Riassunto esame diritto del marketing, docente Guarini, libro consigliato Marketing e diritto, Egea
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contrattuale, corrisponendo all’agenzia un’ulteriore remunerazione, talvolta pattuita in misura
decrescente per un certo tempo fino al suo totale esaurimento. Da ultimo, tutte le raccolte ufficiali di
usi considerano il contratto di pubblicità come a tempo determinato, alcune precisandone la durata
come non inferiore a un anno. Le stesse raccolte menzionano come usuale anche la clausola del
rinnovo tacito per uguale periodo in mancanza di disdetta, da comunicarsi con preavviso di tre o sei
mesi. Piatti analoghi sono riportati sui contratti-tipo di fonte associativa. La pratica registra tuttavia
sovente anche rapporti a tempo indeterminato, o perché cosi le parti stipularono, o più spesso
perché nulla pattuirono al riguardo, come a volte si verifica per accordi conclusi oralmente o
perché, la collaborazione proseguì senza che si preoccupasse di fissarne l’ulteriore scadenza. In
conclusione, dal profilo che si è venuti via via tracciando emerge dunque che la figura contrattuale
in esame è sicuramente piuttosto complessa. Tuttavia, quantomeno nella versione italiana attuale, la
funzione economico-sociale che la caratterizza non lascia dubbi sulla sua fisionomia giuridica.
Infatti, tutto induce a riconoscere nel contratto di agenzia pubblicitaria una locatio operis avente a
oggetto un’attività intellettuale, la quale, a seconda che la prestazione dedotta in contratto sia resa in
forma prevalentemente personale dal tecnico pubblicitario o impersonalmente dall’agenzia-impresa,
sarà riconducibile al contratto d’opera intellettuale di cui agli articoli 2230 e al contratto d’appalto
disciplinato agli articoli 1655, e dal momento che ciò che ne forma oggetto è soprattutto la
prestazione continuativa di servizi, anche agli articoli 1559 e 1677.
3.3.2.2 IL CONTRATTO DI AGENZIA DI PROMOZIONI
A differenza di quanto avviene con il contratto di pubblicità, che con estrema sintesi, ha ad oggetto
la realizzazione di una campagna pubblicitaria, con il contratto di agenzia di promozioni il
committente-imprenditore commissiona a un’altra parte, tipicamente un’agenzia di promozioni, di
studiare, ideare, programmare e realizzare una o più azioni promozionali. Tuttavia, se si fa
eccezione per le attività tipiche formanti oggetto dell’accordo, lo schema di questo negozio è molto
simile a quello del contratto di agenzia pubblicitaria, da cui mutua tutte le clausole principali
analizzate nei paragrafi precedenti. Fra le prestazioni dell’agenzia di promozioni, particolare rilievo
assumono sovente quelle attinenti alla gestione dell’azione promozionale, la quale, diversamente da
quanto accade per la pubblicità, non si esaurisce con il lancio dell’iniziativa ma esige che se ne
amministrino i risultati in vista delle obbligazioni che spesso in queste operazioni l’impresa
committente assume nei confronti dei consumatori. Per quel che concerne la remunerazione è uso
diffuso corrispondere un compenso forfettario fisso all’agenzia di promozioni.
3.3.2.3 IL CONTRATTO DI RELAZIONI PUBBLICHE
Diversamente dalle tipologie negoziali sin ora esaminate, attraverso il contratto di relazioni
pubbliche un’agenzia o un consulente di public relation assume l’obbligo di svolgere servizi di pr
nell’interesse dell’imprenditore-committente. Le attività alla cui esecuzione il consulente di pr si
obbliga vengono abitualmente suddivise nelle due aree del corporate e del marketing pr. Alla prima
appartengono le iniziative finalizzate a posizionare positivamente l’impresa nel contesto socio-
economico-politico in cui opera, alla seconda quelle intese a porre in relazione con il mercato
l’impresa e i suoi prodotti. La formula di compenso è generalmente a fee, ovvero il committente-
imprenditore si impegna a corrispondere all’agenzia o al consulente un certo ammontare variabile in
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considerazione di fattori predeterminati quali ad esempio, il numero di clienti e/o contatti procurati,
l’incremento nelle vendite dell’impresa in generale o con riferimento a un determinato prodotto.
3.3.2.4 IL CONTRATTO DI COMMISSIONE DI OPERE PER LA PUBBLICITA’
Il contratto di commissione di opere per la pubblicità rappresenta per l’imprenditore committente la
più valida alternativa alla stipulazione di un contratto di agenzia pubblicitaria. Con questo contratto,
in fatti, una parte (l’esecutore) s’impegna a realizzare e a fornire all’altra parte (imprenditore-
committente) un’opera pubblicitaria o comunque un’opera da utilizzare per la pubblicità,
intendendosi con tale termine un opus nel senso classico dell’espressione, ossia il risultato di
un’attività creativa o anche solo tecnicamente atta a un impiego in pubblicità e che a tal fine viene
appunto commissionata. Nella pratica il contratto in esame, benché tutt’altro che insolito, non è
frequentissimo, essendo di regola l’agenzia cui l’impresa utente si affida per la propria pubblicità a
ideare e realizzare al suo interno e con la sua organizzazione persone e di mezzi la maggior parte
degli elementi comunicazionali, onde la creazione dell’opera pubblicitaria resta assorbita tra i
servizi che l’agenzia è per contratto tenuta a rendere. La conclusione dei contratti di commissione
d’opera pubblicitaria avviene, normalmente, per scambio di corrispondenza, anche se in molti casi
l’unico documento comprovante la stipulazione è la fattura dell’autore emessa per l’ammontare del
convenuto compenso in cui spesso si precisano i limiti del previsto utilizzo. La struttura del negozio
in esame si concretizza in quella di un normale contratto di lavoro autonomo come configurato nel
codice civile che vede una parte impegnarsi verso l’altra a eseguire e fornire una certa opera a
fronte di un certo corrispettivo. Infatti, nella maggior parte di questi contratti vi è una sostanziale
corrispondenza con la configurazione del contratto d’opera anche per ciò che riguarda le modalità
realizzative, giacché l’opera viene di regola eseguita dall’esecutore con lavoro prevalentemente
proprio e un’analoga coincidenza può cogliersi anche in ordine alla discrezionalità nella scelta dei
mezzi e delle soluzioni creative che compete all’esecutore, anche se qui, essendo il lavoro
commissionato destinato a inserirsi in azioni di comunicazione aventi obiettivi ben precisi spesso
imposti da inderogabili esigenze commerciali, poco è lasciato alla discrezione dell’artefice, tenuto a
operare nei limiti del briefing. Se dunque può ritenersi pacifico che il contratto in esame trovi la sua
disciplina nella normativa del codice civile in tema di contratto d’opera, va tuttavia ricordato come
la materia sia disciplinata anche da una normativa specifica sulla commissione di opere
pubblicitarie. Il che è abbastanza singolare, dal momento che il nostro legislatore ha pressoché
costantemente ignorato i rapporti negoziali posti in essere nel settore della pubblicità. Si tratta del
r.d. 14 dicembre 1942 n 1485, sui contratti relativi a commissioni di cartelloni e lavori artistici
affini, espressione che riflette la prevalenza della cartellonistica nella pubblicità italiana
d’anteguerra, ma che tuttavia, data l’ampiezza della formulazione, ricomprende sicuramente fra i
lavori artistici affini anche le altre opere destinate alla pubblicità, almeno di genere figurativo, e non
soltanto quelle destinate a divenire manifesti o mezzi del outdoor advertising. Il r.d. n 1485/1942
non prevede per questi contratti una disciplina diversa da quella degli articoli 2222 sul contratto di
lavoro autonomo, alla quale fa anzi esplicito richiamo, ma in un certo senso la integra, occupandosi
anche del diritto d’autore dell’esecutore dell’opera e delle facoltà di utilizzazione del committente.
