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Claire Denis e Michael Haneke, i registi dei due film hanno cercato il più possibile di
rifuggire da tutte le solite categorizzazioni dell’altro per cercare di mostrare le cose con uno
sguardo per lo più neutro. Ed entrambi i film nonostante siano cronologicamente molto
distanti conduco alla consapevolezza dell’inperscrutabilità effettiva dell’essere umano.
J’ai pas sommeil di Claire Denis parte nel rappresentare una serie di fatti di cronaca nera
- ovvero da una serie di omicidi avvenuti a Parigi nel 1987 in particolare nel diciottesimo
arrondissement su donne anziane a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro e che ebbero
come colpevole un giovane di origini antillane, omosessuale e sieropositivo. Ciò che rende
sconcertante il fatto è la mancanza di un movente logico e razionale e la totale
consapevolezza e indifferenza dell’assassino rispetto ai suoi atti. La regista tuttavia non è
stata tanto interessata a mostrare il fatto di cronaca in se stesso quanto più il contesto in cui
esso ha luogo. Il film poi si svolge seguendo diverse piste e mostrando vari personaggi dei
quali l’assassino non è che uno dei tanti, mostrando così la città di Parigi con un volto che
non è quello solito da cartolina che di solito si conosce ma caratterizzato da criminalità e
violenza e da luoghi-ghetto abitati da individui soli e alienati (per lo più immigrati africani e
slavi) che vivono un malessere personale e un senso di estraneità (il film affronta il tema
della questione coloniale e post coloniale particolarmente cari alla regista in quanto vissuti
in prima persona). Qui infatti il razzismo è sottile e invisibile perché avvolge ormai la
società e le istituzioni a livello strutturale. Proprio per questo il film può essere oggetto di
diverse interpretazioni.
C’è da dire poi che lo sguardo della macchina da presa è sempre distante e freddo rispetto ai
fatti mostrati, come se fosse un testimone asettico, andando così a costruire come un “terzo
spazio” (uno “spazio di mezzo”) una dimensione ibrida in cui l’altro rimane in una
situazione di ambiguità. Perciò viene messo in risalto il fatto che l’altro non può essere mai
adeguatamente e completamente compreso ma anche il fatto del diritto dell’altro a
mantenere la propria ambiguità e incomprensione o meglio la propria autonomia culturale.
Quindi la distanza che ci separa dall’altro rappresenta un confine che non deve essere mai
totalmente oltrepassato e che deve esistere proprio per garantire un rispetto delle differenze.
Per quanto riguarda in particolare il protagonista del film e quindi l’assassino, Camille è un
individuo che conduce una doppia vita: una nella quale è figlio amato e stimato dalla sua
famiglia e l’altra in cui ha abitudini notturne particolari (egli per lo più si esibisce in locali
notturni travestito da donna, quello che viene definito “drag”) ed è un serial killer. Perciò
anche il personaggio rappresentato è molto ambiguo e risulta essere alla fine
imperscrutabile.
Caché di Michael Haneke rispetto al film precedente è sotto diversi aspetti più complesso e
- oscuro in cui i fatti vengono rappresentati in modo evidente ma sono in realtà molto più
contraddittori e ambigui. In ogni caso comunque anche la narrazione non è poi così lineare
in quanto è costruita attraverso l’incrocio e lo sviluppo non cronologico di immagini del
passato (flashback e immagini relative all’inconscio del protagonista) e del presente. In
questo modo inoltre il film si espone a diverse interpretazioni, proprio perché scopo del
regista è quello di mostrare come spesso l’atto del guardare abbia a che fare con il proprio
vissuto rimosso.
Il film narra le vicende di una coppia borghese, Georges e Anne Laurent, che vivono a Parigi
la cui vita tranquilla viene improvvisamente scossa dall’arrivo di una serie di pacchi
anonimi contenenti disegni inquietanti e video di riprese esterne della loro abitazione alle
quali i due coniugi non riescono inizialmente ad attribuirne un responsabile. Solo pian piano
diventa chiaro che tutto ciò ha a che fare con il passato di Georges in particolare con la sua
infanzia. Per come è impostato il film potrebbe essere incluso in quello che è stato definito il
“trauma cinema” in netta opposizione a quei film che invece permettono subito
l’identificazione dei personaggi.
Comunque nel corso del film diviene chiaro che chi ha inviato quei pacchi è Majid, l’ex
fratello adottivo di Georges di origine algerina, prima accolto nella famiglia e poi rifiutato e
riportato in orfanotrofio. E tutto ciò crea in Georges un forte senso di colpa per aver
contribuito a far allontanare dalla famiglia il fratello adottivo. Freud in particolare descrive il
perturbante proprio come qualcosa che risale a un’esperienza che avrebbe dovuto rimanere
segreta e nascosta e invece riaffiora più o meno bruscamente; ogni affetto connesso con
un’emozione per Freud viene trasformato in angoscia qualora abbia luogo una rimozione e
più una rimozione è profonda più il perturbante che ne deriva ha una maggiore resistenza.
Dunque nel film la vicenda di Majid e Georges può essere vista come una metafora della
guerra d’Algeria.
