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LA CRISI DELLE TRE SCIENZE KANTIANE
Vico
Mentre Kant portava a compimento il processo avviato da Galileo e da Cartesio, la Logica aveva già subito una radicale
svolta storicistica per opera di Giambattista Vico, il precursore di Hegel, che si era contrapposto esplicitamente al
razionalismo imperante nel suo tempo. Infatti, le riflessioni gnoseologiche vichiane sono nate in esplicita
contrapposizione alla filosofia cartesiana. Diversamente da un Pascal, però, Vico non ha contrapposto alla ragione
cartesiana le ragioni del cuore. Lungi dal rifugiarsi nel variegato campo dell’irrazionale, egli ha parlato in nome di
un’altra ragione, la Ragione storica. Lo ha fatto contestando punto per punto i fondamenti sui quali Cartesio aveva
edificato il suo sistema. Afferma così che la matematica è un’invenzione dell’uomo che deve la sua coerenza e la sua
perfezione alla libertà di scelta che l’uomo ha di porre arbitrariamente certe definizioni; per esempio il punto inesteso, la
retta unidimensionale, il piano, l’uno e così via. Egli afferma però che sia il punto sia l’uno sono definizioni fittizie,
poiché il punto se lo tracci non è più un punto e l’uno se lo moltiplichi diventa molteplice. Inoltre l’uomo ha ritenuto
suo diritto procedere da queste due cose all’infinito, prolungando la linea all’infinito e moltiplicando l’uno per
l’innumerevole. E in questo modo si è costruito un mondo di forme e di numeri che abbracciava tutto dentro di se.
L’uomo quindi definisce soltanto i nomi, e sull’esempio di Dio, crea quasi dal nulla cose come il punto, la linea o la
superficie. La conclusione è che quando all’uomo fu negato di possedere gli elementi delle cose, dalle quali le cose
stesse risultano, l’uomo si costruì gli elementi verbali dai quali sono suscitate le idee. Ma secondo Vico, l’uomo oltre a
fare e a creare le forme matematiche, crea più concretamente tutto quel vasto mondo costituito dai fatti storici, che egli
chiama: “il mondo civile delle nazioni”. Così il mondo naturale che è stato fatto da Dio può essere scienza solo per Dio,
mentre il mondo della storia poiché è stato fatto dagli uomini può essere scienza solo per gli uomini. Con questo la
distanza dalla ragione cartesiana aumenta proponendo una ragione storica. Ma l’opposizione di Vico alla visione
scientifica del mondo passò praticamente inosservata. La sua ragione storica non riuscì ad assumere il ruolo che
intendeva ricoprire nella cultura occidentale. Quello, cioè, di un’alternativa concreta all’intelletto calcolante e
matematizzante. Dopo di lui, però, ci fu chi, ha ripreso sistematicamente e indipendentemente da lui, la ragione storica
di Vico. Si tratta ovviamente di Hegel.
Hegel, il crollo della logica
Nel momento in cui la visione scientifica del mondo espressa da Kant, sulla base della scienza galileiano-newtoniana,
era al culmine del successo, le tre scienze proclamate definitive e immutabili da Kant entrarono in crisi. La prima
scienza ad entrare in crisi fu la logica, ad opera di Hegel, che cambiò sia la metafisica che la gnoseologia rendendole
entrambe storiche. Egli alla logica dell’identità e della non contraddizione contrappose una logica dialettica, sempre in
continuo movimento, nella quale il negativo è intrinseco al positivo e non ne rappresenta l’opposto inconciliabile, ma il
suo dinamico e perpetuarsi complemento; insomma fa passare la filosofia dall’essere al divenire. Il punto di arrivo di
una nozione che dinamicizza la realtà, è che la verità non è soltanto nel risultato, perché quello che Hegel introduce è
una visione sistemica, comprende che le parti esistono solo in funzione del tutto, solo se sono comprese nell’Intero. Per
spiegare ciò si servì dell’immagine dell’albero. Egli affermò infatti che il bocciolo sparisce alla comparsa del fiore, e si
potrebbe dire, che da esso ne viene confutato, allo stesso modo attraverso il frutto il fiore viene dichiarato una falsa
esistenza della pianta. Anche se questi momenti della pianta si sostituiscono a vicenda essendo incompatibili, allo stesso
tempo questi sono momenti della pianta ossia dell’unità, sono costitutivi del tutto organico. Essi si contrastano a
vicenda, ma sono uno necessario all’altro, è questa necessità che costituisce la vita dell’intero. In questa prospettiva, la
verità ha l’elemento della sua esistenza solo nel concetto. Non si tratta però del concetto inteso nel senso tradizionale
del termine, per lui è frutto di mediazione, a cui si arriva con una serie di mediazioni, anche se magari il concetto ci può
sembrare immediato (tipo i passaggi per arrivare al concetto di penna: si è inventata prima la scrittura, poi l’inchiostro,
poi la biro..). Hegel chiarisce questa enunciazione, anche qui, con l’immagine dell’albero e afferma che quando noi
vogliamo vedere una quercia per com’è, non siamo soddisfatti se al suo posto ci viene mostrata una ghianda.
Analogamente la scienza, non è compiuta al suo inizio, si deve sviluppare. In realtà, ogni inizio del conoscere è anche
un risultato di un processo.
