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PARTE SECONDA

IL PREZZO DEL LINGUAGGIO

CAPITOLO QUARTO

GLI OTTO PECCATI CAPITALI DELLA CIVILTA’ PIU’ UNO

La tesi di Lorenz, descritta ne ‘’Gli otto peccati capitali della nostra civiltà’’, spiega che a determinare le scelte dell’uomo è la

natura etologica dei conflitti e dei comportamenti all’interno del sistema ecologico in cui si vive. La fisiologia degli organismi viventi è

una semplice funzione di autoregolazione dei meccanismi omeostatici che definiscono i rapporti fra tutti gli attori della scena

ecologica.

I meccanismi di feedback retroagiscono negativamente sull’intero sistema quando qualche nodo della rete mostra segni di

alterazione rideterminando l’assetto complessivo, permettendo la stabilizzazione permanente dell’equilibrio ecologico. Questo stato

di continua modificazione e riassetto dei sistemi ecologici sembra sposarsi con il darwinismo: un percorso di trasformazione regolata

dalla selezione naturale, ma Lorenz individua in questa ricostruzione una smagliatura che chiama circuito a retroazione positiva. Si

tratta di casi rari in natura, ma che quando si manifestano nulla può restare invariato. Lorenz vuole dimostrare che il caso umano è

uno dei rarissimi casi naturali di retroazione positiva. Proprio gli otto peccati capitali della nostra civiltà: sovrappopolazione,

devastazione dello spazio, competizione tra gli uomini, estinzione dei sentimenti, deterioramento del patrimonio genetico,

demolizione della tradizione, indottrinamento delle masse e sviluppo degli arsenali atomici.

Già nel 1837, Darwin sostituisce il modello ‘’ad albero’’ dell’evoluzione, con quello ‘’a corallo’’, per sottolineare l’irregolarità dello

sviluppo e l’inesorabilità dell’estinzione. Variazione, speciazione, biodiversità sarebbero impossibili senza il ruolo fondamentale

dell’estinzione che determina il disegno imprevedibile dei rami del corallo: Darwin individua un rapporto tra complessità e fragilità

delle specie. Eldredge ipotizza che l’intervento umano possa rivelarsi catastrofico per l’intero equilibrio del pianeta, con la

microestinzione che si trasforma in macroestinzione.

L’ipotesi avanzata nel Prezzo del Linguaggio è che l’estinzione umana avverrà per colpa del linguaggio, il tratto più specifico e

ineliminabile della cognitività umana. Qualsiasi rimedio per risolvere questo problema non fa altro che accelerare i processi

autodistruttivi. La minaccia alla specie umana è l’effetto delle nostre virtù e migliori meriti: cultura, scienza, arte, religioni, opinioni e

credenze. A determinare quindi la retroazione positiva avanzata da Lorenz sarebbe proprio il linguaggio.

1. C’è progresso nell’evoluzione?

Solitamente ci riferiamo all’evoluzione come un percorso che conduce dal semplice al complesso, ma nel corso dell’evoluzione si

è invece spesso andati verso forme più semplice e non complesse. Il progresso, quindi, non dirige il processo evolutivo.

L’exaptation descrive un processo adattativo che riguarda la struttura di una forma, ma dal punto di vista della funzione non è

prevista alcuna prospettiva adattazionista.

Tra gli esempi più celebri di exaptation vi sono le piume degli uccelli, adatte al volo, ma trovate anche nel corredo morfologico di

piccoli fossili di dinosauri non adatti al volo. Volare non è una spiegazione adattativa compatibile con l’evoluzione dalle piume alle ali.

Vi sono anche fatti biologici definibili come non­aptations che costituiscono il serbatoio e la riserve della flessibilità evolutiva.

Questa riserva di casualità induce trasformazioni corporee e rivoluzioni culturali. Sembra quindi che il sorgere di esattamenti

funzionali costituisca una parte di suprema importanza nell’evoluzione.

2. Dall’etologia cognitiva ai qualia etologici

L’idea che la naturalizzazione degli studi sull’intelligenza e sul linguaggio debba configurarsi come una ricerca dei loro

predecessori evolutivi comincia ad emergere, e si insiste nel ricostruire quanto sia articolata la core knowledge, che accomuna le

diverse specie di cognizione animale. Non si tratta solo di domandarsi se gli animali non umani sappiano riconoscere i conspecifici,

contare e pensare indipendentemente dal contesto, ma anche se siano in grado di provare sentimenti morali, emozioni, valori e

credenze.

L’etologia cognitiva ha mostrato residui antropocentrici nonostante le intenzioni degli autori. A questo genere di studi appartiene

la prima fase della zoosemiotica, dove si ricondiziona il comportamento comunicativo dei primati sulla falsariga del linguaggio umano

e l’osservazione diretta del comportamento animale. Si è cercato d’interpretarlo analogamente a ciò che gli umani considerano

comportamento affettuoso, egoistico, altruistico o solidale con i propri conspecifici. Non si può fare a meno di notare come i target

emotivi o simbolici adottati sono basati su costrutti ideologici puramente umani.

Secondo Hauser dovremmo riferirci al modo in cui la mente animale è stata progettata, per risolvere problemi specifici ecologici e

sociali.

