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ASPETTI DI SOGGETTIVITÀ NELLA PAROLA DRAMMATICA
L’a-parte
Nel corso del dialogo drammatico si dà abbastanza spesso il caso di un personaggio che si apparta
dagli altri e, rivolto solo al pubblico o se stesso, esprime ad alta voce brevi pensieri, che è opportu -
no che il pubblico conosca per interpretare correttamente l’azione teatrale ma che, al contrario,
devono rimanere segreti per gli altri personaggi: è il cosiddetto a-parte.
L’a-parte segna uno dei momenti più difficili per il drammaturgo, perché vi si manifesta appieno
il punto delicato della convenzionalità teatrale e il suo innaturalismo. La credibilità dell’esperienza
teatrale si fonda sulla conoscenza che in teatro esiste una «quarta parete»: con questa espressione
si intende, nel teatro tradizionale, quella sorta di barriera invisibile e trasparente che separa l’avve-
nimento teatrale dal pubblico, il quale è sì obbligato a restare fuori dall’azione drammatica, ma in
compenso gode di alcuni privilegi, che non appartengono ai personaggi della pièce (ad es., fruire di
informazioni agevolate a cui i personaggi non hanno accesso).
La difficoltà della scrittura drammatica sta nel riuscire a mantenersi nella zona di finzione previ-
sta per il pubblico: se si procede troppo oltre i limiti che la regolano, i principi classici della comuni-
cazione drammatica si rompono. Come Szondi mette in luce, l’a-parte concerne per lo più lo stile
comico; e ormai è avvertito come una forma arcaica. La drammaturgia moderna ne fa uso, sfrut-
tando le sue caratteristiche per piegarle in direzione parodica e ironica.
Il monologo
Il monologo presenta numerosi tratti di analogia con l’a-parte: emissione rivolta solo agli spettato-
ri, segretezza, istituzione di un rapporto comunicativo privilegiato con il pubblico. Anch’esso è una
clamorosa interruzione del doppio piano sul quale si situa la comunicazione drammatica: durante il
monologo o l’a-parte, funziona soltanto il piano verticale della comunicazione.
Come l’a-parte, il monologo è uno dei momenti di maggior artificiosità e rafforza la convenzio-
nalità del teatro tradizionale, incaricandosi di mediare una dimensione intima a cui non si potrebbe
dar voce nell’azione teatrale. Nonostante ciò, il monologo ha una sua specificità inconfondibile: dal
punto di vista formale, i tratti che lo distinguono dall’a-parte sono la solitudine del personaggio
monologante, la maggiore profondità e l’estensione del detto, la misura ampia, di contro alle po-
che battute dell’a-parte.
La caratteristica più interessante del monologo è il fatto che determina l’arrestarsi dell’azione,
perché si faccia spazio alla riflessione psichica e al pensiero. Nel monologo l’elemento di sospensio-
ne è accentuato.
L’io epico monologante
Durante il monologo la tessitura del testo drammatico, impostata sul dialogo, si rompe e vi si impo -
ne, sia pure provvisoriamente, una sorta di io epico, che è dotato di voce assoluta, estranea all’in -
treccio dialogico. L’io epico è voce soggettiva e narrativa e, in molti casi, è in diretto contatto con la
voce dell’autore.
Il monologo tende ad acquistare una posizione esorbitante all’interno del testo drammatico,
fino a coincidere con il testo drammatico stesso. Naturalmente, questo fenomeno è favorito da ra-
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gioni economiche, essendo più conveniente portare in scenografia elementare un solo attore
piuttosto che allestire uno spettacolo con numerosi attori e frequenti cambi di scena. Ma vi sono
altre ragioni: la consuetudine di operare delle riscritture drammatiche di romanzi, che favoriscono
l’uso di spezzoni che si configurano già come monologhi; e il fatto che il ricorso al monologo assu-
me un intento critico nei confronti della società.
Le didascalie
L’altra componente formale del testo di teatro è costituita dalle didascalie, unica zona testuale nel-
la quale propriamente si conserva la voce dell’autore e, dunque, unica zona di autentica soggettivi-
tà del testo drammatico. La didascalia è, di norma, uno spazio «di servizio», in cui l’autore fornisce
al regista e agli attori indicazioni per aiutarli nella messinscena. Le didascalie restano parti margina-
li e segrete del testo drammatico; ma la loro gestione, le loro dimensioni e perfino la loro esistenza
variano moltissimo a seconda delle epoche. Non ne esistono nei testi della classicità greca e roma-
na, né in Shakespeare quelle che possiamo leggere sono state introdotte nei testi a stampa moder-
ni: è verosimile che la loro assenza sia determinata dal fatto che l’autore partecipava alla messin -
scena.
