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MIO PADRE IL FALCO

Malala si sofferma sulla figura del padre. Confessa che aveva delle balbuzie che lo portavano a soffrire

quando si sentiva in difficoltà mentre doveva pronunciare certi suoni. Nonostante questo problema sin da

piccolo decise di iscriversi a una gara di oratoria in pubblico e il nonno anche proveniva da una stirpe colta.

Ha sempre cercato di non deluderlo. Per la sua strabiliante vittoria alla gara, in cui riuscì a controllare la sua

balbuzie, venne soprannominato falco, una creatura capace di volare alta sopra tutte le altre, ma il termine

non gli piaceva perché il falco era anche un animale crudele e rinunciò a farsi chiamare SHANIN. Il nonno

di Malala trasmise a suo padre un profondo amore per l’apprendimento e per conoscenza, una forte

consapevolezza dei diritti e delle discriminazioni. Tutte cose che a sua volta ha insegnato a Malala.

CRESCERE IN UNA SCUOLA

Malala racconta che sua madre all’età di sei anni aveva iniziato ad andare a scuola ma finì per rinunciare

quasi subito, nonostante la bravura, perché era l’unica femmina in una classe di maschi e il guardare le sue

cugine mentre rimanevano a casa le facevano capire che alla fine era tutto inutile: il suo futuro sarebbe stato

quello di pulire la casa, fare da mangiare e badare ai figli. Solo quando incontrò suo padre, confrontandosi

con la sua magnifica cultura, iniziò a rimpiangere quanto avrebbe potuto fare se solo avesse continuato. Suo

padre ha dovuto affrontare molteplici sacrifici pur di raggiungere il suo sogno:proprio quando nacque Malala

venne avviata la sua prima scuola e in seguito avrebbe voluto nominare la seconda “Malala Education

Fondantion”

IL VILLAGGIO

Qui Malala si sofferma a raccontare del suo Swat. Dell’amore della sua famiglia per questa terra e di come si

può vivere bene con poco dando il giusto valore alle cose semplici che restano a lungo le più preziose.

Malala si dimostra fiera di essere una pashtun anche se rimane cosciente del fatto che il loro codice non è

affatto flessibile, specie per il trattamento riservato alle donne. Per esempio queste venivano usate per

“risolvere“ delle faide tra famiglie, cedute in mogli come se fossero merce da scambio, uccise( fingendone il

suicidio) se venivano scoperte a flirtare con un uomo, anche col solo sguardo: diventava il disonore di tutta la

famiglia. Situazione ancora peggiore in Afghanistan: i talebani bruciarono tutte le scuole femminili, gli

uomini dovevano portare una lunga barba e le donne indossare il burqa(l’unico spiraglio era riservato agli

occhi per guardare fuori), proibito di ridere forte o addirittura indossare scarpe bianche perchè colore

riservato agli uomini, venivano chiuse in casa e picchiate a sangue se solo si mettevano lo smalto sulle

unghie. Malala rabbrividiva a queste storie raccontate dal padre e nonostante ciò pensava che nello Swat le

cose erano più tranquille, mentre alle spalle della sua terra nelle montagne si scatenava il terrore. Il padre la

tranquillizzava che avrebbe protetto la sua libertà anche a costo della sua vita.

PERCHE’ NON PORTO GLI ORECCHINI E PERCHE I PASHTUN NON DICONO GRAZIE

Malala esordisce in questo paragrafo soffermandosi su un aneddoto della sua vita che particolarmente l’ha

segnata. Quando era piccola, giocando con la sua amichetta vicina di casa Safina, si accorse che le mancava

un telefono di plastica rosa e dopo qualche giorno vide che ce l’aveva lei uno identico. Mossa da un senso di

vendetta, Malala iniziò a rubare le sue cose, tra cui collane e orecchini, senza riuscire a fermarsi più. Una

volta scoperta dai suoi genitori dovette ammettere la sua colpa ma il dolore più grande è stato il dover fare i

