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COMUNICAZIONE DEI NON UMANI SAREBBE UNA COMUNICAZIONE SEMIOTICA (BASATA SUI SEGNI) MA NON
VERBALE. IL LINGUAGGIO È GARANTE, ASSICURANTE DELLA REALIZZAZIONE E DELLA DIVERSIFICAZIONE DELLE
MANIFESTAZIONI CULTURALI.
È evidente che la negazione del ruolo del linguaggio all’interno della cognitività umana presenta delle cause epistemologiche precise: cause che
condizionano gli scopi dell’indagine etologica cognitiva,per esempio gli articoli di etologia che sostengono che i primati non umani presentano
abilità cognitive comparabili con quelle umane. La psicologia è tornata a studiare la mente, cosicchè la psiche degli animali non umani è tornata ad
essere un problema.
Si apre un dibattito sulla possibilità di rintracciare comportamenti analoghi tra animale e uomo: o si attribuiscono capacità simili a tutte le specie
animali, o si eliminano dall’argomentazione gli elementi di discontinuità. La prima soluzione, adottata da Donald Griffin, con la sua rassegna
“Animal Minds” (menti animali) dimostra la presenza del pensiero cosciente in tutti gli animali non umani impiegando degli esempi: in questo modo
realizza una sorta di proiezione di tutte le abilità considerate tipicamente umane sugli animali non umani. Il linguaggio però viene escluso da
questa percezione. Per seguire ciò Griffin perde di vista la distinzione tra comportamenti stenotopici, gestiti geneticamente, ed euritopici, appresi
ambientalmente, determinanti per comprendere la componente intensionale del comportamento.
COMPORTAMENTI STENOTOPICI Comportamenti psichici anomali indotti dalla programmazione genetica (ad esempio diverse specie umane
possono reagire a fatti di stress cronico con comportamenti abulici) o i cambiamenti dell’umore nell’atteggiamento nei confronti degli altRI
COMPORTAMENTI EURITOPICi Alla scarsa determinatezza della loro macchina biologica corrisponde la massima efficienza della loro
macchina sociale e dell’adattabilità individuale. La specie umana è la più euritopica del regno animale.
Più ci allontaniamo dal comportamento stenotopico,più ci avviciniamo alla dimensione umana.
UN ESEMPIO ECLATANTE È QUELLO CHE GRIFFIN DESCRIVE COME INGANNO CONSAPEVOLE DEL PIVIERE (UN
UCCELLO CON BECCO PICCOLO E OCCHI GRANDI): QUESTO È UN COMPORTAMENTO MESSO IN ATTO DA QUESTI TIPI DI
UCCELLI CHE NIDIFICANO SUL TERRENO REALIZZANDO QUELLA CHE GRIFFIN CHIAMA <<COMUNICAZIONE
INGANNEVOLE>>, ESSI FINGEREBBERO DI AVERE UN’ALA SPEZZATA TRASCINANDOLA NEL TERRENO ATTRAENDO
E IN QUESTO MODO DISTRAENDO IL PREDATORE DALLE LORO UOVA. FACENDO UN’ANALISI PIÙ ATTENTA, LA
FINZIONE DELL’ALA SPEZZATA SEMBRA ESSERE CONTROLLATA GENETICAMENTE. SE VARIANO LE CONDIZIONI
AMBIENTALI (PER ESEMPIO IL PREDATORE NON CADE NELLA TRAPPOLA E MANGIA LE UOVA) IL PIVIERE
CONTINUA LA SUA ESECUZIONE STEREOTIPATA, MOSTRANDO COME QUEL COMPORTAMENTO SIA SCATENATO DA
CUES (SEGNALI) AMBIENTALI E DUNQUE NON POSSA ESSERE CONSIDERATO UN INGANNO CONSAPEVOLE,
COSCIENTE. L’INGANNO SEMBRA PRESUPPORRE, INFATTI, CAPACITÀ MOLTO ALTE, COME QUELLE DI
RAPPRESENTARSI CIÒ CHE L’ALTRO SA DI UNA DETERMINATA SITUAZIONE, E QUELLA DI PIANIFICARE UN’AZIONE
MOLTO ARTICOLATA.