Naturalizzare le capacità cognitive vuol dire contestualizzare le facoltà in relazione a ciò che l’animale può fare e non dal punto di

vista della sua costituzione genetica e ecologica e ciò che realmente fa o non fa nella sua vita sociale. Le prestazioni animali sono

sempre relative al suo universo etologico definito da proprietà specie­specifiche e dal contesto ecologico. E’ necessario quindi

riferirsi ai cosiddetti ‘’qualia etologici’’, l’insieme di facoltà che in virtù dell'unione tra costituzione genetica, configurazione ecologico­

culturale e struttura sociale rendono una specie qualitativamente speciale.

Il linguaggio umano non ha nulla di speciale se non il che agisce all’interno di una forma etologica e sociale contraddistinta da

una dimensione relativa del cervello molto elevata, da una dimensione e forma specifica del cranio, della presenza dell’osso ioide e

del tratto vocale sopralaringeo ecc. Le funzioni instanziate su questo insieme di strutture hanno generato prodotti culturali ‘’naturali’’,

come l’agricoltura o la divisione del lavoro, articolati sistemi di comunicazione, trasmissione e conservazione dei saperi, pulizie

etniche, comportamenti aggressivi non ritualizzati con conseguente attività belliche.

L’idea che ogni singola funzione di una singola specie possa essere comparata direttamente con l’omologa di un’altra specie è

errata perché distrugge ogni ponte tra l’uomo e altri animale. Tutto questo non ha nulla a che vedere con il problema scientifico della

comparabilità dei sistemi cognitivi. Il cane può presentare comportamenti simili a ciò che chiamiamo sentimenti, empatia e amicizia

ma è l’effetto di una convivenza plurimillenaria di specie cooperative. Ma stiamo pur sempre parlando di attribuzioni di proprietà

definite entro un sistema umano.

Bisogna quindi rinunciare al gettare un ponte inter species?

La risposta è negativa. Comprendere le caratteristiche cognitive delle specie non può nascere da una prospettiva

antropocentrica come da una comparazione di sistemi etologici completamente diversi geneticamente ed ecologicamente.

3. Il metro ecologico della cognizione

Abbandonare l’antropocentrismo per naturalizzare le scienze cognitive significa rinunciare a reintrodurre i valori filosofici e

psicologici nell’apparato concettuale di una nuova filosofia biologica della cognizione.

La prospettiva evolutivo­ecologica ignora se una caratteristica cognitivo­funzionale deriva da una determinata specie, valutando

se questa sia servita a mantenere la specie più o meno a lungo in vita. La ricostruzione del potenziale ecologico di una specie non

può essere immaginata senza ricostruire i parametri genetici e ambientali. Il limite di questa prospettiva è che funziona solo post­hoc.

Il successo evolutivo è giudicabile solo quando la specie non esiste più. Se ci focalizziamo sul caso umano, ci troviamo di fronte ad

una situazione paradossale, in quanto se arrivasse all’estinzione, nessuno potrebbe più sapere e raccontare come finisce la storia.

L’iperspecializzazione cognitiva condanna all’isolamento l’uomo. Da un punto di vista naturalistico è un semplice impoverimento

della biodiversità mentre, dal punto di vista delle funzioni cognitive si tornerebbe indietro in un tempo che sul piano cronologico non è

poi così lungo. L’individuo umano è l’unico soggetto animale che sa di dover morire ed è consapevole dell’estinzione, ed è proprio

per questo che si è sempre chiesto perché vive e ha sempre cercato di ritardare la fine della propria specie. Questa consapevolezze

è stata teorizzata in un ramo della biologia della conservazione e si chiama Teoria delle estinzioni.

4. L’estinzione consapevole

Questa consapevolezza costituisce il miglior antidoto contro il catastrofismo. La regola delle estinzioni non conosce eccezioni e

la dinamica delle speciazioni (l’opposto dell’estinzione, dove una specie si genera e si sviluppa da una speciazione precedente) non

ha mai conosciuto soste. Si dice estinzione, quindi, la scomparsa di una determinata specie di essere viventi.

I biologi della conservazione distinguono tre tipologie di estinzione:

a) Estinzioni di massa dove scompare la maggior parte dell’ecosistema (dal 70 al 95%)

b) Le piccole estinzioni (dal 20 al 30%)

c) Microestinzione, scomparsa di una o più specie in un tempo dato

Molti studi hanno dimostrato come per ogni estinzione importante (A o B) segue sempre un’imponente ripresa della speciazione

e un ampliamento delle biodiversità. Ad esempio la grande estinzione del tardo Permiano segnò il punto più basso della scomparsa

della vita sulla Terra ma anche l’inizio del recupero più grande di biodiversità: da 500 generi ai 5000 di oggi.

Dalle ricerche di Erwin emerge un quadro diversificato che si sviluppa intorno a due variabili principali: l’estensione della

distruzione ecologica causata dall’estinzione e la durata dell’intervallo di sopravvivenza. Maggiore è il danno, più lunghi saranno gli

intervallo di recupero. Il secondo parametro, invece, fissa la durata della vita dei superstiti.

Non c’è catastrofe che non abbia lasciato dei superstiti. Dagli eventi tragici del passaggio da Terziario a Cretaceo, che causò

l’estinzione dei dinosauri, furono risparmiati alcuni piccoli roditori derivati da un ramo collaterale dei rettili. Qualcuno di questi dovette

diventare il capostipite degli attuali mammiferi e dunque dell’intera famiglia dei prim

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
30 pagine
4 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/05 Filosofia e teoria dei linguaggi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MFallout di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del linguaggio e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Pennisi Antonino.