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Forlani, leader dello schieramento moderato. De Mita è costretto anche a lasciare la guida del governo nel
maggio 1989. Si forma un nuovo governo a guida democristiana, affidato questa volta ad Andreotti, ma
ormai la compattezza nella maggioranza è persa: nel 1991 esce dal pentapartito il Pri (Partito repubblicano
italiano). Questa coalizione di governo indebolita appare ormai inadeguata ad affrontare la crisi della prima
Repubblica. I cittadini chiedono riforme ormai da troppo tempo e denunciano il malcostume politico e il
sistema nel suo insieme. Si scopre che la crisi nel meccanismo elettorale proporzionale non è da
riconoscersi nell'incapacità di singoli leader o di singoli partiti, ma nella debolezza dell'esecutivo,
nell'impossibile alternanza al governo di schieramenti contrapposti. La crisi del sistema dei partiti è poi
accelerata dalle sollecitazioni indotte da nuove forze politiche e da una serie di iniziative giudiziarie: sono
soprattutto Dc e Psi a farne le spese.
29.9 - Parola chiave: Mafia
•• La parola “mafia” da la sua comparsa nel dialetto siciliano e poi nella lingua italiana intorno al 1850 e
indica una rete di associazioni legate da stretti vincoli gerarchici e da un codice d'onore fondato sull’omertà
(silenzio su un delitto), che pratica violenza e intimidazione per trarre guadagni e vantaggi per i propri
membri, ma anche per imporre, a livello locale, un proprio ordine, alternativo a quello dello Stato. Per
questa ragione la parola ha poi goduto di grandissima fortuna anche al di fuori dell’Italia (mafia russa, turca,
cinese, giapponese…) e viene oggi comunemente usata, insieme con il derivato “mafioso”, per indicare la
tendenza a prevaricare, a sostituire il potere istituzionale con il proprio potere, avvalendosi di una rete di
amicizie e di complicità inconfessabili. Le radici del fenomeno sono da individuare nella Sicilia semi-feudale
del 1700/1800 (nelle “compagnie d’armi” al servizio dei signori, nelle corporazioni artigiane di Palermo e
nell’azione di grandi affittuari per il controllo del mondo contadino). Dopo l'Unità d'Italia l’associazionismo
mafioso si estende e si rafforza anche come reazione alla più forte presenza dello Stato, diventando subito
oggetto di studi e di inchieste. Ma è soprattutto dopo il 1893, con l'assassinio del direttore del Banco di
Sicilia Emanuele Notarbartolo, che il fenomeno assume rilevanza nazionale, svelando i suoi stretti intrecci
con la politica. Questi legami si intensificano all'inizio del Novecento, mentre la mafia varca l’Oceano
inserendosi, tramite le comunità immigrate, nel gangsterismo nordamericano. Nel 1926 il regime fascista
affronta la questione, inviando a Palermo il prefetto Mori e, investendolo di poteri straordinari per debellare
la rete mafiosa, questa viene colpita e decapitata, ma non del tutto estirpata. Quando molti esponenti della
mafia italo-americana sbarcano in Sicilia nel luglio 1943 con le truppe statunitensi, la rete viene
rapidamente ricostruita e, nell'immediato dopoguerra, viene largamente usata come strumento della
reazione padronale contro il movimento contadino. Nel 1960 la mafia si inserisce, sfruttando anche i suoi
collegamenti politici, nella speculazione edilizia per poi applicarsi con profitto al traffico internazionale degli
stupefacenti, senza per questo rinunciare alle attività tradizionali, come il taglieggiamento delle attività
commerciali (“pizzo”) richiesto come contropartita a una protezione imposta con la forza. Le stendersi degli
interessi mafiosi scatena una serie di cruente lotte interne all'organizzazione, da cui escono vincitori i
corleonesi (così chiamati dal loro paese di origine), guidati da Riina e Provenzano. Questi, a partire dalla
fine degli anni Settanta, davanti ai primi segnali di reazione da parte dei poteri pubblici, scatenano una
autentica guerra allo Stato che provoca molte vittime illustri, culminando nel 1982 con l'uccisione del
prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, e nel 1992 con l'assassinio dei magistrati Falcone e
Borsellino. Da questo momento l'azione repressiva di polizia e magistratura ha fatto registrare successi, a
cominciare dall'arresto di Riina (1993) e di Provenzano (2006). Eppure, la mafia, in quanto fenomeno
radicato nel territorio e dotato di estesi collegamenti internazionali, è ancora ben lontana dall'essere
definitivamente estirpata.
30 - Società postindustriale e globalizzazione (manca nei riassunti)
30.1 - Degrado dell’ambiente e sviluppo sostenibile
•• La crisi petrolifera del 1973 pone le società industrializzate davanti a nuovi inquietanti problemi: le risorse
naturali del pianeta sono limitate e dunque esauribili, contraddicendo la prospettiva ottimistica di una
crescita illimitata della produzione, dei consumi, della stessa popolazione, alla base della filosofia ispiratrice
della civiltà industriale. Questa prospettiva comincia allora ad apparire non solo irreale, ma anche dannosa.