Studi di altri etologi, adottano la strategia opposta a Griffin: si cerca di ricondurre la cognitività umana al livello di comparazione con quella animale.
Un esempio è sulla presenza della teoria della mente degli scimpanzè: essi sarebbero in grado di comprendere le espressioni facciali e i movimenti, alcuni
rapporti sociali e relazioni di dominanza nel gruppo e comportarsi di conseguenza. Uno scimpanzè gregario (che sta in branco) può non guardare nella
direzione del cibo che può vedere solo lui, impedendo al maschio alfa (che ha il ruolo più alto nel branco) di dirigersi verso la fonte di nutrizione. Si
tratterebbe di capacità definite lontani precursori della teoria della mente umana, tanto da spingere Povinelli, uno degli esponenti principali del dibattito,
a sostenere se gli scimpanzè hanno una teoria della mente.
IL DIBATTITO SULLA SEMPLIFICAZIONE DEI PROCESSI COGNITIVI COMPLESSI È ANCORA IN CORSO, E RISULTA CHIARO
CHE LA TENDENZA A QUESTA SEMPLIFICAZIONE E ALLA CANCELLAZIONE DEL LINGUAGGIO DALLA SCENA
EVOLUTIVA, COMPORTA UNA DESCRIZIONE PARZIALE DELLA COGNITIVITÀ UMANA, E INAPPROPRIATA DELLA
COGNITIVITÀ ANIMALE.
Il caso della cultura è ancora più eclatante: nella definizione di cultura il linguaggio gioca il ruolo centrale, è il garante della trasmissione culturale ed è
necessario per produrre cultura. In questo modo sia gli animali non umani sia gli infanti (bambini molto piccoli) non dotati di linguaggio, non avrebbero
cultura. Escludiamo però gli infanti, che sarebbero solo in condizione di “attesa” nel venire immersi nel sistema culturale
Molte argomentazioni per dimostrare cultura negli animali non umani cercano di comprendere in che modo il linguaggio sia determinante per la
produzione di cultura, arrivando alla conclusione secondo cui, il linguaggio serve per trasmettere cultura, non per produrla!
Il linguaggio è semplicemente il mezzo con cui trasmettiamo i comportamenti e le regole culturali. Esso non è la cultura e non determina la cultura in
quanto tale […]
In queste poche righe si arriva alla conclusione paradossale secondo cui l’uomo impiegherebbe il linguaggio per trasmettere cultura, prodotta tramite
<<l’immaginazione>> e si arriva a sostenere che dobbiamo adottare <<concretezza>> per comprendere la cultura animale. La preoccupazione degli
etologi di fornire una definizione di cultura plausibile è stata esclusa da una certa antropologia culturale del primo Novecento anche se il dibattito è
ancora aperto alle innovazioni introdotte dalle scienze cognitive.
3.2 La mente linguistica è una mente culturale
L’antropologia culturale nasce e si sviluppa attorno a un accezzione univoca dalla nozione di cultura. L’antropologia culturale del secolo scorso ha
promosso e sviluppato la cultura come oggetto di studio scientifico, ed è anche il ramo dell’antropologia che studia le differenze culturali tra gruppi
umani.
• Franz Boas dice che la specie e la cultura umane sono uniche e irriducibili, poichè acquistate mediante tradizione;
• Alfred Knober ipotizzava l’essenzialismo linguistico <<l’uomo è un animale essenzialmente unico in quanto possiede la facoltà di linguaggio,
e la facoltà di creare simboli, astrazioni o generalizzazioni>>
• George P. Murdock e Leslie A. White estremizzano la centralità del potere simbolico e affermano che <<i sordomuti che crescono senza l’uso
dei simboli non sono esseri umani>>.