Si può notare che due sono le norme meritevoli di menzione. Una è quella dell’articolo 1 del
predetto r.d., il quale dispone che questi contratti devono contenere l’indicazione dell’uso a cui il
lavoro è destinato, del formato di produzione, del termine di consegna e del compenso pattuito. La
norma non impone la norma scritta e quindi non si può desumervi l’eventuale inefficacia o nullità
dell’accordo nel caso che sia stipulato solo verbalmente o non contenga indicazioni elencate. Il che
è reso tanto più evidente dal successivo articolo 7, il quale nell’ipotesi che tali elementi facciano
difetto, ne rimette la determinazione al giudice, facendo comprendere che ai fini della validità del
contratto, essi possono anche mancare. La norma quindi non innova, sul punto, la disciplina del
codice, ma solo richiama l’attenzione su alcuni elementi tipici del contratto in questione. La
seconda norma è contenuta nell’articolo 2 e ha invece una portata integrativa della disposizione
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dell’articolo 2227, stabilendo che nel caso in cui il lavoro eseguito dall’artista secondo i patti non
venga accettato dal committente per qualsiasi ragione, spetta all’artista, a titolo di rimborso spese,
un compenso pari al 25 per cento di quello concordato. L’ipotesi è dunque quella del rifiuto
dell’opera ed è nella sostanza una specificazione del diritto di recesso del committente sancito
dall’articolo 2227 ed esaminato nei paragrafi precedenti. E nella misura in cui quantifica l’entità del
rimborso spese in tal caso dovuto all’esecutore, sembra limitare la risarcibilità del danno emergente
da lui subito al solo 25 per cento del compenso pattuito escludendo quella del danno ulteriore. La
figura negoziale in esame, definita come il contratto con cui il committente incarica il creativo
artista, fotografo o redattore di testi, di realizzare, dietro compenso, un’opera da utilizzare in
pubblicità, forma anche oggetto di usi accertati, ma le raccolte ufficiali di usi si limitano a registrare
la pratica secondo cui sono a carico del committente le spese per prestazioni tecniche strumentali
come esecutivi, fotocomposizioni, ritocchi ecc., le spese per l’impiego di modelli, nonché quelle
vive di viaggio se autorizzate. In conclusione, il contratto di commissione di opera pubblicitaria è
dunque quanto alla sua struttura e alla sua dinamica, di estrema semplicità, né presenta sostanziali
problemi per ciò che riguarda la disciplina applicabile, costituita dalle norme degli articoli 2222-
2228, ovvero ove l’attività dedotta rivesta natura intellettuale, dagli articoli 2229-2238, integrati da
quanto dispone il r.d. n 1485/1942. Per quel che concerne gli effetti del contratto a proposito dei
diritti e delle facoltà dispositive che il committente acquisisce sull’opera stessa, come in tutti i
contratti d’opera, anche in quello in esame la funzione economico-giuridica del contratto è
l’acquisizione del risultato dell’attività dedotta in contratto nella sfera patrimoniale del
committente: onde non può esservi dubbio che l’opera, una volta prodotta, accettata e pagata,
divenga di sua proprietà, con la conseguente facoltà, per il committente stesso, di disporne e
utilizzarla a proprio piacimento in modo pieno ed esclusivo secondo la nozione che del contenuto
del diritto di proprietà si ricava dal nostro ordinamento positivo e quindi in particolare, tenuto conto
della specifica funzione che il contratto di commissione di opera pubblicitaria assolve, di farne uso
per fini di pubblicità. In campo pubblicitario l’omissione dell’indicazione del nome degli autori dei
messaggi o delle opere in essi utilizzate è pratica pressoché costante, onde si è tentati di ravvisarvi
una vera e propria consuetudine, a fronte della quale si può forse ritenere implicito il consenso
dell’artista come espressione di libera scelta fra menzione della paternità e anonimato. Ciò non
toglie peraltro che il committente non potrebbe sottrarvisi. E comunque al committente non sarebbe
consentito di attribuire l’opera a un altro soggetto, giacché in tal modo il diritto morale dell’autore
ne risulterebbe con sicurezza violato. Lo stesso articolo 20 L.D.A. consente poi all’autore sempre a
tutela della sua personalità, di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione
e ad ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua
reputazione e disposizione sostanzialmente identica è contenuta nell’articolo 2577. In buona
sostanza, si ritiene che l’applicazione dell’articolo 20 L.D.A alla materia in esame operi solo nelle
situazioni in cui l’intervento sia tale da incidere sull’essenza dell’opera con modalità arbitrarie e
non giustificate da esigenze di comunicazione. Ma da quanto precede emerge che i vincoli posti alle
facoltà dispositive del committente dalle norme a tutela della personalità dell’autore sono tutt’altro
che trascurabili, e tanto meno lo sono ove si consideri che a tali vincoli fanno riscontro diritti
inalienabili dell’autore, il cui esercizio non è soggetto a prescrizione e che può essere fatto valere
senza limiti di tempo anche dopo la sua morte dai congiunti e dai discendenti fino al quarto grado di
parentela. Più problematico è pero stabilire se e in qual misura il committente acquisisca i diritti
inerenti all’utilizzazione economica dell’opera creativa commissionata. L’opinione oggi prevalente,
basata su considerazioni di vario genere e non ultimo, sul disposto del r.d. n 1485/1942, ma
soprattutto determinata dall’assenza nella legge sul diritto d’autore di una norma generale come
quella esistente in tema di invenzioni che valgono gli stessi principi regolanti la materia delle opere
dell’ingegno su commissione, nel senso che il trasferimento dei diritti di utilizzazione al
committente non è né automatico né totale, cosi che se ne devono desumere la misura e l’oggetto
con riguardo allo specifico scopo perseguito dalle parti e comunque limitatamente ai soli diritti di
sfruttamento patrimoniale il cui esercizio può soddisfare le esigenze proprie del committente. I
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diritti restanti permarrebbero invece nella titolarità dell’esecutore, talché qualsiasi utilizzazione
dell’opera che esorbiti dai limiti dell’oggetto e delle finalità del contratto individuati e definiti deve
ritenersi interdetta al committente, a meno che l’esecutore non vi acconsenta. Per quel che concerne
i riflessi di tale differenziazione sul compenso spettante all’esecutore, quest’ultimo potrà pretendere
una remunerazione aggiuntiva per gli usi dell’opera diversi da quelli pattuiti. Formula, del resto,
adottata dagli articoli 88 comma 3 e 98 L.D.A per le fotografie e dagli articoli 144 della stessa legge
a favore degli autori di opere figurative.
3.3.2.5 IL CONTRATTO DI PRODUZIONE DI FILM PUBBLICITARI
Una particolare forma di opera pubblicitaria è rappresentata dal film pubblicitario per il quale si è
sviluppata un automa forma negoziale in grado di adattarsi alle particolari modalità realizzative di
tale opera, la quale presuppone la predisposizione, da parte del soggetto incaricato della sua
realizzazione, di una certa organizzazione di uomini e mezzi. Il contratto di produzione di film
pubblicitari è l’accordo in base al quale un soggetto si obbliga, organizzando mezzi e persone, a
produrre e fornire all’imprenditore-committente, contro corrispettivo, un film pubblicitario. Esso si
qualifica quale contratto d’appalto d’opera e soggiace alla relativa disciplina posta dagli articoli
1655 poiché in esso sono riconoscibili tutti gli elementi che caratterizzano tale figura negoziale. Si
tenga presente che pur se la legge sul diritto d’autore riconosce al produttore la titolarità dei diritti
di utilizzazione economica dell’opera realizzata, la dottrina giuridica in argomento è unanime nel
negare all’impresa che produce film pubblicitari natura di produttore a norma della legge sul diritto
d’autore e quindi nel non riconoscerle né la titolarità né l’esercizio dei diritti di utilizzazione
economica dell’opera che diversamente spetterebbero al committente. Di norma la casa di
produzione, ancorché in genere scelta o comunque suggerita dall’agenzia di pubblicità che
amministra la campagna, stipula l’accordo direttamente con l’impresa committente formalizzandolo
per scambio di corrispondenza. Di solito l’accordo precisa il numero dei film da produrre, la durata
di proiezione di ciascuno di essi, la destinazione e il presumibile periodo di utilizzazione, oltre,
ovviamente, all’entità del complesso pattuito. La principale obbligazione della casa di produzione
consiste, come è intuitivo, nella produzione del film, essendo peraltro nella generalità dei casi
sottointeso che il soggetto e la sceneggiatura verranno forniti dal committente e per esso
dall’agenzia di pubblicità che li ha ideati ed elaborati. Registrano tale pratica anche le raccolte di usi
accertati di Milano e Vicenza, solo per citarne alcune. Tali usi, non fanno menzione della prassi,
pure acquisita, secondo cui è di regola lo stesso committente a scegliere anche gli interpreti e la
musica, nonché a esercitare la supervisione su tutte le fasi di produzione del film. Gli stessi usi
indicano che è però a carico della casa di produzione acquistare la collaborazione del regista,
retribuirlo, retribuire l’attività del personale che attende alla lavorazione e più in generale,
organizzare l’attività dei diversi addetti alla produzione, consistente nell’allestire l’ambiente, nel
procedere alle riprese, nel trattare il materiale sensibile, nel selezionare le sequenze e nel procedere
al loro montaggio. Cosi come saranno a carico della casa di produzione l’acquisizione e
retribuzione degli speaker e dei doppiatori, il doppiaggio, l’acquisizione dei diritti di utilizzazione
delle musiche, la sonorizzazione del film. A fronte dei vari adempimenti sopra elencati, il
committente sarà tenuto a pagare il corrispettivo pattuito, di regola comprensivo sia dell’attività sia
dei costi sostenuti dalla casa di produzione per la realizzazione del film ed inerenti, oltre che alle
prestazioni tecniche, anche ai compensi pagati ai terzi, sia delle prestazioni di tipo amministrativo e
delle relative spese, sia della fornitura del necessario numero di copie del film, sia infine, come i
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contratti quasi sempre precisano, dei diritti di utilizzazione del film stesso per la durata, l’estensione
territoriale e sui mezzi indicati in contratto.
