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II – DALL’AUTORE AL LETTORE
Nel Settecento il panorama culturale italiano era popolato da traduzioni romanzesche infedeli e
imprecise, con molti tagli e accomodamenti. Le traduzioni italiane provenivano spesso da quelle
francesi, già a loro volta rimaneggiate. Se dunque dall’estero i contenuti arrivano più o meno
chiaramente al pubblico italiano, non lo stesso si può dire per le parti autoriflessive. I paratesti
introduttivi assumono diversa denominazione: “Prefazione”, “L’Autore a chi legge”, “Avvertimento”,
“Proemio o “Discorso preliminare”. Paratesti significativi sono anche i “Lo stampatore a chi legge” e
diversi tipi di “avvisi” ai leggitori. Sono parti essenziali della strategia testuale. Il termine lettore nei
romanzi italiani compare spesso in forma singolare vocativa accompagnato dagli aggettivi mio,
cortese, amico. Altrettanto spesso il singolare presenta l’occorrenza in terza persona. Verso la fine
del secolo sembra aumentare sensibilmente la parsimonia dell’uso del lemma. E’ tuttavia il termine
leggitori (meno al singolare) ad apparire più frequentemente nei romanzi. L’impiego abbondante in
Chiari e Piazza, la sua assenza in Algarotti o Pindemonte, fanno ipotizzare che la scelta del
termine possa avere a che fare con una sfumatura volutamente eccentrica. In Italia è alla fine degli
anni Quaranta che inizia la produzione romanzesca di stampo “moderno”. Due romanzi significativi
appaiono negli anni Quaranta: si tratta del Congresso di Citera di Algarotti, del 1745, e dei Viaggi
di Enrico Wanton di Seriman, del 1749. Entrambi i testi sono rappresentativi di particolare
complessità e attenzione quanto al rapporto fra l’autore e il lettore. Le categorie dei Viaggi
risentono con particolare evidenza della contiguità cronologica dei romanzi inglesi che stavano
allora diffondendosi come modelli. La prima edizione dei Viaggi fu veneziana, anonima, in due
tomi; la seconda uscì aumentata di due tomi. Entrambe le edizioni dei Viaggi si offrivano al lettore
accompagnate da due paratesti introduttivi: una nota del traduttore e un L’Autore a chi legge. Nel
nuovo Avvertimento del nuovo traduttore, rispetto alla prima versione, muta il pretesto per la
traduzione: all’iniziale finzione del manoscritto dimenticato a Venezia da un mercante inglese, si
sovrappone la finzione del ritrovamento del testo già stampato e tradotto ma giudicato di cattiva
fattura e quindi rivisto del tutto. Compaiono in questo inizio quasi tutti i “protagonisti metanarrativi”:
lettore, lettori, leggitori, autore, traduttore, stampatore sono citati nell’apparato paratestuale. La
nota del traduttore del 1764 si apre con l’immagine di un autore incompreso (luogo ricorrente nelle
prefazioni); i lettori vengono accusati di sdegnarsi a torto contro l’autore. Ai topoi della
lamentazione e dell’attacco al lettore corrisponde un contatto piuttosto attento con “Il leggitore” e
marcato è anche l’intento didascalico. Il Congresso di Citera di Francesco Algarotti contò ben 15
edizioni italiane solo nel Settecento e una dozzina di traduzioni straniere. Il lavoro compiuto
sull’opera da Algarotti era spiccatamente stilistico, teso a perfezionarla in brevità e asciuttezza. La
definitiva edizione del Congresso sarebbe poi stata accresciuta di una parte finale detta Giudicio
d’amore, scritta attorno ai “difetti” dell’opera. L’accrescimento funge da postfazione e parziale
commento di questioni legate al romanzo. Per quanto riguarda Chiari, il contatto con il proprio
lettore è stretto. Chi racconta si affida per lo più a Memorie avventurose narrate in prima persona.