• L’antropologia culturale si configura come <<la scienza del giorno dopo>> quella cioè che scopre sempre in ritardo quanto si produce nelle
ricerche. Lorenz chiamò <<determinismo biologico>>, cioè dalle scienze della genetica e della genetica delle popolazioni, l’avvicinamento
all’Homo Sapiens e quindi alla totale inammissibilità di qualunque accezzione del concetto di <<razza>>. Come vedremo, l’uomo è l’unico
animale che non ritualizza i comportamenti aggressivi e giunge all’omicidio, oltrepassando la simbologia della fuga, tipica della
ritualizzazione animale dell’aggressività: […] l’uomo combatte per distruggere[…] la specie umana è l’unica che pratica l’omicidio di massa.
Con l’evoluzione culturale, le potenzialità selettive delle pseudospecie aumentano a dismisura, conservazione e innovazione diventano le linee di confine
che tracciano le distanze tra le diverse tradizioni pseudospecifiche.
Rispetto a quello della speciazione biologica, il timing evolutivo delle pseudospeciazioni è di molto più breve. La rapidità e la continuità delle
pseudospeciazioni culturali spiegano la cosidetta <<etologia della guerra>>. Ciò che è importante dire, è che la guerra distruttiva è il risultato
dell’evoluzione culturale. Nella fattispecie, ciò che rende anacronistico il punto di vista antropologicoculturale è l’estremizzazione di contrapposizioni
malfondate ( es: natura vs cultura. . . ).Allo stesso modo, l’interpretazione sbagliata di queste antinomie, non comporta la loro condanna. Mettere in
discussione tutto questo vorrebbe dire cambiare il significato delle dottrine naturalistiche che si vogliono difendere.La capacità di trasmettere le
conoscenze il “social learning“ e tanti altri fenomeni, sono diventati il contesto della teoria standard, compresa quella zoologica, biologica, ecc…
Naturalmente, nel corso degli anni, le ricerche in questi campi, hanno portato a numerosi dibattiti,dai quali è stato possibile ricongiungere biologia e
cultura. In merito a questo, è da ammirare il coraggio nelle scelte di “Levi Strauss“, che lanciò una sfida alle componenti più conservatrici, anche a costo
di attirarsi numerose critiche. Sul tabù delle <<razze>> umane, tra “razza“ e “cultura“ riflette sul fatto che proprio dalle strutture di parentela (uno dei
suoi principali interessi) dipendono gli intrecci genetici che rideterminano i caratteri culturali delle comunità. Per questa via “Levi Strauss“ ammette
che: all’origine dell’umanità l’evoluzione biologica ha forse selezionato tratti particolari quali la stazione eretta, l’ abilità manuale, la tendenza alla vita
associata, il pensiero simbolico, l’ attitudine a vocalizzare e a comunicare; ed è la cultura che poi consolida questi tratti e li propaga; quando le culture si
specializzano, consolidano e favoriscono altri tratti, come la resistenza al freddo o al calore nel caso di società che per scelta o costrizione hanno dovuto
adattarsi a climi estremi; o come le tendenze aggressive, l’ingegno tecnico, ecc.. Nessuno di questi tratti guardati a livello culturale, pu ò essere ricondotto
ad una base genetica, ma non si può escludere che lo siano in maniera parziale o per effetto di lontani legami intermedi. Se così è, sarebbe giusto affermare
che ogni cultura seleziona attitudini genetiche che, influiscono sulla cultura che aveva inizialmente collaborato al loro rafforzamento.
Qui “Levi Strauss“ , sembra anticipare alcune scoperte della genetica trasformazionale, che ha riaccostato i rapporti di causa ed effetto tra: geni
organismi ambiente
Non è l’ambiente a condizionare la specie, ma le specie a condizionare l’ambiente, perché:
Sono gli organismi a selezionare e decidere ciò che fa parte dell’ambiente.
Sono gli organismi a costruire e fabbricare l’ambiente, costruendo nidi, tane,