Vi sono casi in cui la didascalia assume una grande ampiezza e valore: è l’uso che ne fa Pirandel-
lo, costantemente ossessionato dal possibile «tradimento» del suo testo. In altri casi le didascalie si
potrebbero definire liriche: le suggestioni offerte dall’autore non sono utili per l’allestimento sceni-
co, ma si accampano in una zona poetica, come in Un tram che si chiama desiderio di Williams. A
volte, il teatro del Novecento ha portato in scena la didascalia, che dovrebbero rimanere nascosta:
è il caso di Brecht che, nel corso dell’azione, prescrive di calare in scena dei grandi cartelli che re -
chino scritte le indicazioni didascaliche. 12
ARTIFICIO E CREDIBILITÀ NEL TESTO LETTERARIO
Il punto di vista
Il testo drammatico e il testo narrativo rappresentano in modi molti diversi il punto di vista dell’au -
tore: il teatro è oggettivo per definizione, dato che l’autore cancella la propria voce per esprimersi
attraverso i personaggi; mentre il narratore è spesso presente nel testo, con i suoi commenti e i
suoi giudizi. Nessuno impedisce al drammaturgo di attribuire il suo punto di vista ai personaggi, ma
di norma è difficile che un solo personaggio se ne faccia interprete: lo impedisce l’obbligo alla coe -
renza che impone di attribuire a ogni personaggio una linea di comportamento che lo rendano cre -
dibile.
Se, in un testo drammatico, si vuole ricostruire il punto di vista dell’autore, bisogna individuarne
i segnali sparsi, a volte contraddittori, che il drammaturgo dissemina per tutto il testo, frantuman-
doli fra i personaggi. Bisogna creare come un gioco di specchi, fino a trovare l’inclinazione che, con
buona approssimazione, riesce a riflettere il pensiero del drammaturgo. A orientare il giudizio con-
tribuisce anche la situazione in cui i personaggi vengono messi ad agire.
In questa complessa operazione, che il testo predispone e lo spettacolo realizza attraverso l’in -
terpretazione di regista e attore, lo spettatore viene messo in una posizione ambigua: perché egli
sa di partecipare a una finzione, ma accetta di lasciarsene affascinare, vivendola come se fosse una
verità.
Il metateatro
Il ruolo del pubblico teatrale risulta identico nel momento della fruizione del testo drammatico e
nel momento della sua messinscena? Evidentemente no. In primo luogo, un testo fatto solo di dia-
logo è meno accogliente di un testo narrativo, risultando più difficile e freddo emotivamente, per-
ché la mancanza della voce autoriale denota una presa di distanza da parte dell’autore, la volontà
di allontanarsi dalla materia rappresentata. All’assenza della mediazione autoriale deve supplire il
lettore, facendo ricorso alla sua fantasia, immaginazione e anche interpretazione critica. Il fruitore
è chiamato a una collaborazione più impegnativa; ne consegue un’attenuazione nell’intensità della
sua partecipazione emotiva, ossia dell’identificazione nelle situazioni e nei personaggi.
Quando un testo drammatico viene soltanto letto non si attivano le regole che sovraintendono
alla convenzionalità teatrale che, nella messinscena, orientano il gioco enigmatico della distanza e
dell’identificazione: l’assenza di questi attivatori di fascino, durante la lettura, accentua l’impressio-
ne di freddezza emotiva, che in genere respinge il lettore. È attraverso le coordinate materiali che
si impone la convenzionalità del teatro: è qui che viene percepita come formidabile potenziamento
del piacere estetico.
La convenzionane teatrale può intervenire a determinare un rifiuto radicale della comunicazione e
delle leggi del teatro, in chi non sa o non vuole sottoscrivere il patto teatrale e lo giudica un’insop-
portabile artificiosità [→ Gadda]. Il patto che lega pubblico e spettacolo teatrale non può essere
messo in discussione, pena la cancellazione stessa dell’esistenza del teatro: in molti casi, è proprio
l’artificiosità teatrale che viene sfruttata per giocarci e costruire situazioni ambigue, che ribadisco -
no tale artificiosità sconfessando i meccanismi. Le modalità con cui il metateatro si manifesta non
sono univoche, ma si possono raccogliere in tre principali categorie.
La prima riguarda i casi in cui la pièce concerne la storia di un attore o di una compagnia
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teatrale.
La seconda raccoglie i testi in cui, nel teatro di «primo livello» se ne apre un altro, una spe-
– cie di teatro più piccolo, intorno a quello ampio al quale assiste il pubblico reale. Questo
piccolo teatro di «secondo livello» ha il suo pubblico, costituito da una parte dei personaggi
del dramma.
Un terzo modo è quello in cui la finzione teatrale viene interrotta e i personaggi si rivolgono
– al pubblico, invitandolo a fare attenzione a certi aspetti dell’azione o raccontando loro re-
troscena che non hanno a che fare con la dimensione della finzione ma con la loro vita di
interpreti.
L’incipit del testo drammatico
La tensione fra verità e finzione, fra verosimiglianza persuasiva e artificiosità, si gioca in un altro
momento del testo drammatico, molto pericoloso per il drammaturgo: l’incipit, affrontato in modi
diversi secondo le epiche storiche o le scelte degli autori.
In alcuni casi, il ruolo del prologo è di stabilire una sorta di mediazione tra l’autore e il suo pub-
blico: un tentativo di attenuare l’oggettività drammatica. Obbedisce a una logica quasi opposta l’in-
cipit, di solito sconcertante, dei drammi di Pirandello che catapulta il lettore nel mezzo di avveni -
menti già avviati, di norma ingarbugliati sia sul piano pratico che sul concettuale. In altri casi, le in-
formazioni vengono fornite progressivamente, come lo svelamento successivo di una realtà che al-
l’inizio è presentata sotto un travestimento plausibile a cui tutti gli indizi spingono a credere ma
che, nel corso dell’azione, si rivel