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LA MECCANICA, SCIENZA REGINA
La meccanica prima di Newton
1- GALILEO E CARTESIO
Negli studi di meccanica di Galileo e di Cartesio, la meccanica è sostanzialmente ridotta a cinematica,
essendo escluso il concetto di forza esterna ad un corpo. La cinematica, infatti, è quel ramo della fisica
che si occupa di descrivere quantitativamente il moto dei corpi, senza porsi il problema di prevedere il
moto futuro a partire da grandezze note, mentre la dinamica studia le forze che provocano il
movimento.
In particolare, Galileo parla di “forza della percossa”, intendendo con ciò la proprietà che risiede in un
corpo in movimento, dovuta alla sua velocità. Cartesio da parte sua ammette come unica interazione tra
corpi l’urto, e, quando parla di “forza”, anche lui non la intende come agente esterno al corpo ma come
proprietà che il corpo possiede in quanto è in movimento.
2- TORRICELLI
Torricelli, allievo di Galileo, fu il primo ad applicare una serie di considerazioni dinamiche alla
cinematica. Egli, in particolare, per spiegare che cosa conferisce a un corpo in caduta la capacità di
spezzare ad esempio un tavolo che lo sopporta perfettamente quando esso è fermo, assimila la gravità
del corpo a una fontana, sorgente continua di impulso che, istante dopo istante, durante la caduta,
conferisce al corpo una velocità crescente, quindi una “forza”.
Torricelli considera dunque la gravità come una forza esterna al corpo, che produce il suo movimento
di caduta accelerato, e riconosce che vi deve essere proporzionalità tra forza e accelerazione.
Egli enunciò così in termini generali il secondo principio della dinamica:
F (uniforme) • ∆t = ∆m (quantità di moto) • v
3- HUYGENS
L’olandese Huygens, riguardo l’urto, afferma che in un sistema di due o più corpi che si urtano, il
centro di gravità del sistema si muove sempre di moto rettilineo uniforme.
Nella trattazione delle leggi dell’urto compiuta nel De motu corporum ex percussione, Huygens si mantiene
entro un ambito cinematico senza far intervenire la nozione di forza esterna ad un corpo.
La forza è sempre una proprietà del moto, espressa da: 2
m (quantità di moto) • v
Huygens si accorse tuttavia che, prendendo come misura della forza la quantità di moto e
considerandola come una quantità scalare, cioè indipendente dalla direzione della velocità, non vale in
generale il principio di conservazione della quantità di moto su cui Cartesio aveva edificato la propria
meccanica. Egli notò però che nell’urto di corpi perfettamente duri esiste un’altra quantità che rimane
costante, ed è la somma dei prodotti delle masse dei corpi per le loro rispettive velocità elevate al
quadrato.
Oltre a risolvere il problema degli urti, Huygens affrontò anche la questione del moto circolare. Già
Cartesio aveva evidenziato la tendenza dei corpi durante il moto circolare a sfuggire verso l’esterno.
Huygens coniò per questa tendenza il nome di “forza centrifuga”.
Contrariamente a quanto aveva fatto trattando degli urti, nello studio del moto circolare Huygens non
esita a impiegare il concetto di forza agente su un corpo, in quanto ritiene che la forza centrifuga sia
analoga al peso statico: così come attaccando un peso a una corda noi sentiamo il peso tendere verso il
basso, allo stesso modo ruotando una fionda sentiamo la corda tendere verso l’esterno. Huygens non
considera la forza centrifuga come una forza che agisce sul corpo, ma come una tendenza che il corpo
possiede in una determinata situazione.
L’analisi geometrica del moto circolare condusse Huygens a determinare un’espressione quantitativa per
la forza centrifuga: 2
F = mv /r
Huygens ottenne anche altri brillanti risultati meccanici, come il calcolo del periodo del pendolo
cicloidale, che gli consentì di progettare il primo orologio di precisione del mondo occidentale.
4- LEIBNIZ
L’allievo più brillante di Huygens fu il tedesco Leibniz. Come già aveva fatto il maestro, Leibniz portò
lo scompiglio nelle file dei cartesiani. Nel 1686 egli pubblicò la Brevis demonstratio erroris memorabilis
Cartesii, nella quale sosteneva la tesi che la quantità di moto non può essere considerata la misura della
forza posseduta da un corpo in movimento.
Leibniz chiama le forze statiche “forze morte”, che sono l’inizio o la fine di una tendenza al moto; e
“forze vive” le forze dei corpi in movimento.
Per evidenziare questa nuova meccanica incentrata sul concetto di forza, Leibniz coniò il termine di
“dinamica”: la forza viva leibniziana corrisponde alla moderna “energia cinetica”; essa non è una forza
esterna al corpo che agisce su di esso, ma una proprietà che il corpo possiede in quanto è in
movimento.
Al di là delle parole, Leibniz rimaneva molto vicino al concetto di forza cartesiano. La decisa rottura di
questa tradizione avvenne con Newton.
La meccanica di Newton
Con la sua opera Newton riuscì a comporre una sintesi di due tradizioni scientifiche che erano
compresenti ma non armonizzate nel Seicento: da una parte la tradizione che cercava nella scienza
l’espressione esatta matematizzata nei fenomeni, che aveva in Keplero e Galileo i suoi esponenti più
prestigiosi, e dall’altra parte la corrente cartesiana con alle spalle l’aristotelismo, che ricercava
spiegazioni sistematiche dei fenomeni. Per conseguire questo risultato di enorme valore, Newton
dovette arricchire del meccanicismo tanto la filosofia della natura, quanto il linguaggio matematico,
elaborando il calcolo infinitesimale.