conti con la loro delusione, specie verso il padre. Che poi, nemmeno le piacevano, ammette, tutte quelle

cianfrusaglie né il rumore degli orecchini che con i loro pendenti urtano il viso. Era diventata

inconsapevolmente una questione di principio, come il loro codice che, dopo l’uccisione di un parente, si

deve uccidere l’assassino o un membro della sua famiglia: una faida infinita. Gli uomini non dimenticano e

questo è anche uno dei motivi per il quale i pashtun non dicono grazie: conservano dentro di sé il bel gesto e

alla prossima occasione non esiteranno a ricambiarlo(il semplice grazie appare riduttivo). Per riconquistare la

fiducia del padre, Malala decide di far come questi fece con suo nonno: iscriversi e vincere una gara di

oratoria. Purtroppo arrivò seconda, dopo la sua migliore amica Moniba, ma fu felice lo stesso perchè suo

padre era fiera di lei e perché era anche cosciente del fatto che bisognava saper perdere con grazia. Da quel

momento in poi, volle scrivere i suoi testi da sola(mentre prima la tradizione prevedeva che dovevano essere

scritti dal padre o da un parente) in modo da calarsi completamente nei suoi discorsi e trasmettere col cuore

quanto più di bello avrebbe messo per iscritto.

I BAMBINI DELLA DISCARICA

Malala si dimostra preoccupata dopo aver scoperto che in mezzo all’immondizia nei pressi di casa sua si

aggiravano dei bambini sporchi e poveri che cercavano di recuperare qualcosa da rivender per guadagnare

soldi. Subito lo riferì al padre perché voleva che li recuperasse per farli andare a scuola gratis ma le disse che

lo facevano per sopravvivere e per dar qualcosa ai loro genitori, privarli di ciò avrebbe significato farli

morire di fame. A Malala non bastava né tanto meno poteva sollecitare un intervento politico, troppo presi

dai bombardamenti in Afghanistan, per questo decise di scrivere una lettera a Dio, pregandolo di accorgersi

di loro, e la gettò nelle acque del fiume Swat, nella speranza che un giorno tutto questo potesse davvero

cambiare.

IL MUFTI CHE VOLEVA CHIUDERE LA NOSTRA SCUOLA

Si racconta di quando un mufti, ovvero uno studioso dell’islam e della legge islamica, si era ostinato a far

chiudere la scuola del padre di Malala perché per lui era immorale far frequentare la stessa madrasa a maschi

e femmine. La donna doveva stare a casa. Per fortuna suo padre non si è mai arreso.

L’AUTUNNO DEL TERREMOTO

Malala racconta di un tragico terremoto nel 2005 di notevoli dimensioni in cui persero la vita tantissime

persone, in cui vennero distrutti migliaia di villaggi, scuole, edifici e molta della gente sopravvissuta era

senza casa, ridotta sul lastrico e molti bambini rimasero orfani. Il padre di Malala cercò di avviare delle

donazioni e anche lei, nel suo piccolo, cercava di raccogliere soldi o qualsiasi tipo di sostegno anche

materiale che avrebbe potuto aiutare quelle povere persone distrutte dal dolore.

SECONDA PARTE. *LA VALLE DELLA MORTE*

RADIO MULLAH

Malala aveva dieci anni quando i talebani arrivarono nella sua valle. A capo del gruppo vi stava Fazlullah, il

quale usava la sua radio per spingere la gente ad adottare abitudini di vita più sane e ad abbandonare quelle

che riteneva dannose(come ad esempio: le donne dovevano portare il burqa e non il velo,doveva essere

portata la barba lunga per gli uomini, non si dovevano vaccinare i bambini contro la poliomielite perché era

vista come un complotto degli americani per rendere sterile la popolazione musulmana, si doveva smettere di

ascoltare la musica o guardare la televisione, facendo leva sul fatto che a Dio non piacevano queste cose e

anche il terremoto stesso doveva essere interpretato come un suo segno di ribellione a tutto ciò). Una voce

persuasiva la sua, a volte suadente altre sembrava spaventosa e piena di fuoco. La gente ubbidiva ed iniziava

a liberarsi di tutto quello che era stato ritenuto “proibito”. Fu un problema anche per le ragazze che andavano

a scuola:per il capo significava venire meno alle proprie responsabilità di donna. Il padre di Malala osservava

deluso mentre la maggior parte delle persone obbediva senza battere ciglio e senza rendersi conto che quelle

erano solo parole usate dai talebani per il loro tipo di moralità.

