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Non esiste regola che permetta di decidere tra lezioni di pari autorità: la scelta spetta al giudizio
dell’editore e se questo rifiuta o è incapace di esercitare il proprio giudizio ripiegando su un criterio
arbitrario (come l’autorità del testo-base) abdica alla funzione editoriale.
Riassumendo, le circostanze storiche della lingua inglese rendono necessaria l’adozione di un
testo particolare per quanto attiene l’aspetto formale. Se i vari testimoni sono in rapporto di filia-
zione la scelta ricadrà sul più antico, perché si avvicina di più all’originale e perché conserverà più
facilmente le lezioni dell’autore. Ma, quando esistono più testi sostanziali che hanno all’incirca la
stessa autorità – anche se sarà necessario scegliere un testo-base e seguirlo per le accidentali – a
questo non si potrà riconoscere autorità assoluta per le lezioni sostanziali.
Resta in sospeso la questione del grado di fedeltà con cui va riprodotto il testo base. Spesso,
per circostanze linguistiche o “ignoranza filologica” viene imposto per comodo, non per principio:
ma non si capisce perché l’editore, al di là degli errori, non possa modificare parole che presentano
grafie fuorvianti o stravaganti o se è convinto che siano da addebitare al copista/compositore e
non all’autore. Greg ritiene che l’editore, se l’interpunzione è sbagliata o difettosa, ha il diritto di ri -
nunciarvi e adottarne una propria. Lo stesso vale per l’uso delle maiuscole e del corsivo. Tuttavia,
gli emendamenti devono essere rispettare le lezioni più antiche ed essere congrue con il testo-ba-
se. Per quanto riguarda il problema delle possibili revisioni dell’autore riportate in edizioni succes-
sive alla prima, Greg ritiene che, comprovata l’esistenza di una revisione, davanti a ogni variante un
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editore dovrebbe sempre chiedersi:
1) Se la lezione originaria è tale per essere ragionevolmente attribuita all’autore.
2) Se la lezione successiva è tale perché l’autore l’abbia sostituita alla precedente.
Se la risposta alla prima domanda è positiva e la seconda negativa la lezione originaria va conserva-
ta, mentre se entrambe le risposte sono positive la lezione successiva va considerata come revisio-
ne e deve essere accolta nel testo, al di là che a livello estetico la si possa considerare un migliora-
mento o meno.
Sul fatto che in tutti i normali di casi di correzione o di revisione l’edizione originale debba esse-
re adottata come testo-base Greg si trova d’accordo con McKerrow: ma non tutti i casi sono nor-
mali. Ci sono dei casi in cui un editore sarebbe giustificato nel prendere una ristampa riveduta
come testo-base: ad esempio, quando un autore revisiona un’edizione precedente sorvegliando di-
rettamente la tiratura della nuova edizione e correggendo le bozze mentre i fogli sono in stampa.
In questo caso anche se l’edizione antica può conservare più fedelmente le caratteristiche peculiari
dell’autore, questi si è assunto la responsabilità delle lezioni sostanziali come delle accidentali,
quindi la ristampa è da adottare quale testo-base. Come regola generale, si può limitare a dire che
se la scelta cade sull’edizione originale, allora le correzioni dell’autore vanno inserite a testo, se la
scelta cade sulla ristampa, la lezione originale deve essere ripristina quando quella della ristampa è
dovuta a un intervento non approvato dall’autore.
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La trasmissione del testo
di Philip Gaskell
Nell’edizione di un testo la scelta delle varianti e l’emendamento delle corruttele può avvenire
sulla base di ragioni bibliografiche o ragioni letterarie, o delle due insieme. Questo saggio esula
dal tema dell’esercizio della critica letteraria, ma è dedicato alla critica bibliografica: l’applicazione
delle tecniche della bibliografia testuale ai problemi della critica del testo richiede una valutazione
degli effetti che i processi della stampa (composizione, correzione, preparazione delle lastre,...)
possono determinare sul trasferimento del testo dal manoscritto alla stampa.
1. La composizione
Il compositore ha un ruolo decisivo nella trasmissione a stampa perché era lui – e di solito lui
solo – a effettuare la completa trascrizione del testo, in modo analogo a quanto faceva lo scriba.
Un compositore ha la possibilità di riprodurre con grande precisione un testo a stampa, ma è raro
che il testo di manoscritto non subisca modifiche – le quali dipendono nella maggior parte da inter-
venti volontari volti a migliorare la presentazione del testo nei suoi dettagli, ma sono anche conse-
guenza di errori involontari. La quantità di varianti introdotte in composizione è diversa ma è stata
quasi sempre elevata. Questo saggio concerne soprattutto l’epoca della stampa manuale, in cui si
manifestò maggiormente la tendenza al cambiamento (anche se ancora oggi in sede editoriale si
tende a correggere dal punto di visto grafico-formale).
Coloro che compongono manualmente il testo o lo fanno attraverso una tastiera, lavorando su
un testo inedito, hanno due compiti da rispettare: 1) comporre le parole dell’esemplare nel modo
più accurato possibile, senza aggiunte o omissioni, 2) badare che lo stile tipografico del prodotto
(gli aspetti “accidentali) siano conformi agli usi dell’epoca e del luogo.