Una scena del film spiazza totalmente lo spettatore: Georges si reca a casa di Majid in
quanto lo ritiene ormai responsabile di quello che gli sta accadendo e vuole avere da lui
delle spiegazioni, ma Majid non risponde e semplicemente prende dalla tasca un coltello e si
taglia la gola. Georges non ha reazioni eclatanti di fronte a questo, rimane pietrificato e
testimone attonito della vicenda. La punizione dell’ex fratello adottivo è dunque quella della
testimonianza oculare che è anche contemporaneamente la testimonianza indicibile di un
ricordo infantile e indirettamente del trauma storico della guerra d’Algeria (infatti il corpo
sgozzato di Majid sembra simboleggiare i centinaia di corpinanonimi uccisi e gettati nella
Senna nell’ottobre del 1961 dalle forze dell’ordine e dagli uomini dell’esercito francese
durante uno degli episodi più drammatici della guerra d’Algeria).
La figura di Majid sembra incarnare quell’immagine del “figurale” teorizzata da J.F.Lyotard
intesa come uno dei modi di oggettivazione dell’inconscio in una forma non verbale (una
concezione dell’inconscio prettamente freudiana) e come energia libidica che sfugge a ogni
tentativo di razionalizzazione. Infatti Majid non è altro che una figura che è stata rimossa, un
fantasma che riappare il cui ritorno segna una rottura dell’ordine che produce a sua volta un
eccesso impossibile da contenere.
Capitolo 4 : Il cinema e le ultime frontiere della biopolitica: La Blessure (2004); Le
silence de Lorna (2008); Welcome (2009)
Michel Foucault aveva ben delineato la netta distinzione che esiste fra quelle da lui definite
“utopie” ovvero spazi privi di un luogo reale e le “eterotopie” ovvero quei luoghi che si
trovano paradossalmente al di fuori di ogni luogo nonostante possano essere ben localizzati
geograficamente. Per lui esempi di eterotopie erano le cliniche psichiatriche, le case di
riposo, le prigioni o i cimiteri. Circa trent’anni dopo il sociologo francese Marc Augè
all’interno di uno studio dei luoghi della modernità usò gli esempi di Foucault per chiarire
ciò che egli intendeva per “non-luoghi” (ospedali, sale d’attesa degli aeroporti e delle
stazioni, alberghi, le banlieues delle città, fino ad arrivare ai campi dei rifugiati e alle
carceri). I non-luoghi dunque sono nella concezione del sociologo francese spazi accomunati
dall’anonimato, creati per accogliere o per controllare e sorvegliare ma comunque tutti con
un rigido controllo delle persone in entrata e in uscita. Questi non-luoghi caratterizzano
ormai tutte le grandi metropoli e sono degli spazi che si trovano ai confini, ai margini, che
non favoriscono l’integrazione fra le persone anzi accentuano le diversità negando
automaticamente alcuni diritti. Sono spazi in cui si consuma uno “stato di eccezione” che
può segnare l’ingresso ma anche l’espulsione di alcune persone.
La Blessure è proprio su questi non-luoghi che il film La Blessure (realizzato dal francese
- Nicolas Klotz nel 2004) è focalizzato. La ferita a cui il titolo fa riferimento è quella fisica
ma anche interiore della protagonista, Blandine, una donna africana che tenta di entrare in
Francai per ricongiungersi con il marito che sta chiedendo asilo, ma si scontra con un paese
che non l’accoglie anzi la esclude con violenza. La donna infatti viene presa come ostaggio
al suo arrivo all’aeroporto da parte delle forze dell’ordine insieme ad altri immigrati e solo
dopo un lungo periodo di detenzione verrà rilasciata anche se la vita che l’aspetta con il
marito non sarà migliore. Il film è girato principalmente nelle sale d’attesa dell’aeroporto
che può essere considerato appunto un non-luogo. Nel film viene mostrata una violenza
brutale e immotivata, dove il corpo appunto viene preso come oggetto privilegiato nei non-
luoghi per esprimere il rifiuto del diverso. Esso infatti è segno proprio di differenziazione.
Il film insieme ad altri due dello stesso regista quali Paria e La Question Humaine partecipa
a un progetto più ampio che è quello di una sorta di trilogia dedicata alla Francia e alle sue
scelte politiche e ai cambiamenti che la stanno attraversando.
Le Silence de Lorna e Welcome realizzati a un anno di distanza questi due film trattano le
- stesse tematiche seppur in due contesti diversi (il primo nel Belgio di oggi, l’altro nella
Francia del governo di Sarkozy). Le due opere inoltre hanno molti punti in comune e una
struttura narrativa chiara e lineare in cui vengono presentate le storie di due immigrati (un
personaggio femminile e uno maschile) che intraprendono un percorso che provocherà un
cambiamento profondo in loro stessi e nelle persone che gli sono accanto. Inoltre in
entrambi i film viene messa in scena la possibile e difficile costruzione di uno sguardo
nuovo nei confronti dell’altro che conduce a un riconoscimento reciproco.
Infatti come possiamo notare nei due film si verifica una vera metamorfosi della relazione
che si instaura tra persone di cultura diversa: in Welcome la relazione è quella fra un
insegnante di nuoto e un ragazzo straniero immigrato in Francia (dove all’inizio il ragazzo
va a rappresentare un ostacolo alla tranquillità della vita e del lavoro dell’insegnante,
nonostante poi quest’ultim