CARAMELLE, PALLE DA TENNIS E I BUDDHA DELLO SWAT

I talebani distrussero tutte le statue buddhiste, monumenti che erano stati lì per anni solo perche ritenevano

che sculture e dipinti andassero contro i loro valori; avevano proibito alcuni giochi da tavolo; si erano

impadroniti di parecchi villaggi, nessuno però aveva il coraggio di ribellarsi. Dal momento in cui

attaccarono, uccidendoli, tredici soldati in marcia verso la Swat, allora il generale Musharraf atterrò qui,

arrivarono elicotteri e i soldati buttarono ai bambini caramelle e palline da tennis ; erano tremila pronti ad

affrontare i talebani. Iniziarono forti combattimenti che prevedevano la cattura di Fazlullah, il quale durane

una gigantesca tempesta di sabbia scomparve improvvisamente.

LA CLASSE DELLE INTELLIGENTONE

Era cosi che veniva chiamata la classe di Malala. Erano solite dipingersi, durante una festa o un matrimonio,

le mani con l’hennè ci calcoli algebrici e formule chimiche anzicchè di fiori e farfalle. Nonostante l’azione

militare del 2007 i talebani continuavano a inondare il paese con i loro messaggi radiofonici e la situazione

non fece che peggiorare con continui attentati suicidi e uccisioni, colpirono anche le scuole, iniziarono ad

esserci esplosioni ogni giorno. Malala dice che a causa dei talebani tutto il mondo va dicendo che sono

terroristi ma non è vero, il suo popolo ama la pace e ama la sua terra.

LA PIAZZA INSAGUINATA

I talebani scaricavano i corpi in mezzo alla piazza affinchè tutti potessero vederli il giorno dopo andando a

lavoro, con biglietti di minaccia. Malala era preoccupata per suo padre.

IL DIARIO DI GUL MAKAI

Un giorno un amico del padre Hai kar, corrispondente radiofonico lo chiamò perché voleva che scrivesse un

diario, da pubblicare sul sito web della BBC, raccontando quello che si prova a stare sotto i talebani e cosa

succede realmente. Malala si propose di farlo al posto suo. Si sentiva completamente immersa e voleva

rivelare a tutti quanto fosse forte il suo desiderio di andare a scuola e quanto il fatto che i talebani lo

proibivano così tanto fosse la prova che l’istruzione è un dono prezioso. Hai kakar le consigliò di usare uno

pseudonimo Gul Makai perché lasciare il suo vero nome sarebbe stato troppo pericoloso, sarebbe stata

rintracciata e poi uccisa. La sua prima pagina fu pubblicata il 3 gennaio del 2009. Si chiamava Ho paura e

parlava di un sogno terribile di Malala, pieno di elicotteri e di talebani, aveva paura di andare a scuola ed era

costretta a guardarsi continuamente le spalle. Raccontava però anche di quanto tutto ciò non avesse scalfito il

suo desiderio di andare a scuola, diventata ormai il centro della sua vita. Piano piano la ragazzina iniziò ad

essere famosa ed i suoi compagni, non sapendo che fosse lei, ne parlavano continuamente. Anche alcuni

giornali ne pubblicarono degli stralci. Un giorno la scuola di Malala chiuse e

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
8 pagine
8 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Franci0703 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Formazione e progettualità nei sistemi educativi per l'integrazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Camerucci Maura.