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La prima vera tragedia in volgare rappresentata sarà l'Orbecche del Giraldi Cinzio, a Ferrara nel 1542.

La tragedia investe direttamente il meccanismo del potere, e dunque il problema dei principi; e i principi, se sono disposti a

ridere per una favola comica e nell’ambito del mondo borghese, non hanno nessuna inclinazione a un dibattito più o meno

profondo sui temi fondamentali del potere politico. Appare evidente che l'ambiente egemonico che produce uno spettacolo

tende, sia sul piano del prestigio sia su quello del divertimento, alla commedia ben più che alla tragedia.

Mentre la tragedia almeno indirettamente mette in causa il potente, la commedia evita per lo più, anche se non mancano

eccezioni, di risalire ai potenti, ai responsabili della struttura sociale e dell'organizzazione politica della città.

Quanto al dramma satirico, il cui primo esempio certo è l'Egle, pure di G. B. Giraldi Cinzio, nel 1545, il discorso sarebbe lungo

e tutto da approfondire: perché prima di esso esiste una letteratura pastorale non solo di carattere narrativo e poetico, ma

anche drammatico.

Tale drammaturgia pastorale-allegorica costituisce spesso il pendant della commedia.

Per esempio a Urbino è reperibile nel 1506 prima della Calandra del Bibbiena del 1513, una rappresentazione del Tirsi del

Castiglione, che è una breve composizione allegorico pastorale a scopo celebrativo, dove i pastori e le ninfe sono in realtà i

cortigiani di Urbino uniti nell'adorazione della dea Duchessa. 14

Ma non esiste, al di là di questi momenti rituali, un vero e proprio dramma pastorale nella prima metà del Cinquecento: c'è

una ricca produzione (lombardo-padana, veneta, napoletana, ecc.) non un vero e proprio genere.

6b. La commedia è in ogni caso il genere preminente, favorita com'è dalla convergenza tra l'edonismo sostanziale di una classe

dirigente e le ricerche degli intellettuali che intendono fondare, sul piano del testo come su quello della scena, un nuovo

classicismo moderno e la commedia è un esempio tipico, il genere dove questa gara con gli antichi può manifestarsi, data

l'omologia della struttura in modo patente.

Ciò che spinge l'intellettuale ad approfondire il campo del genere comico, a elaborare un istituto teatrale, non è un impulso

analogo né omogeneo a quello che spinge la classe dirigente, i principi come l'aristocrazia o la borghesia urbane, a

incrementare la consuetudine degli spettacoli comici. Per gli intellettuali conta una ricerca di carattere culturale, artistico,

poetico; per la casse dirigente vale una sostanziale attitudine edonistica.

Questa singolare situazione, per cui la Grecia raffinata e civile attendeva oziosa agli spettacoli di commedie mentre Filippo di

Macedonia imparava a ordinare gli eserciti e si armava per conquistarla, è chiaramente, nel passo di Machiavelli, una metafora

della situazione italiana del tempo; ed è un giudizio tanto più sintomatico in quanto si tratta suppergiù degli stessi anni della

composizione della Mandragola, dove pure è rilevabile, nel Prologo, l’amarezza di chi è costretto a scrivere una commedia

perché non può impegnare in modo migliore le proprie energie per lo Stato. Il Machiavelli intuiva acutamente il malinteso cui

abbiamo accennato, la contraddizione aperta tra le conquiste di una civiltà e una debolezza strutturale degli Stati italiani.

Sicchè anche la commedia, nell’ambito della festa principesca, era forse un equivoco, per il Machiavelli, perché mascherava e

sublimava l'intima debolezza della classe dirigente italiana, che cercava insieme di distrarsi nel divertimento dello spettacolo e

di accrescere, con la grandiosità dell'addobbo, il proprio prestigio.

6c. La commedia, nella prima metà del secolo, ha un primato indiscusso rispetto agli altri generi, e si espande attraverso una

fitta rete di influenze e di rapporti tra varie città, tra centri che rinviano l'uno all’altro gli echi delle proprie esperienze, spesso

gli stessi artisti e gli stessi testi.

E i centri più vivi, all'inizio del Cinquecento, sono da una parte l'area padana (Mantova, Ferrara, fino ad Urbino) e Venezia,

dall'altra Firenze e Roma, specialmente durante il papato di Leone X. Questi sono i centri fondamentali di quel reticolo teatrale

che si forma in Italia nei primi tre decenni del Cinquecento: centri che impongono un nuovo genere comico grazie a tutta una

serie di relazioni che non distruggono, del resto, i caratteri specifici delle singole aree cittadine e regionali.

Basta riflettere agli spettacoli e ai testi che sono determinanti per l'affermazione della “nova comedia” per usare in modo

emblematico le prime due parole del Prologo della prima Cassaria: La Cassaria dell'Ariosto nel 1508 e I Supposti, pure

dell'Ariosto, nel 1509 a Ferrara; La Calandria del Bibbiena a Urbino, nel 1512 che poi sarà rimessa in scena a Roma nel 1514 ad

opera dello stesso Bibbiena; la Mandragola del Machiavelli nel 1518 o giù di lì a Firenze, I Suppositi a Roma 1519. A partire da

questo primo nucleo, Roma e poi Venezia saranno le basi ulteriori di diffusione del nuovo repertorio.

In questo ambito, e con questi testi, scatta il meccanismo di affermazione della Commedia.

Con l'Ariosto, in primo luogo, impegnato forse più di tutti a costruire una fabula, una favola nel senso teatrale del termine,

ricca, come afferma nel Prologo della Cassaria, di vari giochi: dove giochi va inteso nel senso scenico del termine, una serie

cioè di divertenti topoi teatrali concernenti il linguaggio e le trovate di vario tipo.

