazie al sostegno francese) e quello meridionale dei Borbone (che rappresentava

per i liberali la stessa tirannide dello stato centrale). Al diffondersi di notizie su una nuova

insurrezione siciliana molti patrioti, compreso Garibaldi, partirono dalla Liguria nel maggio del

1860, ottenendo sull’isola numerosi successi militari. Cavour aiutò l’esercito garibaldino inviando

armi e truppe, ma allo stesso tempo temette che Garibaldi potesse mettergli contro le grandi potenze

o potesse tornare su idee repubblicane; nel frattempo il regime borbonico cerco di salvare la

situazione promulgando di nuovo la costituzione, ma l’esercito garibaldino li scacciò

definitivamente ed iniziò la sua salita verso il Nord: a questo punto Cavour inviò il suo esercito

verso Sud, il quale fece piazza pulita della resistenza pontificia. Nell’ottobre 1860 l’esercito

borbonico passò alla controffensiva ma fu definitivamente sconfitto segnando la fine del regno delle

Due Sicilie: il potere fu assunto da delegati del governo di Torino che sciolsero l’esercito

meridionale e liquidarono lo stesso Garibaldi. Nel febbraio del 1861 si indussero nuove elezioni e il

parlamento proclamò il regno d’Italia, con capitale Torino, a cui restavano fuori il Lazio e il Veneto.

Un’altra guerra civile scoppiò quando, l’anno dopo, Garibaldi sbarcò in Sicilia al grido di “Roma o

morte” e iniziò la risalita della penisola: ma i democratici erano consapevoli del fatto che la

monarchia avrebbe tenuto unito il neo-stato, così decisero di fermarsi.

Mentre l’Italia si unificava gli Stati Uniti si spaccavano: gli Stati del Sud proclamarono la

secessione e crearono una loro Confederazione, quelli del Nord rimasero nell’Unione. Questa

divisione fu dovuta alle controversie tra i singoli Stati e il governo federale, al protezionismo

doganale del Nord e al libero-scambismo del Sud e soprattutto all’abolizione della schiavitù. La

goccia che fece traboccare il vaso fu l’elezione a presidente di Abramo Lincoln. Nei primi anni

della guerra il conflitto fu equilibrato: nel 1863 il presidente abolì la schiavitù al Nord e la guerra

termino con una campagna di terra bruciata delle armate sudiste e la resa dei confederali. La

schiavitù fu quindi abolita in tutti gli Stati Uniti.

Un anno dopo la fine della guerra civile americana, nel 1866 si mise in moto la Germania: al

cancelliere prussiano Otto Von Bismarck toccò un ruolo analogo a quello di Cavour. Bismarck si

procurò il consenso dei patrioti proponendo il sovrano Guglielmo I come campione della causa

nazionale in particolare con la guerra che quell’anno vide l’esercito prussiano sconfiggere l’alleanza

meridionale guidata dall’impero asburgico. Alleati con lui c’erano gli italiani che acquisirono

finalmente il Veneto. La comune ostilità verso i francesi aiutò l’alleanza tra il nord filoprussiano e il

sud antiprussiano e quando vinsero nel 1871 a Sedan si proclamò la nascita del nuovo impero (e la

caduta definitiva di quello francese). Nel Reich i prussiani mantennero un ruolo dominante nell’alta

burocrazia mentre l’esercito fu guidato dalla loro aristocrazia; si aggiunsero il Senato

rappresentativo dei diversi Stati e la Camera dei deputati eletta a suffragio universale maschile.

Capitolo 5. L’Italia liberale

Per quanto riguarda l’Italia, non è stata la nazione a creare lo Stato, visto che nel 1881 abbiamo il

Regno d’Italia, ma la seconda. A seguito dei disastri della guerra italo-austriaca del 1866 ci si rese

conto che la penisola era debole perché le mancavano le risorse che nel mondo moderno fanno la

forza degli Stati: economia e organizzazione sociale, oltre a quelle culturali, perché la maggior parte

della popolazione era analfabeta. Lo Statuto albertino dava allo Stato un carattere liberale e laico

sancendo l’eguaglianza civile tra i cittadini, la libertà di pensiero e di espressione e la divisione dei

poteri; per quanto riguarda il rapporto tra il re e il capo del governo, dal punto di vista costituzionale

il primo nominava il secondo; il potere esecutivo e quello legislativo erano ben divisi grazie alla

divisione rispettivamente tra Senato e Camera dei deputati (eletti a suffragio universale maschile

ristretto). Per quanto riguarda il circuito amministrativo, questo andava dal centro verso la periferia,

in quanto il paese venne diviso in provincie governate dai prefetti nominati dal ministero degli

Interni: i prefetti a loro volta nominavano sindaci di paesi e città.

I due partiti statali, destra e sinistra, non avevano strutture permanenti: la destra si identificava

maggiormente nell’idea oligarchica della vita pubblica, e si convinse della necessità di un intervento

dello Stato nell’economia, soprattutto per costruire le infrastrutture (come strade, porti, ferrovie). La

sinistra chiedeva l’allargamento del suffragio e lamentava il rigido controllo governativo sugli enti

locali. Dati i molti scontri il re vide la necessità di una svolta e nel 1876 (sei anni prima la capitale

era stata spostata a Roma) nominò capo di governo Depretis (che emanò nel 1882 una riforma

elettorale ammettendo al voto tutti i cittadini maschi che avessero raggiunto i 21 anni d’età e che

sapessero leggere e scrivere).

La frammentazione politica corrispondeva a una frammentazione economica in quanto in Italia

prevalevano i mercati locali oltre che, per alcuni prodotti, quelli internazionali a cui poche aree

settentrionali e meridionali erano collegate. L’esportazione maggiore della penisola era la seta

grezza (indirizzata in Francia) mentre per quanto riguarda il meridione, le capacità di esportazione

erano legate alle coltivazioni arboree: caratteristico in questo senso era la coltivazione della vite

perché fatta eccezione per il vino Marsala, il resto era esportato per allungare i vini francesi. Dopo

molti sforzi venne completata la linea ferroviaria Nord-Sud ma le difficoltà del meridione rimasero

elevate proprio perché lontano fisicamente dalle linee internazionali più ricche. È sbagliata la tesi

secondo cui il Nord fosse industrializzato e il Sud feudale: la borghesia era una realtà ancora viva in

tutta la penisola; con l’arrivo di mercanti, finanzieri, imprenditori e tecnici stranieri si procedette a

rendere le città più moderne e decorose dotandole di fognature e illuminazione a gas, costruendo

rettifili, passeggiate, teatri e risanando i vecchi quartieri poveri e degradati.

Per quanto riguarda lo sviluppo della società, i governi post-unitari avevano cercato di creare un

ceto di medi o piccoli proprietari contadini distribuendo terreni demaniali (cioè proprietà

pubbliche); a partire dal 1876 gli studiosi iniziarono a riflettere sulla cosiddetta “questione

meridionale”. Nel rapporto con la Chiesa si seguì il motto cavuouriano di “libera chiesa in libero

Stato” poiché l’Italia rinunciò ad ogni pretesa di controllo nell’organizzazione ecclesiale e con la

legge delle guarentigie riconosceva l’extraterritorialità dei

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
9 pagine
10 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Aspasia1989 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Roccucci Adriano.