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CAPITOLO QUINTO- UNA LENTE ZOOLOGIA SUL GENERE HOMO.
L’Homo sapiens è l’ultima e unica specie del genere Homo sopravvissuta nella storia evolutiva dei
primati, l’ordine dei mammiferi che conta circa 400 specie viventi raggruppati in 15 famiglie. I
parenti zoologici più vicini all’uomo sono gli scimpanzé che costituiscono il genere PAN , articolato
in due specie: i bonobo e gli scimpanzé comuni. Il genere Homo e il genere Pan costituisce la tribù
degli HOMININI caratterizzati dalla condivisione del -98% di tratti genomatici e da somiglianze
comportamentali che emergono nell’interazione tra i conspecifici e nelle pratiche sociali. dal punto
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di vista tassonomico attuale la specie umana appartiene alla super famiglia degli Hominidae
composta da quattro generi e sette specie. Gli aspetti biologici che più colpiscono nella
configurazione tassonomica degli ominidi attuali sono due: il piccolo numero di specie attualmente
viventi e la rapidità di estinzione delle forme ancestrali: entrambe le tendenze raggiungono il picco
più alto nel genere Homo, quello che ci riguarda da più vicino. Di fatto l’Homo sapiens costituisce il
capolinea di una storia evolutiva molto tormentata. L’insieme di eventi che hanno portato all’origine
e allo sviluppo dei sapiens non sono né biologicamente ripetibili né culturalmente
ripercorribili( regola di dollo). Roditori, chirotteri e piccoli primati, coprono da soli il 75% di tutte le
specie esistenti dei mammiferi. La fisionomia tassonomica e la distribuzione e ilo numero di specie
sono condizionati dalla dimensione e dalla complessità morfologica della specie. Dal punto di vista
zoologico attuale la maggior parte del mondo animale è costituita da moltissime specie
morfologicamente semplici su cui si regge l’edificio di poche specie di grossa taglia e di maggiore
complessità genetica, morfologica e culturale. Se una specie di grande mammifero è l’ultimo anello
lo è quasi sempre perché sono emersi limiti invalicabili alle sue potenzialità migratorie. L’uomo è
l’ultimo anello dalle infinite capacità espansive. Da un punto di vista evolutivo la più antica
documentazione dei primati è costituita dal dente di un piccolo animale del Cretacico superiore: il
Purgatorius , una specie estinta appartenente all’ordine dei plesiadapiformi, morfologicamente
intermedi tra i roditori e le scimmie arboricole. Se questa ipotesi fosse esatta, i primi primati
potrebbero essere uno degli ordini più longevi dei mammiferi e risalirebbero a 65-70 milioni di anni
fa. La cladistica è una tecnica neutrale che sulla base di criteri di volta in volta variabili fornisce
alberi che illustrano solo le ipotetiche relazioni di parentela tra gli oggetti studiati. L’argomento
centrale della disputa è un punto di partenza indispensabile per la ricostruzione dei problemi
estinzionali che qui ci interessano. Si tratta di capire se la filogenesi umana possa essere spiegata
più efficacemente attraverso uno schema filetico-anagenetico oppure tramite un modello di tipo
puntuazionista-cladogenetico. Se sia più realistica l’ipotesi secondo cui l’origine e lo sviluppo della
linea evolutiva umana consistono nella trasformazione graduale e continua di un’unica specie o
quella secondo cui per arrivare all’attuale sapiens si sono succedute più specie diverse, detta
anche ipotesi del cespuglio. Questa prospettiva è stata rivista dalla teoria degli equilibri punteggiati
di Gould e Eldredge secondo cui i mutamenti evolutivi non avvengono mai nell’intero tessuto di
una specie ma si polarizzano su una parte specifica e limitata di individui a essa appartenenti.
Quindi nuclei modificati possono propagarsi più facilmente in situazioni di isolamento riproduttivo
nel quale si trovano a operare. Nell’ipotesi degli equilibri punteggiati la speciazione diventa reale:
le specie sono realtà biologiche effettivamente diverse. Il continuismo ha ammesso che
l’evoluzione graduale può procedere comunque a velocità discontinue e il puntuazionismo ha
ribadito più volte la possibilità che forze e leggi costanti- tra tutte la selezione naturale e
l’exaptation- operino invariabilmente nel corso di tutti i processi evolutivi. È ovvio tuttavia che il
dettaglio dell’analisi scientifica tende sempre a riunificare, la forza delle ideologie torna sempre a
divaricare. È questo il caso dell’origine dell’uomo. La prospettiva filetico-gradualistica non spiega la
nascita delle nuove specie ma ci rivela la forza delle grandi tendenze naturali macroevolutive. Il
puntuazionismo laicizza definitivamente l’idea speciativa, la libera da ogni sovrastante tentativo di
predizione metafisica, ma rischia di ridurre la storia evolutiva a cronaca. Quando si parla
dell’origine e dell’evoluzione umana, l’applicazione meccanica di queste prospettive può portare a
evidenti contraddizioni. Nel caso dell’ipotesi filetico-anagenetica, consistono nel negazionismo
speciativo: nessuno può oggi negare che la specie umana si sia originata nel melting pot degli
Hominoidea e che il problema tecnico consiste nel capire solo quanto sia intricato di rami il
cespuglio dal quale si è profilata la nuova realtà zoologica dell’Homo sapiens. Nel caso della
prospettiva puntuazionista si corre il rischio di reintrodurre anche nelle scienze naturali l’errore
principali di una buona parte delle scienze umane e sociali: la separazione fra natura e cultura, fra
struttura e funzione, concepite come sostanze diverse. Nel contesto di quella che resta certamente
la più affascinante e realistica teoria esplicativa della filogenesi umana, si annida una seconda
contraddizione: si tratta dell’indimostrabile convinzione secondo cui l’uomo, dopo una travagliata
storia di speciazione, sembra essersi finalmente stabilizzato. I paleontologi hanno individuato a
tutt’oggi circa 27 specie diverse di ominidi distribuite in almeno tre gruppi:
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a) Le forme intermedie tra le scimmie africane e le australopitecine
b) Le australopitecine, sia nelle forme gracili che in quelle robuste
c) Le forme di Homo propriamente detto.