3.3.2.6 IL CONTRATTO PER L’UTILIZZAZIONE PUBBLICITARIA DI OPERE GIA’
ESISTENTI
Oltre che di opere appositamente commissionate e realizzate per la pubblicità, accade
frequentemente che ci si avvalga, per le varie iniziative di comunicazione commerciale, di opere già
esistenti, magari create per finalità diverse. La pratica è specialmente diffusa per ciò che concerne le
composizioni musicali e le fotografie, ma trova larga applicazione anche per altri generi, come in
particolare quello delle opere figurative o per i personaggi di fiction. Ove l’opera rientri fra quelle
che la legge tutela con il diritto d’autore, sarà inevitabile che chi ne vuol fare impiego in pubblicità
acquisisca il diritto di utilizzazione dal soggetto che lo detiene, il che si attua attraverso un accordo
con il quale una parte concede all’altra, a fronte di un corrispettivo, la facoltà di usare l’opera nel
contesto di azioni pubblicitarie. Va però aggiunto che ben di rado in questi contratti il concedente
s’identifica con l’autore dell’opera. Il contratto assai raramente contempla la cessione totale e
definitiva di tutti i diritti patrimoniali d’autore sull’opera, essendo al contrario di norma limitato al
solo uso pubblicitario entro precisi limiti temporali e di mezzo diffusionale. Di regola è prevista
l’esclusiva, raramente totale e quasi sempre solo merceologica, a favore del licenziatario. Sul piano
giuridico, il contratto non presenta specifici problemi, trattandosi di un normale negozio di
licensing, in cui all’obbligazione attiva di uno dei contraenti, consiste nel pagamento del
corrispettivo pattuito, fa riscontro quella permissiva dell’altra parte, che sarà peraltro obbligata a
garantire al licenziamento il libero godimento dei diritti concessi.
3.3.2.7 IL CONTRATTO PER IL SOLO UTILIZZO PUBBLICITARIO DELL’IMMAGINE
O DEL NOME
La prassi commerciale ha sviluppato una tipologia negoziale attraverso cui una persona acconsente
all’utilizzo pubblicitario della propria immagine, o meno frequentemente, del proprio nome o di
altri attributi della propria personalità, per mezzo di un semplice atto unilaterale autorizzatorio,
ovvero di un vero e proprio contratto a prestazioni corrispettive. Le ipotesi di semplice
autorizzazione cui non corrisponda una remunerazione da parte del soggetto autorizzato non sono
particolarmente frequenti, verificandosi in pratica quasi esclusivamente nei casi in cui, volendosi
impiegare in una pubblicità del materiale che riproduce luoghi o eventi pubblici, appaia opportuno
ottenere il consenso delle persone che essendovi state casualmente presenti, vi sono raffigurate, e
costoro acconsentano senza compenso alla divulgazione pubblicitaria della loro immagine per pura
cortesia. L’autorizzazione, che prende il nome di liberatoria, viene di regola richiesta per iscritto, al
fine di prevenire possibili futuri rischi d’ordine probatorio. Più comune è invece che il consenso alla
diffusione di tali materiali sia prestato nell’ambito di un negozio a prestazioni corrispettive, nel
senso che all’autorizzazione dell’interessato fa riscontro il pagamento di un compenso da parte
dell’altro contraente. Anche in questa ipotesi l’accordo viene formalizzato in una liberatoria, con cui
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la persona ritratta esprime il proprio benestare all’utilizzo pubblicitario della propria immagine e
rilascia quietanza del corrispettivo convenuto.
3.3.2.8 IL CONTRATTO PER PRESTAZIONI PUBBLICITARIE E UTILIZZO
DELL’IMMAGINE
Senz’altro più ricorrente è però il caso in cui il consenso all’uso pubblicitario dell’immagine, del
nome o di altri attributi della persona si collochi in un contratto in forza del quale una delle parti
assume l’obbligo di compiere prestazioni di posa o di recitazione per la realizzazione del materiale
fotografico o filmico da utilizzare in una campagna e acconsente a che lo stesso sia divulgato
nell’ambito della relativa pubblicità. Il compenso viene normalmente fissato per libera
contrattazione in misura empirica per le persone che non esercitano professionalmente questa
attività, mentre per modelli professionisti e attori abitualmente determinato anche in funzione delle
loro quotazioni di mercato. È evidente che la struttura del negozio è composita, rivelando due
rapporti ben distinti pur se funzionalmente collegati: da un lato, quello avente a oggetto la
prestazione dell’attività e dall’altro, quello meramente autorizzatario. Infatti esso è giuridicamente
qualificabile come contratto autorizzatorio in cui, in rapporto di subordine funzionale, si colloca
anche una prestazione di lavoro subordinato, indispensabile per poterlo attuare. In concreto, il
contenuto di questi accordi è di più o meno complesso a seconda delle prestazioni che sono richieste
al modello o all’interprete, al suo livello professionale, alla sua notorietà. Nel caso di fotomodelli
occasionali o di modelli professionisti non affermati, l’accordo si formalizzerà con la semplice
liberatoria di cui si è detto più sopra. Ma, all’altro estremo, soprattutto se si impiegano personaggi
dello spettacolo di grande fama, le pattuizioni saranno assai elaborate, con dettagliate clausole circa
la durata e le date delle prestazioni, l’abbigliamento di scena, la persona del truccatore e analoghi
particolari, nonché in ordine all’accollo delle spese di viaggio e soggiorno a carico del committente.
Patto ricorrente è quello che riserva l’esclusiva merceologica a favore dell’impresa utente per la
durata dell’utilizzazione pattuita, che alcune raccolte ufficiali riportano come uso accertato.
Abituale è anche il patto in forza del quale al committente è riconosciuta la facoltà di risolvere
anticipatamente il rapporto nel caso in cui la reputazione dell’interprete abbia a deteriorarsi, così
rendendo dannoso il proseguire la pubblicità recante la sua immagine. Tale clausola è da ricollegarsi
alla funzione di pubblicità che caratterizza i contratti del settore ed è registrata da alcune raccolte
ufficiali come uso consolidato, dovendosi però precisare che la facoltà di risoluzione non è
circoscritta ai soli casi di deterioramento della reputazione dovuti a fatto o colpa dell’interessato,
ma si estende anche a quelli di cui egli non fosse responsabile, essendo all’effetto negativo
nell’apprezzamento del pubblico che ci si intende obiettivamente riferire e non agli stati soggettivi
dell’interprete o del modello. Inoltre, nel contratto sono indicati il periodo di tempo al quale
l’utilizzazione del materiale recante l’immagine o l’interpretazione del soggetto è circoscritta e i
mezzi diffusionali attraverso i quali il materiale sarà diffuso. Per giunta, sarà sempre specificato il
soggetto a cui l’autorizzazione è concessa e precisazione importante, i prodotti o servizi a cui la
pubblicità si riferisce.
3.3.2.9 IL CONTRATTO DI PRODUCT PLACEMENT
In questo paragrafo dedicato ai contratti di pubblicità si sono principalmente esaminate ipotesi
contrattuali la cui prestazione caratteristica si identifica con la creazione di un’opera dell’ingegno
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finalizzata della promozione di un prodotto. Diversamente, nel contratto di product placement le
parti si accordano affinché un prodotto o un marchio vengano utilizzati e/o mostrati, certamente a
fini pubblicitari, nell’ambito di un’opera dell’ingegno, il film, non appositamente creata a fini
promozionali. Passando agli aspetti tecnici, si può affermare che il contratto di product placement si
configura come un contratto di appalto di servizi. Di conseguenza, grava sulla società
cinematografica l’obbligo di ideare e realizzare il collocamento pianificato di marchi e prodotti
all’interno dell’opera filmica. Si tratta di un’organizzazione di mezzi dal momento che non è
possibile imputare al soggetto che cura l’inserimento del marchio o prodotto nell’opera filmica
eventuali responsabilità in caso di mancato ritorno pubblicitario dell’operazione. Tale aspetto risulta
particolarmente rilevante in quanto nelle operazioni di product placement le dinamiche di diffusione
del messaggio e la sua incidenza sull’audience si basano su modi e tempi di realizzo molto diversi
rispetto alla pubblicità tradizionale e si caratterizzano per l’incertezza del ritorno pubblicitario,
strettamente legato al successo della produzione audiovisiva. La difficoltà di porre in essere un
contratto di product placement consiste proprio nel determinare nel modo più dettagliato possibile,
ad esempio con clausole penali, di recesso o risolutive espresse, il suo contenuto per intensificare la
concreta efficacia ed evitare che il contratto si esaurisca nel mero fatto di aver corrisposto una
somma di denaro verso un atteso ritorno pubblicitario. Per tali motivi, sarebbe opportuno prevedere
i modi e i tempi del collocamento dei stessi con determinati personaggi, luoghi o situazioni. Ciò
consentirebbe alla società committente di vigilare costantemente sull’esecuzione degli obblighi
contrattuali e di contestare tempestivamente l’eventuale inadempimento di quanto contrattualmente
previsto. Quanto al corrispettivo, reso sotto forma di partecipazione ai costi di produzione, di regola
esso viene computato in relazione al tempo di permanenza del film nelle sale cinematografiche, con
previsione di ulteriori contribuzioni nel caso in cui il film riscuota particolare successo o sia oggetto
di successiva programmazione televisiva o di immissione sul mercato dell’homevideo. In tali caso il
corrispettivo originario varrà quale minimo garantito in misura fissa a favore della società
cinematografica.