A partire dalla Filosofessa gli espedienti attraverso i quali l’autore si lega a chi legge sono
classificati da Clerici come: “l’ostentata moralità del narratore”, “la salvaguardia del decoro”, la
confessione, “pegno di sincerità” e garanzia di autenticità del racconto. A garanzia di sincerità sono
poste anche inesattezze, imperfezioni poi corrette, talvolta manchevolezze e pecche dei
personaggi, a saldare l’illusione di autenticità. Chiari mette in atto diverse strategie per avvicinare a
sé il lettore: le argomentazioni dei paratesti, le osservazioni metanarrative e i commenti rivelano un
autore implicito che pare appellarsi a un lettore medio. Ma il lettore medio di Chiari è pensato e
spesso citato come “Pubblico”, a partire dalla Filosofessa. Tale spostamento verso il pubblico è un
tratto onnipresente nei romanzi chiariani. Accade spesso, però, che il discorso narrativo diventa
preda delle ragioni editoriali; che le eroine si mettano a disquisire con fin troppo agio delle opinioni
del pubblico. Talvolta il pubblico è l’istanza stessa con cui dialoga la narratrice. Un altro romanzo
particolarmente ricco di impegno metanarrativo è La bella pellegrina, le cui memorie vengono
pubblicate mentre la stesura è in corso. Questo espediente permette la creazione di una cornice
“luogo deputato per i commenti d’autore, che spezzano la lettura continuata”. Può essere che tra i
limiti dei romanzi chiariani sia una scrittura in cui il ruolo del narratore è brutalmente egemonico,
tanto da non sollecitare per nulla il lettore alla collaborazione; ma anche la frustrazione autoriale
nella narrazione, il lasciare che gli argomenti della stampa e dell’editoria vengano a disturbare la
voce della narrazione. Inoltre il primato della comparsa, nei paratesti e nelle narrazioni, di un
“pubblico”, anziché un lettore singolo, profila una sorta di patto narrativo “collettivo” anziché
individuale. “La mia istoria” del veneziano Francesco Gritti è un’opera particolare, caratterizzata
da un’ironia dissacratrice le prassi autoriali, lettoriali ed editoriali relative al romanzo, che denuncia
l’impianto sovversivo della narrazione. La Prefazione anziché rinsaldare il patto con il lettore
esaltando la veridicità del racconto procede al contrario. L’Editore evidenzia la propria estraneità
rispetto alla storia proposta. La Prefazione viene a ironizzare su sé stessa, anzitutto con la propria
forma, di lunghezza insolita, un vero e proprio primo racconto svolto dall’editore. Il Pubblico è
un’istanza che compare ironizzata, ma l’intento continuo è quello di gioco con il lettore. Il Lettore è
il vero bersaglio e complice cui l’Autore si rivolge, un lettore colto in grado di capire gli
atteggiamenti autoriali e goderne. Antonio Piazza era seguace di Pietro Chiari e svolse la propria
attività tra il 1762, anno in cui esordì con L’Omicida irreprensibile. E’ la dedica, anzitutto, che
permette di valutare la distanza dalla dedica di Gritti. Vi si fa infatti cenno, come in Gritti, alla prassi
di dediche ipocrite o assurde, vi si cita il ruolo e la responsabilità di chi scrive, ma tali osservazioni
e cautele servono a dare maggiore credibilità alla nuova dedica dell’occasione, “Alla gentilissima
Signora Catterina Manzoni”. Ancora, seguendo la traccia della parodia del Gritti, ecco pullulare la
narrazione di citazioni contemporanee. La narrazione procede spesso senza alcuna figura
mediatrice, a differenza di come avviene in Chiari. Piazza pare nei propri romanzi particolarmente
controllato quanto alla cura esplicita del rapporto con il proprio lettore. Nonostante siano
abbondanti i richiami e gli appelli a chi legge, il contatto sorge in modo piuttosto convenzionale,
breve, senza preparazione precedente; e il lettore è per lo più plurale. In questa seconda
esperienza di romanzo italiano settecentesco sembra che in genere l’autore implicito si omologhi al
narratore, non creando alcuna figura intermedia, nessuno scarto. Il plot rimane di stampo
chiariano, preferendo però l’accentuazione di drammaticità e passione ai toni chiariani
dell’avventura. Piazza rispetto a Chiari semplifica intrecci troppo aggrovigliati, elimina le
introduzioni e le pagine pseudo-filosofiche. Forse una maggiore linearità può essere un dato
positivo. L’opera di Gasparo Gozzi, Il mondo morale. Conversazioni della Congrega de’ Pellegrini,
aveva mostrato di risentire dei veti e delle aperture incerte verso una piacevolezza della lettura
minacciata costantemente dagli obblighi morali e dalle proibizioni emotive. Nello strano impianto
del testo, che si presenta come il resoconto delle conversazioni (e delle letture) della “Congrega
de’ Pellegrini”, si susseguono considerazioni dei Pellegrini stessi e apologhi, allegorie, favole. La
commistione tra apologo e azione si mostra nella realtà del testo lontanissima da qualsiasi guizzo
romanzesco. Inoltre, l’attenzione al lettore è un tratto che spicca e anzi quasi determina alcune
fondamentali tonalità del testo. La didascalicità e schematicità dell’impianto sembrano voler aiutare
la comprensione del lettore. Ma ciò che pare interessante è, piuttosto, l’insistenza e la forza
dell’istanza di apertura verso chi legge. Abaritte. Storia verissima di Ippolito Pindemonte è
pubblicato in due edizioni successive nel 1790 e 1792. Lo stesso Pindemonte riteneva che l’opera
avesse caratteri di “romanzetto”. Il testo si apre con un Avvertimento esplicativo del racconto e
delle circostanze finzionali della vicenda. Vi si spiega che il romanzo è una “relazione” tratta da
alcune memorie ritrovate, le quali erano in altra lingua. L’appello al lettore dimostra d’essere
pretestuoso: il testo è in realtà monologico e indirizzato, semmai, ai soli lettori colti. Predomina
costantemente un carattere didascalico: e il lettore è messo in gioco o in nota, per prevenire
eventuali obiezioni di chi legge. Il lettore, già astratto nella prefazione, dimostra d’esserlo in tutta la
durata della vicenda. Avventure di Saffo di Alessandro Verri appare nel 1781 e reca una
Avvertenza del traduttore in cui si ripete la finzione del manoscritto ritrovato e tradotto da altra
lingua (in questo caso lingua classica, cioè il greco). Si tratta di una esperienza di racconto
rarefatta, nella quasi assoluta estraneità della storia, degli oggetti, degli schemi del presente.
“Romanzo archeologico” e considerato bastione preromantico. E’ una narrazione concentrata
meno sulla materia e gli argomenti che non sullo stile. Qui i lettori auspicati e auspicabili sono
quelli “all’italiana”: dove tale modalità è significativamente quella che ha al proprio centro un
interesse stilistico. Gli appelli verso chi legge sono ridotti al minimo. Le avventure di Saffo sono,
dunque, un limpidissi