L’Ariosto cerca insomma di elaborare un primo abbozzo tipologico (personaggi e azione) della commedia, di costruire lo

schema di quello che può essere il sistema comico.

Nel celebre Prologo de La Calandria del Bibbiena una serie di antitesi perentorie, ci avvertono, in modo ben più esplicito che

nel Prologo dell'Ariosto, che è ormai aperta la gara dei “moderni ingegni” con li “antiqui”: in prosa non in versi.

La nuova commedia non sarà in versi, ma in prosa che è una teoria sulla quale l'Ariosto; “moderna, non antiqua” (non saranno

più personaggi latini o greci, ma personaggi ormai ben riferiti alla società contemporanea) “volgare, non latina”.

E nella Calandria la stessa scena situata a Roma simboleggia quasi la libertà del nuovo organismo comico, il suo orizzonte più

largo anche sul piano culturale: non più Ferrara, non più solo Firenze.

È un tentativo, da parte del papato dei Medici di conseguire una duplice egemonia, politica e culturale, proponendo una

letteratura che si potrebbe appunto definire tosco-medicea.

E questa è anche una risposta che il Bibbiena dà alle difficoltà linguistiche che l'Ariosto, ferrarese riconosceva chiaramente nel

Prologo della Cassaria. 15

L’Ariosto avvertiva cioè che pur riuscendo probabilmente nel tentativo di organizzare un organismo comico dilettevole, in ogni

caso accettabile, non possedeva una lingua che lo servisse con la stessa spigliatezza e con la stessa vivacità. Mentre il Bibbiena

è toscano sicuro e disinvolto che sa proporre un tipo di linguaggio più conversevole, rapido, arguto certo più adatto alla scena.

L'Ariosto era in conseguenza a un bivio impossibile, perché o usava il proprio dialetto, e questo non gli sarebbe servito per i

suoi progetti culturali, o usava toscano e non avrebbe potuto conoscerlo e maneggiarlo come un fiorentino.

Dopo l'Ariosto e il Bibbiena, in questo rapidissimo itinerario di affermazione del genere comico che stiamo seguendo senza

entrare nel merito dei testi, c'è appunto il Machiavelli della Mandragola, che immette nell'organismo comico il linguaggio

dialettale fiorentino, secondo una logica inevitabile della commedia.

Esaminando più a fondo La Mandragola ci accorgiamo che i personaggi che parlano il “dialetto” fiorentino, i loquenti dialettali,

sono quelli mentalmente o socialmente inferiori: Messer Nicia, il fiorentino destinato alla beffa.

Il dialetto può anche servire a caratterizzare e a satireggiare l'angustia mentale, l’orizzonte provinciale di una certa borghesia

fiorentina in un momento in cui sarebbe invece necessaria una prospettiva italiana e fin europea. Si può allora scoprire nella

commedia tutta una serie di risvolti significativi, quasi il Machiavelli aprisse una sorta di gerarchia socio-linguistica nella

Mandragola: Callimaco e Ligurio non parlano se non per beffa il dialetto fiorentino, ma il toscano divenuto lingua italiana,

strumento nella commedia di consapevolezza e di sicurezza.

Il Machiavelli sostituisce al meccanismo esterno della favola, ai “giochi” provocati casualmente dalle passioni, la rigorosa

attuazione di un progetto, e in essa risiede l'azione.

Nella Mandragola viene eseguito un piano: non ci sono imprevisti, o allora il tentativo di eliminarli subito per arrivare al fine.

Callimaco vuole avere Lucrezia: c’è dunque da organizzare un “colpo di letto” e c'è da organizzarlo nel modo più preciso e

sicuro. Perciò la commedia non ci fa assistere a veri imprevisti a peripezie rilevanti nell’ambito dell'azione, ma alla attuazione

logica, e inesorabile, del progetto iniziale. Ed è questa una novità di rilievo, un nuovo acquisto, per la struttura del genere.

La reale precettistica sulla commedia, a parte commenti o prefazioni di vario ordine, verrà infatti più tardi: il primo che

incomincia a riflettere in modo personale, e relativamente sistematico, sul linguaggio e sui personaggi della commedia, è il

Machiavelli.

6d. Questi sono dunque i centri essenziali e le commedie, si direbbe oggi, trainanti del nuovo organismo comico che si afferma

nei primi decenni del secolo. I primi centri sono Ferrara, Urbino, Firenze; le commedie trainanti, quelle che costituiscono un

modello e un punto di riferimento per gli scrittori successivi, sono La Cassaria, I Suppositi, La Calandria, La Mandragola,

naturalmente con alcune interazioni tra esse, perché I Suppositi dell'Ariosto hanno subito una ripercussione sulla Calandria del

Bibbiena, e la Calandra del Bibbiena ha sicuramente un'influenza sulla Mandragola del Machiavelli, e così via.

Dopo il 1520 sono dunque chiari i punti di riferimento: Urbino, Firenze e ora Roma, dove, alla corte di Leone X, si è formato un

altro centro fondamentale di diffusone della nuova commedia. All’incirca negli stessi anni, nel 1525 a Roma, l’Aretino,

scrivendo la prima redazione della Cortigiana, minaccia per un momento, con un’aggressione irosa, del pubblico eventuale di

distruggere l'organismo comico di cui è costretto a riconoscere l'esistenza. Tale forma comica ormai oggettivata che egli ha

potuto cogliere da osservatorio privilegiato

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
34 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Eli.C di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Drammaturgia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Ferrone Siro.