L’idea di una crescita progressiva e simmetrica delle morfologie, delle tecnologie, delle abitudini
alimentari e quindi delle variazioni metaboliche è sembrata sempre più come una ver chimera,
un’idealizzazione di tendenze macroevolutive lineari abnormi. L’idea di una comparazione separata
per ogni singolo elemento di valutazione dello sviluppo di una specie è sempre più apparsa
un’astrazione teorica insostenibile. La storia del genere umano è una storia più di morte che di vita.
Il risvolto della centralità dei processi speciativi è la conseguente centralità dei processi estinzionali
più la speciazione corre verso la conformazione attuale più i singoli rami si accorciano. Se le forme
antiche, come l’erectus e l’habilis, arrivano o superano il milione di anni di vita, le forme più
moderne bruciano la loro esistenza in un arco di tempo che va dai 600.000 ai 700.000 anni. Il
genere Homo quindi sembra aver bruciato più velocemente il suo capitale speciativo . secondo
Gould la situazione attuale del nostro clade con un’unica specie è l’eccezione, non la regola. Infatti
la maggior parte della storia degli ominidi fu caratterizzata dalla molteplicità e non dall’unicità. Le
specie giunte all’ultimo anello potrebbero essere a un passo dall’estinzione. Questa ipotesi è
invece esclusa da Gould, anche in via puramente ipotetica: contrariamente all’ipotesi classica
dell’isolamento riproduttivo dovuto a barriere geo-ecologiche e quindi all’impossibilità di migrare,
l’uomo ha fatto la sua gabbia in cui può comodamente riprodursi senza mai speciare. Se per
stabilizzazione si intende il raggiungimento della menopausa di una specie, allora abbiamo risolto il
mistero della fiducia di Goulf nell’avvenire dell’homo sapiens. Come può sopravvivere una specie
che non può cambiare natura e generare altre specie? Può sopravvivere male, malissimo, sempre
peggio. Il processo riproduttivo dell’ultimo anello ha qualcosa di perverso e oscuro. Tecnicamente
l’impossibilità di speciare, dipende dall’impossibilità di sperimentare incroci con individui che sono
rimasti tanto a lungo isolati da generare cambiamenti genetici nel loro Dna.
CAPITOLO SESTO-L’EVOLUZIONE CULTURALE DELL’EVOLUZIONE NATURALE
Il 28 settembre 2009 si contano alle ore 7.00 6.909 lingue viventi al mondo con un numero di
parlanti pari a 6.489.500.500 suddiviso in una settantina di famiglie: dalla lingua più diffusa che è il
cinese al malgascio, inglese, italiano. Nel caso della ricostruzione comparativa delle lingue gli studi
di Cavalli-Sforza hanno contribuito in maniera decisiva a chiarire le linee parentali delle lingue e la
sostanziale unità bio-linguistica del genere umano. Il teorema Cavalli-Sforza secondo cui geni e
lingue avrebbero una stessa storia, il diversificarsi dei tratti antropo-genetici e il parallelo verificarsi
dei tratti linguistici apparirebbero come elementi di variazione superficiale della forte identità allo
stesso tempo biologica e culturale del sapiens. L’anomalia zoologica dell’animale umano consiste
nel fatto che espandendosi rapidamente dappertutto non ha mai più trovato un luogo isolato per
potersi geneticamente diversificare. L’espansione demografica è frutto dell’adattabilità della specie;
tuttavia l’assoluta mancanza di controllo del fenomeno ha forti risvolti geneticamente deterministici.
Più l’espansione demografica diventa incontrollabile, più la specie si stabilizza neutralizzando
qualsiasi spinta derivante da mutuazioni casuali che hanno scarsissime possibilità di replicarsi in
una popolazione sempre più numerosa ed in continuo contatto nello spazio e nel tempo. La
condizione umana è quindi significativamente rappresentativa dell’unificazione fra natura e cultura:
incarna l’esistenza di qualsiasi separazione fra l’una e l’altra. Il fatto che l’evoluzione biologica sia
più lenta di quella culturale è una pura illusione ottica, dovuta alla confusione che esiste tra i
termini lingua/e e linguaggio. Non possiamo uscire dal circolo natura- cultura: si può dire che la
cultura sia un meccanismo biologico, in quanto dipende da organi; ma è un meccanismo dotato di
grande flessibilità che ci permette di applicare qualunque idea utile ci venga in mente e sviluppare
soluzioni per i problemi che nascono di volta in volta. Le informazioni naturali si trasmetterebbero
per via genetica mentre quelle