3.4 I CONTRATTI DI SPONSORIZZAZIONE
Il fenomeno pubblicitario nel suo insieme non ha solo lo scopo di promuovere, in maniera diretta, la
vendita dei beni/servizi dell’imprenditore ma esplica anche la funzione di promuovere l’immagine
dell’impresa e di accrescerne la bran awareness. Tale ultimo obiettivo viene ulteriormente
perseguito dalle imprese tramite la stipulazione di contratti di sponsorizzazione che costituiscono, a
oggi, uno dei più incisivi strumenti a disposizione del marketing manager per sostenere e diffondere
l’immagine dell’impresa. Il contratto di sponsorizzazione può essere definito come quel negozio in
virtù del quale un soggetto, detto sponsor, acquista, dietro pagamento di un corrispettivo al
protagonista o al gestore di un’attività di successo, detto sponsee, il diritto di abbinare il proprio
nome, il proprio marchio o la propria immagine a detta attività. Certamente l’assenza di puntuali
disposizioni di legge genera alcune incertezze nell’individuazione degli obblighi nascenti dal
contratto, specie in sede di contenzioso, ma nondimeno, sembra comprensibile la scelta del
legislatore di astenersi da una puntuale regolamentazione. È interessante procedere a un esame più
approfondito del contratto al fine di svolgere alcune considerazioni riguardo sia agli attori coinvolti
sia all’ambito di operatività dell’accordo stesso. Quanto al primo punto, occorre notare che il ruolo
di sponsor può essere assunto da una pluralità di soggetti, tutti caratterizzati dall’agire per finalità
commerciali. Si tratta, non solo del singolo imprenditore persona fisica, ma anche di società
commerciali, enti associativi o consorzi di imprenditori. Invece, per ciò che concerne l’area di
applicazione del contratto, è opportuno precisare come esso sia frequentemente adoperato in ambito
sportivo. In tale settore, infatti, la sponsorizzazione può assumere le più varie forme: da quella del
singolo atleta o del club sportivo, sino a quella della federazione, o addirittura, dell’intera
manifestazione sportiva. Sotto il profilo del corrispettivo, si può inoltre osservare che la
sponsorizzazione sportiva consente non solo la corresponsione da parte dello sponsor di somme di
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denaro ma, spesso, anche la fornitura del materiale necessario al club per prestare la propria attività.
Più precisamente, si parla in tal caso di sponsor tecnico. Esso consente all’imprenditore di
incrementare significativamente la propria visibilità presso il pubblico, ma diversi sono i rischi
sostenuti dallo sponsor. Ci si riferisce, alla figura del ambush marketing, del quale si registra una
significativa presenza proprio nell’ambito della sponsorizzazione di eventi sportivi. Con tale
espressione vengono indicate tutte le varie forme di marketing parassitario, ovvero quello che mira
a promuovere indirettamente un brand appropriandosi degli sforzi economici profusi da un
competitor per migliorare la propria immagine. Sotto il profilo legale, le condotte degli ambusher
non sembrano violare alcuna normativa. A ben guardare, tuttavia, gli imprenditori danneggiati
potrebbero agire in giudizio e previa prova della confondibilità generata dalle strategie di marketing
dei rivali, invocare l’applicazione della normativa in materia di concorrenza sleale; questo, almeno
nell’ambito dell’ordinamento nazionale. Non è comunque facile immaginarsi l’esito di un giudizio
di tal genere: l’imprenditore intenzionato ad adire la corte, infatti è tenuto anche a dare prova del
danno subito che come ogni lesione all’immagine, risulta di difficile percezione in sede processuale.
Quello operativo non rappresenta però l’unico settore nel quale l’accordo in esame ha ottenuto un
significativo gradi di diffusione: si pensi ad esempio, all’ambito culturale, a quello ricreativo, ed
infine a quello umanitario. In quest’ultimo caso la sponsorizzazione assume una veste decisamente
peculiare, poiché il soggetto coinvolto, detto testimone, si presta gratuitamente alla promozione
dell’evento benefico al quale è associata la propria immagine. Da ultimo, poi, ha assunto grande
rilievo l’utilizzo del contratto di sponsorizzazione nel campo della riqualificazione urbanistica:
l’imprenditore finanzia i lavori di ristrutturazione di immobili, a fronte della menzione del proprio
supporto economico nella cartellonistica che ricopre il complesso edilizio, nel corso dei lavori. Da
un punto di vista ancora più pratico, inoltre è possibile distinguere due tipologie di
sponsorizzazione, corrispondenti a differenti finalità perseguite dall’impresa. Una prima ricorre
qualora lo sponsor voglia creare attorno a sé un clima generale di apprezzamento della propria
immagine e della propria attività, finanziando una manifestazione sportiva o culturale che viene
valutata positivamente dal pubblico. Una seconda tipologia si rinviene laddove l’impresa sia
interessata a diffondere, o sostenere, la notorietà del proprio marchio partecipando al finanziamento
di un evento che di per sé riscuote già successo presso il pubblico. Nel primo caso, infatti, il
marchio è associato a una entità celebre al fine di poter aumentare la propria notorietà, mentre nel
secondo il brand è già celebre e diventa esso stesso veicolo di una entità che si vuol promuovere.
Una volta inquadrata l’area di operatività del contratto e delineate le finalità da esso perseguite,
occorre soffermarsi sulle obbligazioni gravanti sulle parti. In primo luogo, per ciò che attiene alla
posizione dello sponsor, è evidente come in capo a quest’ultimo versi l’obbligo di pagare allo
sponsee il corrispettivo pattuito. Il finanziamento può, tuttavia, assumere una duplice forma: in
denaro o in natura. Invece per ciò che attiene alla posizione dello sponsee, gli obblighi di
comportamento variano in relazione alla specifica tipologia di prestazioni convenuta con lo sponsor.
In una prima ipotesi, è semplicemente attribuito all’imprenditore il diritto di proclamarsi sponsor
del personaggio celebre o dell’evento, non richiedendo, così, alcun comportamento attivo da parte
dello sponsee. In una seconda modalità, per contro, il soggetto sponsorizzato si obbliga a garantire
visibilità, nel corso della manifestazione o dell’evento, ai segni distintivi dell’imprenditore.
L’obbligazione del soggetto sponsorizzato viene definita di mezzi, poiché questi si obbliga non a
raggiungere l’incremento di notorietà atteso dallo sponsor, ma solamente a svolgere con cura e
impegno la propria professione. È d’obbligo, ora effettuare una precisazione: si è specificato come
il ruolo del finanziatore nella gestione dell’evento, o nello svolgimento dell’attività, sia relegato a
una posizione modesta, permettendo cosi di enucleare una caratteristica che consente di tracciare
una sorta di confine tra il contratto di sponsorizzazione e fattispecie a esso contigue, quali la
partnership. Quest’ultima figura, infatti, ricorre principalmente riguardo all’organizzazione di eventi
culturali, e comporta una partecipazione molto più attiva del soggetto partner, il quale, oltre a
corrispondere le somme necessarie all’organizzazione della manifestazione, è coinvolto nello
sviluppo del progetto medesimo e apporta le proprie competenze tecnico-scientifiche. Prevedendo
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puntualmente i comportamenti dovuti che rivestono una rilevanza cruciale per l’imprenditore, questi
potrà garantirsi la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto, qualora tali prestazioni restino
inadempiute. Dal punto di vista contrattuale, pattuizioni di questo genere assumono la forma della
clausola risolutiva espressa. Essa costituisce uno strumento particolarmente utile alla parte che
voglia spingere il proprio interlocutore al mantenimento di una data condotta, poiché consente di far
conseguire all’inadempimento dell’obbligazione la risoluzione di diritto dell’intero accordo. In tal
caso non risulta, infatti, necessario l’accertamento da parte dell’autorità giudiziaria della gravità
dell’inadempienza, come altrimenti previsto nella generale ipotesi di risoluzione. Vi sono inoltre
ulteriori previsioni contrattuali in grado di incentivare un corretto adempimento della controparte:
Lo sponsor ad esempio, potrebbe parametrare il corrispettivo dovuto allo sponsee in relazione ai
risultati positivi raggiunti da quest’ultimo durante la vigenza dell’accordo. Più in generale, oltre alla
clausola risolutiva espressa, adottino ulteriori precauzioni nella redazione del contratto. È frequente,
infatti, la disposizione secondo la quale al verificarsi di particolari ipotesi che compromettono
l’immagine del soggetto finanziati e di riflesso, del finanziatore lo sponsor sia legittimato a
richiedere un immediato scioglimento dell’accordo, esercitando il diritto di recesso. Una
precisazione di ordine pratico: per quanto, pubblicità e sponsorizzazione abbiano finalità in parte
coincidenti, esse presentano modalità operative marcatamente differenti. Nel primo caso, infatti, la
promozione avviene direttamente e attraverso l’uso di un veicolo neutro. Nel secondo, invece, la
comunicazione è indiretta, poiché l’esaltazione dell’immagine dell’imprenditore deriva, in via
mediata, all’associazione all’evento o al personaggio. Per contro, determinati eventi o
manifestazioni si caratterizzano per un andamento difficilmente prevedibile e dunque pongono per
lo sponsor maggiori problemi di controllo. Questi infatti, non può prevedere ex ante quante volte il
proprio marchio verrà ripreso nel corso della manifestazione. Lo strumento pubblicitario invece, si
distingue in quanto consente all’imprenditore di determinare ab origine il bacino di utenza che
visionerà il messaggio, tramite la selezione delle fasce orarie di trasmissione. Punto di incontro tra i
due differenti meccanismi di comunicazione è la figura della sponsorizzazione radiotelevisiva. Il
fatto che il contratto in esame costituisca una modalità di promozione indiretta non impedisce di
configurare come palese il collegamento tra imprenditore ed evento, differenziando cosi tale figura
da altri strumenti di comunicazione/commercializzazione nei quali il collegamento è difficilmente
percepibile, e dunque occulto. Ci riferisce, nello specifico, all’ipotesi del product placement.
3.5 LE MANIFESTAZIONI A PREMIO
Ulteriore veicolo per la pubblicità di marchi, prodotti e servizi sono le manifestazioni a premio,
regolate nel nostro ordinamento dal D.P.R. n430/2001. Le manifestazioni a premio si distinguono in
due grandi macro categorie che seppur legare da finalità comuni, presentano notevoli differenze tra
loro: i concorsi e le operazioni a premio.