Alla protesta ideologica contro la civiltà dei consumi si sostituisce allora una critica più concreta animata dai
movimenti ambientalisti fondata sulla denuncia dei danni all’equilibrio ambientale del pianeta per colpa
degli uomini. Il degrado dell'ambiente ha radici lontani, legate ai primi passi della rivoluzione industriale
nella seconda metà del Settecento (e che nel Novecento diventa una vera emergenza). Il problema
principale è l'uso dei combustibili fossili, prima il carbone e poi il petrolio. All'inizio del Novecento è ancora
la combustione del carbone nelle industrie e nelle abitazioni la principale responsabile dell'inquinamento
dell'aria, ma nel 1960 il traffico automobilistico comincia a contendere questo primato e nel 1990 diventa la
maggiore fonte di inquinamento a livello mondiale. Le emissioni di inquinanti si quintuplicano nel corso del
Novecento, con gravi effetti sul clima e, più in generale, sulle condizioni di vita di tutt*. Infatti, lo
straordinario sviluppo economico del pianeta lungo tutto il secolo comporta il consumo di una quantità
straordinaria di energia. Secondo McNeill (storico dell’ambiente), nel Novecento il consumo di energia è
stato di 10 volte superiore a quello dei 1000 anni precedenti. Se si vuole quindi continuare a sostenere la
crescita economica senza compromettere le condizioni ambientali, è necessario usare fonti energetiche
alternative ai combustibili fossili. Per combattere la crisi petrolifera, i governi promuovono politiche di
risparmio energetico, cercando di limitare la circolazione dei mezzi di trasporto privati, di contenere i
consumi di elettricità e di impiegare fonti di energia alternative al petrolio. Usa, Francia e Germania
federale puntano sullo sviluppo delle centrali nucleari, che possono fornire energia a costi molto inferiori a
quelle delle centrali termoelettriche, ma contestate dagli ecologisti per i problemi legati allo smaltimento
delle scorie e per i danni irreversibili che possono provocare in caso di guasti o di incidenti (nel 1986 dalla
centrale sovietica di Chernobyl si sprigiona una nube radioattiva che contamina acque e terreni in un’area
molto vasta, provocato gravi malattie in quelli che vengono in contatto con le radiazioni. Altri Stati
riscoprono il carbone o avviano lo sfruttamento dell'energia solare e di quella eolica, energie pulite e
inesauribili, il cui impiego, nonostante i costi elevati e le notevoli difficoltà iniziali, viene favorito da un forte
sviluppo della tecnologia. La spinta negli anni Settanta alle ricerche di fonti energetiche alternative si
esaurisce negli anni Ottanta, grazie al calo dei prezzi del petrolio e a una nuova e prolungata crescita delle
economie dei paesi industrializzati. Si abbandonano però parametri economici puramente quantitativi per
valutare lo sviluppo economico (reddito pro capite, produttività…), ma si tende a usare il concetto di
sviluppo sostenibile nei confronti dell’ambiente e quindi dell’uomo. Questa nuova prospettiva viene usata
dalla “Commissione sull’ambiente e sullo sviluppo” delle Nazioni Unite, ed enunciata nel rapporto
Brundtland (dal nome della sua autrice, a capo del governo norvegese) del 1987, in cui si afferma che lo
sviluppo deve rispondere ai bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni
future di fare altrettanto. In vista della crescente attenzione per le questioni ecologiche, anche i governi
avviano politiche ambientaliste. Nel 1992, in una conferenza organizzata dall'Onu a Rio de Janeiro, oltre
140 paesi si impegnano a limitare l'inquinamento atmosferico e a perseguire una sviluppo economico
rispettoso dell’ambiente. I risultati sono comunque inferiori alle aspettative, e infatti nel 1997 un nuovo
vertice internazionale sull’ambiente elabora il protocollo di Kyoto, che ha lo scopo di obbligare gli Stati a
ridurre le emissioni di CO2 entro quindici anni. Questo programma, che implica alti costi per
l'ammodernamento degli impianti, non viene condiviso né dagli Usa, massima potenza industriale del
mondo, né dalle potenze industriali emergenti, come la Cina e l’India. Lo stesso programma viene poi
approvato in un vertice dei paesi industrializzati nel giugno 2007, ma non prevede né procedure vincolanti
né tempi certi di applicazione, e quindi non viene mai preso in considerazione.
30.2 - La rivoluzione elettronica
•• Durante gli ultimi decenni del Novecento si assiste al declino di industrie che avevano svolto un ruolo
centrale per tutto il secolo (soprattutto quella dell’acciaio, che vede calare a picco la sua produzione),
declino spiegabile con l’affermazione di nuove tecniche produttive e con l’aprirsi di nuovi campi di attività. Il
nucleo propulsore di questo processo di trasformazione (che era avvenuto anche alla fine dell’Ottocento
per l’emergere di nuove tecnologie e di nuovi settori produttivi) sta di certo nell’elettronica, branca della
fisica che studia il movimento degli elettroni e che già nella prima metà del Novecento è stata alla base di
alcune fondamentali scoperte nel campo delle comunicazioni radiofoniche e televisive. La più rivoluzionaria
tra le applicazioni della tecnologia elettronica la si attua dopo la Seconda guerra mondiale nel settore delle
macchine da calcolo (computer), apparecchi che riproducono in minima parta i meccanismi di
funzionamento del cervello umano, grazie all’apertura e alla chiusura di una serie di circuiti elettrici; queste
macchine sono in grado di eseguire operazioni matematiche senza possibilità di errore e in tempi
infinitamente più brevi di quelli umani; queste macchine riescono anche a immagazzinare una serie di dati
da richiamare poi all’occorrenza, e possono anche “reagire”, se opportunamente programmate, a impulsi
esterni, così