Ma allora cos’è la realtà? È lo svolgimento di un’idea che deve capire che essa produce quello che fa nella storia, è un
movimento di presa di coscienza intersoggettiva (perché lui pensa che tutto questo vada condiviso). Qui abbiamo il
definitivo passaggio dall’essere al divenire. Fino a Hegel, il vero era sempre stato considerato come sostanza, Hegel
invece riconsidera il vero come soggetto. Solo se intendiamo il vero come soggetto possiamo concepirlo non come un
risultato statico, ma come processo dinamico che cresce su se stesso. Ossia il vero è il divenire di se stesso, che ha
all’inizio la propria fine come proprio fine. Ciò significa che la verità di ogni evento è costituita dal suo sviluppo
storico, appunto dal crescere su se stesso, Hegel direbbe: “Il vero è l’intero”. La verità dell’intero coincide dunque con
la storia del suo sviluppo e della sua maturazione, non sta nelle singole parti, ma sta nel concatenarsi di queste parti, non
si possono saltare parti se si vuole arrivare all’intero, al tutto. Conoscere l’intero significherà allora ripercorrere tutte
queste parti, significherà trasformare le tappe del movimento dell’essere in tappe del movimento del pensiero. Hegel si
oppone chiaramente a tutte quelle concezioni che ritengono inessenziali le tappe, polemizzando sia con il metodo
definitorio delle scienze classiche che basa tutto su definizioni statiche che non cambiano mai ma che sono date una
volta per tutte, sia con l’intuizione immediata di Shelling e Jacobi, che partono da un sapere immediato non giustificato.
Contesta alche il dogmatismo del pensiero, il suo regno è la matematica, dove il vero consiste soltanto in un risultato
fisso e immutabile rinnegando così lo sviluppo storico.
Hegel dà molta importanza alla tradizione; tutto ciò che noi siamo lo siamo anche per opera della storia, del nostro
passato, quello che abbiamo oggi ci proviene da un’eredità che è il risultato di tutte le generazioni che furono. Ma se
siamo il frutto di tutti i momenti passati non dobbiamo assolutizzare un momento, se no ritorniamo alla logica del
risultato quella matematica, rinunciando alla vera logica della filosofia. La matematica prende in considerazione solo la
quantità, essa manca di qualità perché è esterna al suo oggetto, è un approccio astratto a concetti che non esistono nella
realtà. Infatti, la materia intorno su cui la matematica garantisce la sua verità è lo spazio. Lo spazio è uno sfondo, è il
fondale entro il quale gli oggetti si muovono per Newton, è statico. La matematica il tempo non lo tratta perché ci
presenta un tempo che va contro la storicità, un tempo atemporale. La dimostrazione matematica è fredda, perché
esteriore, non è riflessione su un percorso, ma è classificazione perché non opera in essa la ragione ma l’intelletto
kantiano che è propriamente l’intelletto tabellesco. Quindi la differenza tra il conoscere matematico e il conoscere
filosofico sta nel fatto che quello matematico invece di penetrare nel contenuto immanente della cosa si ferma alla
superficie di questa, non coglie altro che se stessa, l’intelletto fa solo esperienza di se stesso e finisce col non avere
oggetto ecco perché il contenuto della scienza è l’inessenziale; il conoscere filosofico invece esige che ci si trasformi
nella vita dell’oggetto, che se ne esprimi l’interiore necessità.
Fourier; il crollo della fisica
Dopo Hegel che mise in crisi la logica, tocca alla fisica che viene messa in crisi da Fourier sempre nel 1807 quando
comincia a elaborare le sue prime riflessioni sul calore, fenomeno che era stato escluso dalla fisica classica. Egli mostrò
come il fenomeno della propagazione del calore era un fatto universale perché il calore penetra in tutti i corpi
dell’universo, ma questo è un fenomeno che non può essere spiegato in termini meccanici mediante i principi del
movimento e dell’equilibrio. Fourier enunciò il secondo principio della termodinamica (che condurrà poi all’entropia)
ossia la legge che regola la trasmissione di calore nei corpi. Questa afferma che si ha un passaggio di calore quando c’è
un dislivello di temperatura tra un corpo e un altro: il calore fluisce da un corpo più caldo a uno più freddo. Questa è una
caratteristica universale di tutti i corpi tanto quanto la legge gravitazionale. Con una differenza: la gravità è quantitativa
perché sposta semplicemente i corpi ma non ne cambia le qualità, mentre il calore è qualitativo perché trasforma
chimicamente i corpi, provoca cambiamenti di stato e modifica le loro proprietà interne. Veniva a cadere la pretesa
identificazione tra matematica e scienza newtoniana, perché anche la nuova scienza non newtoniana si fonda su formule
matematiche universali. Inoltre il cambiamento più radicale riguardava i concetti di causa, tempo e spazio (le forme a
priori su cui si fonda la conoscenza secondo Kant)
CAUSA, cambia il concetto di causa perché nella trasmissione di calore da un corpo più caldo a uno più freddo non
possiamo risalire dall’effetto alla causa ossia non possiamo sapere qual era il corpo più caldo dopo che questi sono in
equilibrio.
TEMPO che non è visto più come un semplice contenitore degli eventi, esterno rispetto a essi, ma ne costituisce la
struttura intrinseca. Il tempo di trasmissio