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Le manifestazioni a premio si qualificano secondo una prospettiva civilistica, quali promesse al
pubblico e sono dunque soggette alla disciplina prevista dagli articoli 1989. Da un punto di vista
pratico ciò comporta che, una volta pubblicizzata la promessa, quanto in essa contenuto non potrà
essere modificato o revocato. L’unica possibile eccezione a ciò è riconosciuta dal legislatore
all’articolo 10 comma 4 del Regolamento n430/2001, in cui si prevede che se le modifiche non
ledono i diritti acquisiti dai promissari e sono portate a conoscenza degli interessi con le stesse
modalità della promessa originaria o in forme equivalenti, allora tali modifiche potranno essere
valide ed efficaci e i soggetti interessati non potranno muovere contestazioni.
Seppur legati dal medesimo scopo promozionale di prodotti, servizi, ditte, insegne o marchi, i
concorsi e le operazioni a premio presentano notevoli differenze ontologiche tra loro, che poi si
riflettono sui vari adempimenti da porre in essere per la loro effettiva organizzazione nel rispetto
della normativa. Primo elemento essenziale è la natura gratuita di tutte le manifestazioni a premio.
Ciò significa che al concorrente non potrà essere richiesto di pagare per partecipare alla
manifestazione, cioè non potrà essere applicato un sovrapprezzo rispetto al normale prezzo
applicato al prodotto o al servizio offerto in promozione. I partecipanti potranno però essere
chiamati a sostenere, ai sensi dell’articolo 1 comma 5 del Regolamento, le ordinarie spese di
spedizione o telefoniche necessarie ai fini della partecipazione stessa. Seconda caratteristica che
lega tutti i tipi di manifestazioni a premi è il tipo di concorrenti che possono partecipare, ovvero i
consumatori finali, operatori professionali, nonché collaboratori e dipendenti che svolgono un ruolo
attivo lungo la catena distributiva. Dall’altro lato, la veste di promotori di tutte le manifestazioni a
premio può essere ricoperta esclusivamente dalle imprese produttrici o commerciali fornitrici o
distributrici dei beni o dei servizi promozionati, anche non aventi sede in Italia. I promotori delle
manifestazioni, pur non perdendo mai tale qualifica, possono scegliere di farsi rappresentare da
soggetti terzi, delegando l’adempimento degli obblighi amministrativi previsti dal Regolamento ad
agenzie e operatori specializzati nella promozione di manifestazioni ed eventi ovvero a tenere tutti i
rapporti con le Autorità. L’articolo 4 del Regolamento prevede che i premi possono consistere in
beni, servizi, forme di sconto, biglietti delle lotterie organizzate dallo Stato oppure giocate dal lotto.
Date queste definizioni cosi larghe, si può ben comprendere che alle imprese promotrici delle
manifestazioni a premio è lasciata una libertà di scelta molto ampia nell’individuazione dei premi
da offrire. Tuttavia, è espressamente escluso che possa essere oggetto di premi il denaro in sé, cosi
come non possono costituire premio i titoli obbligazionari, le azioni, le quote societarie o di fondi
comuni e le polizze assicurative sulla vita. Sempre nell’ambito della tipologia dei premi che
possono essere offerti, è interessante evidenziare come il legislatore abbia previsto tra i possibili
premi anche i documenti di legittimazione di cui all’articolo 2002, all’interno dei quali si possono
far rientrare biglietti aerei o ferroviari. Biglietti per cinema e teatri nonché, le carte di debito/credito
prepagate nominative. Si ricorda inoltre che la consegna effettiva dei premi vinti dai partecipanti,
deve avvenire entro il termine di sei mesi dalla conclusione della manifestazione; quest’ultima può
coincidere con il momento dell’individuazione del vincitore, nel caso dei concorsi, ovvero con il
termine finale per la richiesta del premio, nel caso delle operazioni a premio.
3.5.3 CONCORSI VERSUS OPERAZIONI A PREMIO
La caratteristica principale del concorso a premio è la sua natura prettamente aleatoria, incerta e
strettamente connessa alla sorte. Secondo la definizione dell’articolo 2 del Regolamento, i concorsi
a premio sono manifestazioni pubblicitarie in cui l’attribuzione dei premi offerti, ad uno o più
partecipanti, ovvero a terzi, dipende dalla sorte, da qualsiasi congegno, dall’abilita o dalla capacità
dei concorrenti chiamati ad esprimere giudizi o pronostici oppure ad adempiere per primi alle
condizioni stabilite dal regolamento. L’operazione a premio è invece strutturata in modo tale da
prevedere la certezza del riconoscimento del premio a chiunque acquisti o venda il bene/servizio
promozionato, essendo condizione sufficiente, necessaria e indispensabile per far scattare
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l’assegnazione del premio l’acquisto/vendita del prodotto. Quindi le operazioni a premio sono
quelle manifestazioni pubblicitarie che prevedono: le offerte di premi a tutti coloro che acquistano o
vendono un quantitativo di prodotti o di servizi, oppure le offerte di un regalo a tutti coloro che
acquistano o vendono un determinato prodotto o servizio. Infine è necessario fare cenno alla
circostanza che nella circolare ministeriale 1/2002 AMTC si menziona una tipologia di
manifestazione a premio atipica, ovvero i cosiddetti concorsi misti. Essi consistono in
manifestazioni in cui a tutti i partecipanti viene riconosciuto un premio certo, contestualmente
all’acquisto/vendita di un prodotto/servizio, e allo stesso tempo si sottopone alla sorte
l’assegnazione di ulteriori premi ad alcuni soltanto dei partecipanti che hanno già ricevuto in
precedenza un premio. È stato osservato che il carattere aleatorio del concorso misto prevale su
quello della certezza della prima assegnazione, e pertanto il promotore dovrà adempiere a quanto
previsto dall’articolo 10 comma 1 del Regolamento, di cui si tratta nel proseguo.
3.5.4 LE MANIFESTAZIONI ESCLUSE
Tra le forme escluse si contano dapprima i concorsi indetti per la produzione di opere letterarie,
artistiche o scientifiche, nonché per la presentazione di proggetti o studi in ambito commerciale o
industriale, nei quali il conferimento del premio all’autore dell’opera prescelta ha carattere di
corrispettivo di prestazione d’opera o rappresenta il riconoscimento del merito personale o un titolo
d’incoraggiamento nell’interesse della collettività. Tali manifestazioni differiscono dai concorsi a
premio perché mancano dello scopo promozionale. Infatti, in questo caso oggetto della
manifestazione è la produzione o l’ideazione di un’opera, e per questo il premio ha natura di
corrispettivo. Il soggetto che organizza questo tipo di concorsi, più che essere un promotore è un
partecipante. Tra le forme escluse l’ordinamento annovera poi le manifestazioni nelle quali è
prevista l’assegnazione di premi da parte di emittenti radiotelevisive a spettatori presenti
esclusivamente nei luoghi ove si svolgono le manifestazioni stesse, semprechè l’iniziativa non sia
svolta per promozionare prodotti o servizi di altre imprese. Inoltre, non si possono qualificare quali
manifestazioni a premio le operazioni a premio con offerta di premi o regali costituiti da sconti sul
prezzo dei prodotti e dei servizi dello stesso genere di quelli acquistati o da sconti si un prodotto o
servizio di genere diverso rispetto a quello acquistato, a condizione che gli sconti non siano offerti
al fine di promozionare quest’ultimo, o da quantità aggiuntive di prodotti dello stesso genere. Non
rappresentano manifestazioni a premio le manifestazioni nelle quali i premi sono costituiti da
oggetti di minimo valore, semprechè la corresponsione di essi non dipenda in alcun modo dalla
natura o dall’entità delle vendite alle quali le offerte stesse sono collegate. Infine sono escluse
dall’ambito di applicazione del Regolamento anche le manifestazioni nelle quali i premi sono
destinati a favore di enti od istituzioni di carattere pubblico o che abbiano finalità eminentemente
sociali o benefiche.
3.5.5 GLI ADEMPIMENTI AMMINISTRATIVI DELLE MANIFESTAZIONI A PREMIO
Le diversità tra concorsi e operazioni a premio comportano anche differenti adempimenti che il
Regolamento pone a carico dei promotori. In primo luogo, i promotori di tutte le manifestazioni a
premio, ai sensi dell’articolo 7 del Regolamento, devono presentare a favore del Ministro delle
attività produttive, una cauzione con scadenza superiore a un anno dalla conclusione della
manifestazione stessa. In particolare, nel caso dei concorsi la cauzione è pari al valore complessivo
del montepremi determinato ai fini dell’IVA, mentre nel caso delle operazioni a premio la cauzione
deve essere versata in misura pari al 20% del valore complessivo dei premi. A carico dei promotori
delle manifestazioni a premio vi è l’obbligo di redigere, prima dell’effettivo avvio della
manifestazione, un regolamento, in cui devono essere indicati specificamente i dati identificativi del
promotore o dei promotori, la durata della manifestazione, l’ambito territoriale, le modalità di
svolgimento della manifestazione, la natura e il valore indicativo dei singoli premi e il termine della
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consegna. Inoltre, per i concorsi a premio è necessario indicare nel regolamento anche i dati
identificativi delle ONLUS a cui dovranno essere devoluti i premi eventualmente non richiesti o
non assegnati, ma non i premi che saranno rifiutati dai vincitori. È quindi evidente che il
regolamento della manifestazione a premio costituisca il documento più importante tra quelli che
devono essere redatti e conservati nell’ambito dell’organizzazione delle manifestazioni a premio.
