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Riassunto esame Testi e questioni di letteratura italiana, Prof. Storini, libro consigliato Il romanzo italiano del tardo Seicento Pag. 1
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Abbandonano nei titoli e sottotitoli definizioni quali “historia”, “storia panegirica” o “curiosissima”,

“memorie”, “descrizioni” di guerre “dall’anno… all’anno…”. Si tratta di una vera e propria adesione

al vero storico. Il contrasto vero-falso, inoltre, sembra escluso dall’orizzonte codificatorio

elaborato da questi scrittori, e sostituito dal binomio verosimile-inverosimile. Va qui posta in rilievo

l’assidua manifestazione di un bisogno di attendibilità: è questa la poetica del manoscritto ritrovato

o tradotto, o del testimone oculare. Esiste, poi, un gruppo di opere difficilmente delimitabile a livello

contenutistico, sorta di storie vere ma vestite di digressioni favolose (le opere di Nicolò Corbelli).

Verosimiglianza-veridicità-storicità: sono i diversi gradi di un climax che percorre, anche se con

modalità diverse, le prefazioni ai romanzi di fine Seicento. La mancata percezione del rapporto

romanzo-storia in chiave contrastiva permette dunque agli scrittori di fine secolo una grande

ammirazione per il genere storico che va a vantaggio di quello romanzesco. La necessità di

legittimare quanto narrato e di attestarne la veridicità implica dunque un costante rinvio a fonti,

sacre o profane, o a misteriosi personaggi che avrebbero fornito notizie o manoscritti preziosi. La

compattezza del riferimento teorico dei romanzieri alla storia non esclude però un insistito rinvio al

concetto di meraviglia, la quale doveva essere suscitata nel lettore dalla novità di ingegnosi

accostamenti. Il “favoloso” non è l’unica fonte in grado di suscitare meraviglia nel lettore. Il

romanzo secentesco, quindi, percorre un cammino di notevole ampiezza; passa cioè da un

modello che si richiama al poema cavalleresco, alla manifestazione di una forte esigenza di

veridicità. Eppure la meraviglia è la meta auspicata anche dai romanzieri che si volgono alla

narrazione di avvenimenti storici. L’apparente contraddizione tra meraviglia e verosimiglianza è

dunque un elemento che caratterizza l’orizzonte artistico-letterario secentesco in parte già dagli

anni ’30 e ’40, quando vengono pubblicati romanzi tra l’agiografico e il religioso. A fine secolo

l’esigenza di verosimiglianza e di veridicità si manifesta invece con una determinazione ed un

vigore insospettabili. In questi anni sono ormai mutate le coordinate teoriche del romanzo, genere

dunque ormai più che avviato al riconoscimento della propria peculiarità ed autonomia. La

produzione dell’ultimo trentennio, quindi, risulta essere l’espressione di una marcata volontà di

distacco dal modello epico. A tali tendenze si unisce poi la forte spinta ad individuare nel legame

col più affermato genere storiografico una possibilità di nobilitazione teorica per il genere

romanzesco. Per quanto riguarda il destinatario di queste opere emergono due tendenze: 1) gli

scrittori si rivolgevano ad un pubblico medio-basso, popolare, che si dilettava nella lettura di opere,

come i romanzi, mal confezionate ma contenutisticamente avvincenti; 2) essi si rivolgevano ad un

pubblico aristocratico o, quanto meno, alto-borghese, che cercava nella lettura un’evasione

favolosa. La maggior parte dei casi è riconducibile alla seconda tendenza. Sin dagli esordi il

romanzo si era collegato infatti ad una tradizione “alta” come quella del poema eroico-

cavalleresco, tanto che anche la scelta della prosa rispetto al verso era considerata un’operazione

tesa ad innalzare le difficoltà insite nel genere. Si tratta dunque di opere che sfruttavano un

immaginario non estraneo alle classi sociali medio-basse, ma con modalità, stile, tecniche e

problematiche che le collocano ad un livello medio-alto della destinazione letteraria. Inoltre, il

riferimento ad avvenimenti della storia tanto antica quanto moderna, l’interesse per i suoi

meccanismi ed il tentativo di delineare attraverso il passato un quadro della società

contemporanea sono infatti indizi che lasciano supporre un pubblico socialmente elevato. Frugoni

è forse l’unico a pensare ad un pubblico femminile, che sarà invece il destinatario privilegiato dagli

autori settecenteschi. Tema fortemente correlato alla delineazione di un destinatario è quello

dell’acquiescenza ai gusti del pubblico; il problema è maggiormente avvertito dagli autori della

prima metà del secolo. I romanzieri si erano lamentati infatti dell’incontentabilità del pubblico e

dell’eccessiva varietà di gusti ai quali “accomodarsi”. Il genere romanzesco si trova precocemente

a contatto con una realtà di fruizione dell’opera letteraria che non è più quella, ristretta e protetta,

della cerchia di intenditori o cortigiani che aveva circondato lo scrittore sino al Cinquecento.