Nell’epoca della stampa manuale le convenzioni tipografiche erano abbastanza uniformi all’in-
terno delle industrie tipografiche nazionali, ma il XIX sec. vide lo sviluppo in singoli tipografi di un
particolare stile personale che ha ceduto il posto allo stile particolare dell’editore – comunque, stili
individuali che non si sono allontanati molto dalle convenzioni nazionali. Anche se la grafia degli
autori inglesi tra XVI e XVII sec. era molto varia non si può dire che non esistesse uno standard: nel -
le case tipografiche vigeva una situazione analoga. I compositori consideravano alcune grafie accet-
tabili e altre no e si adoperavano per rendere la grafia dell’autore conforme al loro standard. Se in
una particolare tipografia la preferenza cade su una particolare forma – ad esempio (ad es. doe ri-
spetto a do) è possibile che la “regola” venga meno se il compositore ha necessità di ridurre il nu-
mero di caratteri (nel caso, nonostante la preferenza, sceglierà senza dubbio do). Nel periodo più
antico della stampa manuale il compositore correggeva l’uso delle maiuscole e del corsivo, aggiun -
gendo un certo numero di segni di interpunzione.
I mutamenti rispetto all’antigrafo manoscritto che dipendono non da modifiche intenzionali ma
da errori involontari possono essere ricondotti a una cattiva lettura della copia: i fraintendimenti
spesso nascono da copie guaste o in scrittura talmente scadente che neppure un professionista
specializzato come il compositore era capace di decifrare il testo. Le intenzioni dell’autore potreb-
bero anche essere state fraintese se il manoscritto presentava lacune evidenti o errori grammatica-
li: il compositore avrebbe potuto tentare di emendarli con il rischio di introdurne di nuovi, ma di
solito il compositore non era tenuto a correggere gli errori dell’autore e potrebbe ave preferito non
intervenire. In ogni caso, la composizione era un processo in larga misura meccanico: il composito-
re afferrava il senso di ogni frase (ciò era necessario per inserire la punteggiatura) ma è estrema-
mente improbabile che comprendesse il senso generale del testo che stava componendo. Gli errori
sono riconducibili a errori di lapsus, dovuti al compositore ed errori prodotti da una cassa inquina-
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ta in cui alcuni caratteri erano finiti negli scomparti sbagliati. Gli errori del compositore potevano
essere di vari tipi, ma i più diffusi sono: 1) la sostituzione inconscia di una parola con un’altra
all'interno della frase da lui memorizzata, 2) il salto o la ripetizione di una parola, 3) la scelta errata
della successione dei caratteri per formare la parola (hwen invece di when). Ma bisogna ricordare
che i compositori che lavoravano a cottimo (non gli apprendisti) erano tenuti a correggere a loro
spese gli errori e quindi per lui era più conveniente controllare ogni riga del compositoio.
es. Ogni compositore ha un modo peculiare di operare. Uno dei compositori del primo in-folio sha-
kespeariano, il “compositore B”, ha abitudini grafiche ben radicate (ad es. preferisce do, go e heere
rispetto a doe, goe, here). Nel 1619 B compose dieci nuovi edizioni in-quarto shakespeariane e
pseudo-shakespeariane. È evidente che B è intervenuto sui suoi testi con grande libertà (es. altera
regolarmente la grafia in conformità con le sue preferenze personali, preferisce contrarre le parole
piuttosto che scioglierle, effettua 715 modiche all'interpunzione).
Questo esempio evidenzia quanto sia necessario includere in un’analisi grafica tutte le parole del
testo, non semplicemente un loro campione perché la struttura complessiva sarà una complessa
mescolanza delle grafie dell’epoca e delle abitudini individuali di autore, copista, compositore,
correttore: solo con un’analisi completa si può sperare di separare le varie componenti. Spesso è
necessario confrontare il risultato con la grafia di altri testi usciti dalla stessa tipografia.
es. Esiste un altro modo per identificare l’opera dei singoli compositori. Hinman, mettendo in rela-
zione in modo di operare dei compositori con l’apparire di particolari serie di caratteri danneggiati o
identificabile per altri aspetti, è in grado di dimostrare che – all’epoca in cui fu stampato il primo in-
folio shakespeariano, come ognuno dei compositori impiegati da Jaggard lavorasse di solito con uno
specifico paio di casse.
2. La correzione delle bozze
La procedura di correzione delle bozze fu probabilmente stabilita entro la fine del XVI sec. per
continuare a essere attuata con pochi mutamenti fino a tutto il XIX sec. Il correttore si faceva leg-
gere la copia ad alta voce mentre esaminava una prima bozza di ogni forma composta per correg-
gere eventuali errori sostanziali e controllare la normalizzazione degli accidentali effettuata dal
compositore; quindi poteva accadere che una seconda bozza, tirata dopo aver eseguito le correzio-
ni, venisse confrontata con la prima annotata per controllare se le istruzioni erano state eseguite.
In un secondo tempo una bozza pulita del foglio – cioè di entrambe le forme – veniva mostrata al-
l’autore per ottenere l’approvazione o registrarne i ripensamenti che, se erano estesi, potevano ri-
chiedere nuove bozze. Infine le forme o i fogli ricevano un’ultima lettura immedi