Esso deve essere reso disponibile e accessibile ai consumatori, i quali lo devono poter consultare
con facilità, ed è il premio documento utile per il controllo della correttezza della manifestazione da
parte del Ministero dello sviluppo economico. Per i soggetti promotori del concorso è previsto
l’obbligo di comunicare preventivamente l’avvio del concorso al Ministero dello sviluppo
economico, e per adempiere a ciò è necessario allegare il regolamento, unitamente ai documenti che
provano l’avvenuto versamento della cauzione. Per i promotori delle operazioni a premio, non è
previsto questo obbligo di comunicazione preventiva a di invio del regolamento al Ministero. Per
tali manifestazioni è sufficiente autocertificare il regolamento con una dichiarazione sostitutiva di
atto notorio avente data certa, resa dal legale rappresentante dell’impresa promotrice e conservata
presso la sede per tutta la durata prevista della manifestazione e per i dodici mesi successivi alla
conclusione della stessa. Ultimi e conclusivi adempimenti a cui sono tenuti i promotori, in
particolare dei concorsi a premio, sono l’individuazione e la consegna dei premi messi in palio ai
vincitori. Di ciò si occupa l’articolo 9 del Regolamento, che richiede la presenza di un notaio
durante tutte le fasi che portano all’individuazione finale dei vincitori, al fine di garantire che sia
sempre mantenuta l’aleatorietà, ovvero che le commissioni di esperti eseguano una valutazione
imparziale e oggettiva nella scelta dei vincitori, che sia rispettata fedelmente la promessa al
pubblico cristallizzata nel regolamento e che quindi sia tutelata la fede pubblica. Conclusa la
manifestazione, consegnati i premi e verificata tutta la documentazione relativa al concorso, che
dovrà essere conservata presso la sede del soggetto promotore, il notaio redige un verbale di
chiusura della manifestazione, che dovrà poi essere trasmesso al Ministero unitamente al Modello
PREMA CO/2 che corrisponde all’Allegato 3 della Circolare 1/2002/AMTC.
3.5.6 LE SANZIONI
Se sono previsti degli obblighi sia di forma che di contenuto per le manifestazioni a premio, è
logico che il legislatore abbia previsto delle sanzioni per chi invece tali obblighi non rispetti.
L’autorità proposta al controllo del corretto svolgimento delle manifestazioni a premio è il
Ministero dello sviluppo economico, che può agire sia d’ufficio o su segnalazione di un interessato.
In particolare, qualora un promotore ponga in essere una manifestazione vitata ai sensi dell’articolo
8 del Regolamento, la sanzione viene irrogata al termine di una specifica procedura, che prevede la
richiesta preventiva da parte del Ministero di chiarimenti in merito alla manifestazioni da fornire
entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso tale periodo di tempo senza alcun tipo di risposta o in
caso di risposte insufficienti, il Ministero emette un decreto motivato con cui dichiara cessata la
manifestazione, commina una sanzione pecuniaria di valore che varia da una a tre volte il valore
dell’IVA dovuta, calcolata in base al montepremi e ordina la pubblicazione, a spese del promotore
inadempiente, sui mezzi di comunicazione indicati dal Ministero, della notizia dell’avvenuta
organizzazione di una manifestazione vietata. Qualora, poi il promotore organizzasse in un secondo
momento una nuova manifestazione vietata, la sanzione sarebbe uguale a quella precedente ma di
valore doppio. Oltre questa sanzione per le manifestazioni vietate, il legislatore ha previsto sanzioni
adottate automaticamente, senza necessità di contraddittorio, quali ad esempio, quelle irrogate
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quando viene organizzato un concorso a premi senza aver effettuato la comunicazione preventiva al
Ministero.
3.6 L’ATTIVITA’ DI MARKETING DIRETTO: PROFILI GIURIDICI
Occorre ora volgere lo sguardo al caso in cui un’impresa voglia comunicare direttamente con la
proprio clientela, attuale o potenziale. Ora nell’attività di marketing diretto la possibilità di
comunicare con i potenziali clienti in maniera diretta è permessa dall’accesso ai dati personali. I
profili della comunicazione d’impresa mirata sono quindi, strettamente legati a quelli della tutela
dei dati e della privacy. Senza nulla voler togliere alla comunicazione di massa tradizionale,
l’attuale complessità del mercato pare nondimeno richiedere che, almeno per alcuni settori, la
comunicazione si sposti su target ben definiti. Se infatti, in situazioni di relativa articolazione
dell’offerta, i consumatori potevano essere orientati e indirizzati anche dal solo messaggio
pubblicitario, l’attuale molteplicità di prodotti e servizi offerti rende difficile per la domanda
individuare il prodotto/servizio che realmente incontra le sue esigenze e soddisfa le sue aspettative.
Una corretta analisi dei dati relativi alle abitudini al consumo e alle esigenze dei consumatori può
facilitare, allora, l’incontro fra domanda e offerta, e permettere l’invio di messaggi commerciali che
siano calibrati su aspettative ed esigenze ben individuate. Le norme di legge che sono state dettate
per il settore del marketing diretto cercano di realizzare un contemperamento di tutti questi
interessi. Se si vuole allora scattare un’istantanea del processo di normazione del settore del
marketing diretto, tale immagine è costituita da un quadro legislativo articolato su tre diversi livelli.
In primo luogo rileva il livello delle norme generali del Codice della Privacy, ove si rinvengono i
principi e le regole che valgono per tutte le attività che hanno a oggetto dati personali o sensibili.
Tali principi di legge necessitano, tuttavia, di essere integrati, ad un secondo livello, dai
provvedimenti adottati dall’Autorità indipendente preposta alla tutela della Privacy, così facendo
una pratica interpretazione delle norme di legge. Infine, il terzo livello al quale si rinvengono regole
per le operazioni di marketing diretto è quello dell’autoregolamentazione, la quale ha avuto
importanza sempre crescente per l’attività d’impresa nel suo complesso considerata. La rilevanza
dell’autoregolamentazione si rinviene in primis nella previsione di un codice di deontologia e buona
condotta per le attività di marketing diretto. Tuttavia, il codice di cui alla norma ora ricordata non
esaurisce le disposizioni di autoregolamentazione che sono rinvenibili in materia. Infatti, sia a
livello comunitario, sia a livello nazionale sono stati realizzati, seppur con diversi gradi di efficacia,
due ulteriori insiemi di regole che gli operatori di settore possono, e in alcuni casi devono, prendere
in considerazione.
3.6.1 MARKETING DIRETTO E NORME DI LEGGE
In primo luogo rileva l’articolo 37 del Codice della Privacy, i casi in cui è obbligatoria la notifica
del trattamento dei dati. Infatti, tra le diverse ipotesi di notifica obbligatoria, la norma in esame
include anche:
• I trattamenti di dati volti a definire il profilo o la personalità dell’interessato, o ad analizzare
abitudini o scelte di consumo, ovvero quei trattamenti che sono necessari per la profilazione
e targettizzazione dei soggetti destinatari dell’invio di comunicazioni commerciali
• I trattamenti dei dati sensibili che rilevino per sondaggi di opinione, ricerche di mercato e
altre ricerche campionarie.
Per quanto tale disposizione non preveda fra i casi in cui è obbligatoria la notifica, quello in cui si
procede a trattare, al fine di operazioni di mailing e via dicendo, gli indirizzi o altri dati personali, è
tuttavia verosimile che le attività che precedono un’operazione di marketing diretto ricomprendono
trattamenti come quelli ora ricordati che debbono obbligatoriamente essere notificati. L’obbligo
della notifica può quindi rilevare, sebbene in maniera indiretta, anche nell’attività di marketing
diretto. In maniera invece diretta si applicano gli articoli 23 e 24, da cui combinato disposto
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discende che i dati devono essere raccolti e trattati solo previo consenso espresso, libero, informato,
a eccezione delle ipotesi elencate nell’articolo 24. Tra le eccezioni all’obbligo del consenso espresso
rientrano due ipotesi rilevanti per l’attività di marketing diretto:
• Quella in cui i dati provengono da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da
chiunque, fermi restando i limiti e le modalità che le leggi, i regolamenti o la normativa
comunitaria stabiliscono per la conoscibilità e pubblicità dei dati.
• Quella in cui i dati siano relativi allo svolgimento di attività economiche, trattati nel rispetto
della normativa in materia di segreto aziendale e industriale
Si deve comunque ricordare che anche nell’ipotesi delle eccezioni elencate all’articolo 24, l’obbligo
di informativa previsto dall’articolo 13 deve sempre essere adempiuto, a meno che non siano state
previste procedure semplificate per la comunicazione dell’informativa agli stessi interessati. L’unica
vera eccezione all’obbligo di fornire l’informativa è rinvenibile nel caso in cui sia il Garante stesso
a individuare una procedura semplificata. È questo il caso, ad esempio, dei titolari dei trattamenti
connessi all’edizione e pubblicazione di elenchi categorici, i cui dati non sono raccolti direttamente
presso l’interessato, ma sempre prezzo terzi. In tale ipotesi l’informativa si ritiene fornita se:
• Viene pubblicata, sottoforma di avviso, su almeno tre quotidiani ad ampia diffusione
nazionale, con determinate dimensioni e con tenore e modalità che la rendano facilmente
leggibile
• Viene pubblicata nella parte iniziale dell’elenco categorico cartaceo, oppure sul sito nel caso
di elenco in versione elettronica.