Nell’acquisizione e accettazione di tali condizioni il romanzo svolge dunque una funzione

“pionieristica”. A tal proposito, una vera valanga di annotazioni si riversa sull’apparato prefatorio dei

romanzi a fine secolo. Quasi tutti, ad esempio, fanno ricorso al topos delle scuse per gli errori di

stampa. Gli elogi della stampa sono invece per lo più contenuti, nei testi narrativi, all’interno di

quelle numerose digressioni dedicate all’illustrazione di scoperte e progressi della tecnica. Il

rapporto tra stampatore-scrittore è spesso ambiguo, spesso subito dal romanziere, che prova

talvolta a gestirlo con i mezzi ed il peso contrattuale a sua disposizione. Lo scrittore di romanzi si

trova dunque a doversi districare tra le richieste-pretese del pubblico e degli editori-stampatori,

senza avere ancora a disposizione una legislazione in grado di garantire la sua figura

professionale nel momento della pubblicazione dell’opera. Il romanzo del Seicento è, quindi,

caratterizzato da una forte tensione verso la problematizzazione del proprio statuto teorico. In

quegli stessi anno in Francia monsignor Pierre Daniel Huet andava prospettando una soluzione

del problema dell’origine e, soprattutto, della natura dei romanzi, definiti “Storie finte d’avventure

amorose, scritte in prosa con arte, per il piacere e l’istruzione dei lettori”. Si trattava, per lo

studioso, di prodotti “più semplici” dei poemi epici, “meno elevati, e meno ricchi di figure

nell’invenzione e nell’espressione”, al contrasto dei poemi, “veri in alcuni parti, e falsi nell’insieme”

(“sono falsità mescolate di alcune verità”, per i quali la verosimiglianza è essenziale”). Storia e

romanzo: il binomio, istituito alla fine del XVII secolo anche in Italia, non abbandonerà il romanzo

per i due secoli successivi. In seguito, negli anni Venti e Trenta, inizieranno ad affluire in Italia le

traduzioni dal francese, che stimoleranno la nascita di un gusto nuovo, quello che dal 1740 in poi

sarà all’origine dell’enorme successo della produzione di romanzieri quali Pietro Chiari e Antonio

Piazza. E’ plausibile individuare una linea di continuità tra i due periodi riguardo le problematiche

affrontate in sede teorica. In particolare, all’insistenza tardo-secentesca sul rapporto con la storia,

all’esaltazione dell’autenticità e della verosimiglianza fanno da pendant le polemiche che, a partire

dalla metà del secolo successivo, susciteranno gli interventi, tra gli altri, di Pietro Chiari e Antonio

Costantini proprio sullo stesso argomento. Verosimiglianza e legame con la storia manterranno

insomma la loro centralità nei successivi dibattiti sul genere, trovando una grande opportunità di

realizzazione artistica nei Promessi sposi. Mancano, inoltre, durante tutto il secolo trattati

specificatamente dedicati al romanzo. Niente insomma che possa pur lontanamente avvicinarsi al

Traité sur l’origine des romans (1670) di Huet. Si tratta di interventi che non vedono di buon

occhio l’enorme attenzione del pubblico per le letture romanzesche, e che ancora più fermamente

rifiutano di prendere in considerazione una legittimazione teorica di questi componimenti. E

quando, piuttosto raramente, i trattatisti cercano di evidenziarne qualche aspetto positivo, finiscono

spesso per rivendicare una loro presunta utilità morale ed educativa. La condanna dei romanzi

moderni è pronunciata da Antonio Abati, il quale non condivide l’eccessiva lunghezza e

complessità della produzione narrativa antica, ma rifiuta parimenti lo stile conciso dei moderni. Le

spezzature dello stile, l’arditezza di paragoni, metafore e accostamenti, l’immoralità di alcune

descrizioni e l’inverosimiglianza dell’ordito narrativo concorrono, secondo Abati, a rendere tali

componimenti illeggibili e improponibili, soprattutto ad un pubblico colto. Gli interventi che

esprimono un parere parzialmente positivo su tali componimenti si concentrano nella seconda

metà del secolo. Nel 1655 Emanuele Tesauro concede ai romanzi una breve nota nel

Cannocchiale aristotelico. L’approccio di Tesauro al romanzo è di tipo tecnico-retorico, volto ad

identificare i più significativi esempi di utilizzo delle metafore, più che a cercare di delineare una

graduatoria tra i generi. Giovan Battista De Luca si limita a consigliare la lettura di quei soli

romanzi che non contengano la narrazione di amori disonesti, e comunque sempre alla presenza

di un maestro che interpreti ciò che viene letto. Emerge, in sostanza, tutta l’episodicità

dell’interesse per il genere romanzesco, o meglio il disinteresse verso la delineazione di un suo

profilo a tutto tondo, ostacolo dovuto alla sua problematica collocazione nell’alveo della normativa

letteraria tradizionale. Il romanzo è per lo più rifiutato per le sue caratteristiche tipologiche, per la

sua ambiguità di genere misto. Il romanzo sembra dunque dover pagare il prezzo della propria

eccessiva popolarità e del fatto di aver soppiantato la lettura degli antichi poemi. Ma il dibattito non

riesce ad imporsi; manca cioè quella fitta rete di rimandi, risposte e attacchi più o meno diretti che

costituisce una querelle. Gli interventi teorici più interessanti sembrano quelli di Tesauro e Abati. Il

primo ha un vivo interesse retorico per il genere romanzesco. Il secondo è l’unico ad accennare

alla moda, diffusa “ne’ fogli de’ Letterati”, di citare avvenimenti storici tratti da fonti ritenute

autorevoli dall’opinione comune.

III – MODELLI, TEMATICHE, GENERI E SUB-GENERI

Intento primario dei romanzieri è quello di “riscattare l’umiltà della materia romanzesca

tradizionale”: la storia diviene allora spunto da sviluppare, strumento di elevazio

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A.A. 2014-2015
5 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giovyviv94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Testi e questioni di letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Storini Monica Cristina.