- L’idea di etere
Nella prima parte della sua attività Newton espose una filosofia della natura basata sul concetto di etere
composto da particelle minuscole e priva del concetto di forza.
Le spiegazioni eteree non soddisfacevano Newton che le lasciò cadere per giungere alla prima edizione
latina dell’Opticks del 1706 con spiegazioni fondate su forze attrattive e repulsive agenti tra corpi a
distanza, e non solo tra corpi macroscopici ma anche tra ipotetiche particelle che compongono tali
corpi. Per Newton le forze sono la fonte di attività del mondo, sono “principi attivi” la cui causa diretta
è Dio; esse sono la manifestazione dell’intervento della divinità nella natura. La più celebre delle forze a
distanza è naturalmente la forza gravitazionale, forza attrattiva che Newton pose a fondamento della
propria fisica astronomica, la quale agisce tra qualsiasi coppia di corpi. L’introduzione di forze agenti a
distanza veniva ad aggiungere alla meccanica una modalità di interazione tra i corpi ovviamente
differente dall’urto.
- Il moto circolare
Negli anni sessanta Newton studiò il moto circolare, partendo dall’ipotesi che il corpo in moto urtasse
un numero n di corpi identici che lo obbligavano a deviare costantemente dal proprio moto rettilineo
inerziale, costringendolo a muoversi lungo un poligono che, per n che diventa infinito, si approssima a
un cerchio. L’analisi del moto gli permise di trovare un’espressione per la forza centrifuga agente sulla
Luna per effetto del suo moto rotatorio attorno alla Terra equivalente a quella di Huygens, ma che
questi non aveva ancora pubblicato.
Supposte le orbite planetarie circolari, Newton ricavò facilmente che le forze centrifughe agenti sui
pianeti sono inversamente proporzionali al quadrato delle loro distanze dal Sole. Questo risultato aveva
un’importanza enorme, in quanto significava che un’unica forza attrattiva, posta nel Sole, di intensità
decrescente con il quadrato delle distanze, era sufficiente a mantenere i pianeti nelle loro orbite
circolari, controbilanciando le varie forze centrifughe. Anche la Luna, come i pianeti, poteva
approssimativamente venire mantenuta nella propria orbita circolare da una forza attrattiva decrescente
con il quadrato della distanza, questa volta incentrata sulla Terra.
- Che cosa fa muovere i pianeti lungo le loro orbite?
Nel 1666 il napoletano Borelli, nelle Theoricae mediceorum planetarum, avanzò l’idea che i pianeti siano
mossi da una forza che nasce dal Sole, effetto di raggi luminosi. Un anno dopo anche l’inglese Hooke
presentò alcune ipotesi per la spiegazione del “sistema del mondo”, la prima delle quali sosteneva che
tutti i corpi celesti possiedono un’attrazione, o potere gravitazionale, grazie alla quale attraggono tutte le
loro parti e tutti gli altri corpi che sono presenti nella loro sfera d’azione. Si trattava della prima
enunciazione della gravitazione universale, ma Hooke non fu mai in grado di elaborare
matematicamente questa idea. Anche lui comunque, come Newton ed altri cultori precedenti, vide con
chiarezza che nello studio del moto circolare assume grande importanza la forza attrattiva diretta verso
il centro, che controbilancia la forza centrifuga.
Newton riuscì a dimostrare che quando un corpo ruota seguendo un’orbita ellittica intorno ad un
centro di attrazione situato in un fuoco, la forza di attrazione deve variare inversamente al quadrato
della distanza dal fuoco. Nel 1684 l’inglese Halley gli pose l’annoso problema circa l’orbita che avrebbe
percorso un corpo soggetto a una forza attrattiva variabile. Newton rispose che l’orbita sarebbe stata
ellittica, ma non riuscì a ritrovare i calcoli. Promise così ad Halley una nuova dimostrazione e mantenne
la promessa in un intero trattato sul moto, pubblicato nel 1687 con il titolo Philosophiae naturalis principia
mathematica, il libro più importante della storia della scienza.
Esso è diviso in tre libri:
I- è uno scritto di meccanica che tratta dell’applicazione delle leggi del moto ai punti materiali,
particolarmente a quelli che ruotano intorno a centri attrattivi. Per designare la forza attrattiva, viene
introdotto il termine di “forza centripeta”. Qui la meccanica seicentesca è elevata al suo massimo livello
di perfezione, in quanto fondata appunto sulle tre leggi del moto: la prima legge è il principio d’inerzia
derivante da Galileo e da Cartesio; la seconda legge segna l’ingresso in meccanica del concetto di forza
esterna ad un corpo, del quale vengono distinti massa e peso; la terza legge è il principio di azione e
reazione proprio di Newton.
II- si occupa di corpi che sono in moto in mezzo a fluidi resistenti e dei movimenti di questi stessi
fluidi. L’obiettivo principale di questo secondo libro è l’analisi dei vortici cartesiani: Newton dimostra
che nessun sistema planetario mosso da un vortice può muoversi e che un vortice non può mantenersi
in moto autonomamente m