3.6.2 MARKETING DIRETTO E PROVVEDIMENTI DEL GARANTE PER LA PRIVACY
Un settore cosi particolare come quello del marketing diretto, in cui non solo confluiscono interessi
diversi e spesso contrapposti ma il modus operandi è soggetto a continui arricchimenti in ragione
dell’evolversi delle modalità di comunicazione, l’attività del Garante assume un ruolo chiave nel
dare concretezza alle norme di legge, che altrimenti rischiano di essere eccessivamente astratte per
gli operatori di settore. A dimostrazione di ciò i numerosi provvedimenti del Garante che
chiariscono gli usi possibili dei dati sia in generale sia nello specifico caso del marketing diretto.
Tra i diversi provvedimenti adottati dal Garante assumono particolare rilievo per l’attività di
marketing diretto quelli relativi agli elenchi telefonoci e categorici, ai dati contenuti nelle banche
dati degli uffici dell’anagrafe e dello stato civile, e infine quelli in tema di operazioni di rilascio di
carte fedeltà. Ciò che accomuna i dati interessati dai provvedimenti ora ricordati è il fatto che
anteriormente all’adozione delle norme in materia di privacy, essi erano liberamente usati sia per
creare e arricchire di anagrafiche le banche dati private, sia per attività di profilazione e
targettizzazione, sia infine per l’invio di comunicazioni commerciali tramite posta, telefono e
quant’altro. I limiti introdotti a livello legislativo hanno tuttavia necessitato, per un verso, di essere
maggiormente dettagliati tramite l’intervento del Garante e per altro verso, di essere coordinati con
norme preesistenti relative all’accessibilità dei dati, coordinamento effettuato sempre tramite
provvedimento del Garante.
3.6.2.1 GLI ELENCHI TELEFONICI
Il settore degli elenchi telefonici è uno di quelli in cui il legislatore stesso richiede all’articolo 129
del C.P., l’intervento del Garante affinchè individui le modalità di inserimento e di successivo
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utilizzo dei dati che sono riportati negli elenchi telefonici, anche in riferimento ai dati già raccolti
prima della data di entrata del Codice della Privacy. I principi di base che il Garante deve rispettare
nella previsione di tali idonee attività sono quelli della massima semplificazione delle modalità di
inclusione negli elenchi a fini di mera ricerca dell’abbonato per comunicazioni interpersonali,
quello del consenso specifico ed espresso qualora il trattamento esuli da tali fini, nonché quello
della possibilità di verifica, rettifica o cancellazione dei dati senza oneri. Già anteriormente
all’entrata in vigore del Codice della Privacy, il Garante aveva parzialmente stabilito, in conformità
con quanto previsto dalla normativa comunitaria, i nuovi diritti dei cittadini in tema di elenchi
telefonici, con l’adozione del provvedimento del 23 maggio 2002. All’entrata in vigore del Codice
della privacy, e con esso dell’articolo 129, alcune delle prescrizioni dettate nel provvedimento del
23 maggio 2002 fossero già state recepite dagli operatori del settore, il Garante interviene
nuovamente, con il provvedimento del 15 luglio 2004, per specificare ulteriormente che sempre in
conformità con le norme comunitarie, in particolare con la direttiva n2002/58/CE, la finalità
primaria degli elenchi telefonici deve essere individuata nella merca ricerca dell’abbonato per
comunicazioni interpersonali e l’inclusione degli abbonati negli elenchi deve seguire il principio
della massima semplificazione. La stessa normativa comunitaria ribadisce anche che il trattamento
dei dati inseriti negli elenchi, se effettuato per fini ulteriori, diversi da quelli interpersonali sopra
indicati, e in particolare per scopi pubblicitari, promozionali o commerciali, è lecito solo se
effettuato con il consenso specifico ed espresso degli interessati. Il Garante quindi provvedeva a
integrare le prescrizioni precedentemente adottate nel 2002, con particolare riferimento ai profili:
• Dell’individuazione dei simboli da apporre sugli elenchi accanto ai nominativi degli
interessati
• Del regime dei dati raccolti anteriormente all’operatività del nuovo regime
• Dei requisiti minimi degli schemi per informare gli interessati e per acquisire il loro
consenso
• Dell’inserimento, nei confronti di cessione di dati a terzi, di una clausola di responsabilità
dei cessionari con riguardo al trattamento dei dati.
La disciplina dei dati contenuti negli elenchi telefonici è quindi attualmente rinvenibile nel
combinato disposto dei due provvedimenti ora ricordati ed è riassumibile nella necessità di ottenere
il consenso per l’introduzione dell’interessato nell’elenco e nella richiesta delle modalità con cui
l’interessato intende comparire, e per altro verso, nell’ottenimento del consenso specifico per l’uso
dei dati inseriti nell’elenco a fini di marketing diretto. L’operazione di immissione dei vecchi
abbonati negli elenchi dei nuovi, ha comportato costi non indifferenti, ma ha soprattutto innescato
un elevato stato di incertezza in relazione a quei database che erano stati realizzati attingendo ai dati
contenuti nei vecchi elenchi telefonici e procedendo poi a elaborarli arricchendoli con dati
provenienti da altre fonti, database che erano al momento dell’entrata in vigore del nuovo regime
per l’inserimento degli abbonati nei nuovi elenchi, la fonte della maggior parte delle operazioni di
marketing diretto. Nel novembre 2005, Poste Italiane sollevava il problema davanti al Garante, che
adottava una comunicazione con la quale confermava che le imprese che negli anni avevano creato,
partendo dagli elenchi telefonici, dei database arricchiti con altri dati, e che li usavano per attività di
marketing diretto, potevano continuare ad usarli, limitatamente però:
• Ai database costituiti anteriormente al 1 agosto 2005
• Alle attività di mailing e telemarketing
La situazione si è però repentinamente modificata nel 2008, quando il Garante ha adottato una
prima serie di provvedimenti con i quali si è posto il divieto di trattare i dati contenuti nelle banche
dati formatesi anteriormente al 1 agosto 2005 per tre imprese attive nel settore a meno che esse non
fossero in grado di dimostrare di aver effettivamente fornito, prima di tale data, l’informativa agli
interessati ai sensi dell’articolo 13 del codice della privacy. Oltre che alle proteste delle imprese
interessate, la posizione del Garante ha dato origine all’adozione di una previsione, all’interno del
decreto-legge 30 dicembre 2008 n207, decreto Milleproroghe, in virtù della quale i dati personali
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presenti nelle banche dati costituite sulla base di elenchi telefonici pubblici, formatesi prima del 1
agosto 2005 sono lecitamente utilizzabili per fini promozionali sino al 31 dicembre 2009, anche in
deroga agli articoli 13 e 23 del C.P. Cosi facendo si annullano le recenti decisioni del Garante del
2008 e si ricostituisce la situazione precedente almeno fino alla fine del 2009.
3.6.2.2 GLI ELENCHI CATEGORICI
Diversa è invece la storia degli elenchi categorici, ovvero quei elenchi che hanno carattere
commerciale e promozionale, contenendo informazioni varie, relative allo svolgimento delle attività
economiche ed equiparate dei soggetti interessati, in particolare aziende, professionisti, esercizi
commerciali ed enti. Nel 2005 il Garante adotta un terzo provvedimento in materia di elenchi
telefonici, il provvedimento del 14 luglio 2005. Il motivo del diverso trattamento destinato agli
elenchi categorici è che essi raccolgono informazioni inerenti allo svolgimento dei attività
economiche, le quali rientrano tra quei dati relativi allo svolgimento di attività economiche, che ai
sensi dell’articolo 24 comma 1 possono essere trattati senza il consenso preventivo.
3.6.2.3 ANAGRAFE E STATO CIVILE
L’altro ambito in cui il Garante interviene alterando la possibilità di usare i dati ai fini di marketing
è quello dei registri dell’Anagrafe e dello Stato civile, tra cui rientrano anche le liste elettorali. Tutti
gli atti formatisi nel comune relativi a cittadinanza, nascita, matrimoni e morte sono rilasciati presso
gli uffici dell’Anagrafe e dello Stato civile. Che redigono quindi le banche dati contenenti le schede
degli individui, delle famiglie e delle convivenze, le quali contengono, a loro volta, anche una serie
di dati relativi alla professione, al titolo di studio e altro. Dati, quindi, tutti molto appetibili per gli
operatori di marketing. Il punto di partenza è la lettera c comma 1 dell’articolo 24 C.P. dove si
dispone che il consenso non sia richiesto quando il trattamento riguarda dati provenienti da pubblici
registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque. Ciò non instaura, però, uno stato di libero
accesso e libero uso dei dati contenuti in tali registri, poiché il loro trattamento deve avvenire nel
rispetto dei limiti e delle modalità che le leggi, i regolamenti o la normativa comunitaria
stabiliscono per la conoscibilità e pubblicità dei dati. Le norme che rilevano tra quelle esterne al
codice sono quelle contenute nel decreto legge n 223 del 1989, che prevedeva che i certificati di
residenza e distato civile possano essere comunicati a chiunque ne faccia richiesta, e che anche gli
altri dati possano essere comunicati a chi ne faccia richiesta, qualora non ostino gravi o particolari
esigenze di pubblico interesse. Diversamente, gli elenchi possono essere comunicati solo alla
Pubblica amministrazione per fini di pubblica utilità. Tra le norme interne al Codice della Privacy,
rileva oltre al già citato articolo 24 comma 1 lettera c, l’articolo 177, ovvero la disciplina
anagrafica, dello stato civile e delle liste elettorali, che prevede:
• Il comune possa utilizzare gli elenchi dello stato civile per esclusivo uso di pubblica utilità
• Il rilascio degli estratti degli atti dello stato civile sia consentito solo ai soggetti cui l’atto
riferisce, o a colui che dimostri di possedere un interesse personale e concreto a fini di tutela
di una situazione giuridicamente rilevante, oppure a chiunque decorsi settanta anni dalla
formazione dell’atto
• Le liste elettorali possano essere rilasciate in copia per finalità di applicazione della
disciplina in materia di elettorato attivo e passivo, di studio, di ricerca statistica, scientifica o
storica, o carattere socio-assistenziale o per il perseguimento di un interesse collettivo o
diffuso.
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Il Garante adotta il 6 ottobre 2005, il provvedimento finale “Il caso Laziomatica. Prescrizioni a tutti
i consumi sulla gestione delle anagrafi, con il quale detta le regole per l’accesso e l’uso dei dati
anagrafici dello Stato civile, che possono essere così riassunte:
a) I certificati concernenti la residenza e lo stato di famiglia possono essere rilasciati a
chiunque
b) Gli altri dati, tranne la professione e il titolo di studio, possono essere comunicati, qualora
non vi ostino gravi o particolari esigenze di pubblico interesse, dall’ufficiale di anagrafe,
d’ordine del sindaco
c) Gli elenchi degli iscritti nell’anagrafe della popolazione residente possono essere rilasciati
solo alle amministrazioni pubbliche che ne facciano motivata richiesta, per esclusivo uso di
pubblica utilità
d) I comuni possono usare gli elenchi per fini di comunicazione istituzionale, ma sempre su
motivata richiesta questa volta interna all’ente
e) I dati anagrafici resi anonimi e aggregati possono essere rilasciati ai privati per fini statistici
e di ricerca
f) Le liste elettorali possono essere rilasciate, in copia, solo per fini specifici, quali
l’applicazione della disciplina in materia di elettorato attivo e passivo, di studio, di ricerca
statistica, scientifica o storica, di carattere socio-assistenziale o per il perseguimento di un
interesse collettivo o diffuso.
3.6.2.4 LE CARTE FEDELTA’
Altro importante serbatoio di dati è rinvenibile tramite le operazioni di rilascio delle carte fedeltà,
che rappresentano gli strumenti con i quali si cerca di creare, un rapporto duraturo con la clientela
per acquisti e servizi nel settore della grande distribuzione. Infatti, in virtù del processo e dell’uso
della carta fedeltà i clienti/consumatori usufruiscono di alcuni vantaggi, in genere connessi al
volume di spesa, consistenti in prestazioni connesse, ad esmpio sconti per l’acquisto di prodotti,
premi o bonus, priorità, servizi accessori, facilitazioni nel pagamento. Pur essendo nato come
strumento della grande distribuzione, le carte o tessere fedeltà sono ora adottate in connessione alla
prestazione di servizi nei trasporti, nel credito, nella telefonia, nell’editoria, nel noleggio. La grande
diffusione di questo strumento sono i motivi che hanno indotto il legislatore a dettare regole precise.
Le operazioni aventi a oggetto le carte fedeltà si articolano, tendenzialmente, in una fase iniziale di
raccolta dei dati personali al fine del rilascio della carta e successivamente nelle numerose attività di
trattamento che possono essere effettuate sulla scorta dei dati raccolti tramite la registrazione degli
acquisti e dei consumi. Anche questo ambito è uno di quelli in cui, prima dell’intervento del
Garante, regnava la totale autonomia di coloro che rilasciavano le carte fedeltà nel decidere quali
dati farsi rilasciare e a che fini usare sia i dati personali e sia i dati raccolti tramite la registrazione
dei consumi dei titolari delle carte. Con il provvedimento del 24 febbraio 2005, il Garante individua
le specifiche finalità a cui sono destinate le carte fedeltà e impone che i dati raccolti e i trattamenti
effettuati siano diversi a seconda della funzione che l’operazione si prefigge di raggiungere.
Indipendentemente dalle finalità per le quali è realizzata l’operazione di rilascio delle carte, il primo
obbligo che incombe su tutti coloro che rilasciano carte fedeltà è quello di fornire l’informativa ai
sensi dell’articolo 13 del C.P, la quale non dovrà mai essere generale, ma specificare in materia
dettagliata i fini per i quali i dati sono conferiti e i trattamenti a cui essi verranno sottoposti.
Entrando nel dettaglio delle modalità operative dettate dal Garante, esse variano a seconda della
funzione o delle funzioni che l’operazione del rilascio della carta si prefigge di raggiungere. Se
l’operazione di rilascio delle carta fedeltà mira a fidelizzare i clienti tramite l’attribuzione di
vantaggi di diversa natura, le modalità operative che devono essere seguite, affinchè il trattamento
dei dati segua le norme di legge, prevedono:
• Che si richieda il conferimento dei soli dati necessari per l’attribuzione dei vantaggi
connessi alla carta, ovvero i dati identificativi del titolare della carta e i dati relativi al
25 volume di spesa globale realizzato nella misura in cui si sia dimostrato necessario
conservarli
• Che per i dati così conferiti non sia necessario il consenso preventivo dell’interessato al
trattamento dei medesimi poiché si rientra, ai sensi dell’articolo 24 comma 1 lettera b C.P.,
nell’ipotesi di dati necessari per eseguire obblighi derivanti da un contratto del quale è parte
l’interessato. Ciò nondimeno, il Garante sottolinea che proprio perché non è necessario il
consenso preventivo, costituisce comportamento illecito forzare i clienti all’adesione ai
programmi fedeltà
• Che i dati relativi ai vantaggi conseguiti non siano necessari se si persegue la sola finalità di
fidelizzazione, quindi, a meno che non sia dimostrato che la loro conservazione è necessaria
e finalizzata, essi devono essere cancellati.
Diversa è la disciplina prevista per le operazioni di rilascio di carte fedeltà che hanno lo scopo di
profilare la clientela, disciplina che varia ulteriormente a seconda delle modalità con cui è operata la
profilazione. Nell’ipotesi che la profilazione possa essere svolta disponendo dei dati in materia
anonima o non identificativa, il Garante vieta il trattamento di dati personali o identificativi. Nei
casi in cui invece sia necessario conservare dati personali o identificativi, si prescrive che tali dati
siano raccolti secondo il principio di pertinenza e non siano eccedenti rispetto alla tipologia dei beni
commercializzati o dei servizi resi. Se infine i dati vengono registrati in banche dati, si deve
rispettare il principio di proporzionalità, e comunque queste banche dati non devono essere
internconnesse con quelle utilizzate per la fidelizzazione in senso stretto, fermo il divieto di usare
dati sensibili relativi allo stato di salute e alla vita sessuale per fini di profilazione. Il terzo fine per il
quale si procede a operazioni di rilascio di carte fedeltà è quello di raccogliere i dati necessari per
l’invio di comunicazioni commerciali. Anche in tale ipotesi il Garante detta regole stringenti che
possono riassumersi nel divieto in linea con la normativa vigente e possono essere riassunte nel
rispetto:
a) Della massima trasparenza in merito agli usi dei dati conferiti e raccolti
b) Del consenso specifico per ciascun uso al quale i dati raccolti verranno adibiti, in particolare
se tra gli usi rientra quello dell’invio di comunicazioni commerciali.
3.6.3 LO SPAMMING TRA MARKETING DIRETTO E CYBERCRIME
Una particolare tipologia di invio di comunicazioni commerciali non sollecitate è quella che
avviene tramite le reti di comunicazione elettronica e che viene comunemente identificata come
spamming. Le reti di comunicazione elettronica costituiscono un nuovo canale per le operazioni di
marketing diretto, il quale tuttavia sottoposto a regole giuridiche ancora più rigide di quelle vigenti
per i canali tradizionali. Ma la rete internet non è usata solo per l’invio di comunicazioni
commerciali indesiderate, ma ha permesso anche il realizzarsi di una serie nuova di reati, i
cybercrimes. Ma tornando al caso specifico dell’invio di comunicazioni commerciali tramite le reti
di comunicazione elettronica, queste offrono anche un nuovo canale per operazioni di marketing
diretto qualora si segua la disciplina adottata dal legislatore, che nel caso di specie combina le
regole dettate in tema di data protection con quelle dettate per le reti di comunicazione elettronica.
Infatti, il primo provvedimento che è stato adottato in materia di spamming deriva proprio dal
recepimento della direttiva comunitaria 58/2002/CE sulla vita privata e le comunicazioni
elettroniche. Sicchè il Garante interveniva con il provvedimento 29 maggio 2003, specificando che
gli indirizzi di posta elettronica sono dati personali, per il trattamento dei quali deve essere ottenuto
il consenso preventivo e il cui trattamento deve sottostare alle norme di legge. Successivamente,
l’articolo 130 C.P. ha specificato le modalità operative che si devono porre in essere al fine di usare
lecitamente le reti di comunicazione elettronica nell’attività di marketing diretto. Innanzittutto,
viene ribadita la necessità di aver ottenuto il consenso, poiché l’uso di sistemi automatizzati di
chiamata senza l’intervento di un operatore per l’invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta
o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale è consentito con il
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