Riassunto esame Storia della lingua italiana, prof Venier, libro consigliato Manuale di linguistica italiana
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Anche la Chiesa cattolica dà un impulso notevole all’italiano. Dopo il Concilio di Trento del 1545-63, si diffonde
capillarmente la pratica del catechismo, che si fonda su brevi compendi delle verità di fede e di morale scritti in una
lingua piana per lo più in forma dialogica e spesso mandati a memoria. Oggi la Chiesa cattolica assegna di fatto una
posizione di prestigio non solo al latino, ma anche all’italiano.
La conoscenza del latino è un requisito preferenziale e spesso indispensabile per l’accesso alla carriera ecclesiastica.
Nei media vaticani l’italiano conserva una posizione preminente rispetto alle altre lingue.
FORMAZIONE E DIFFUSIONE DELL’ITALIANO
Linguistica interna ed esterna
La linguistica interna studia l’evoluzione di una lingua dal punto di vista delle sue strutture, senza tener conto delle
circostanze storiche e culturali che hanno condizionato il suo sviluppo (fenomeni della fonetica, della morfologia e della
sintassi).
La linguistica esterna si occupa dei fattori “esterni” che agiscono sulla lingua condizionandone lo sviluppo. I fattori esterni
sono di tre tipi:
1. Fattori extraculturali, come la configurazione geografica e le trasformazioni del territorio, influiscono in misura
limitata sull’evoluzione linguistica
2. Fattori culturali in senso lato, come i fenomeni economici e demografi o gli eventi storico-politici e militari,
influiscono sull’evoluzione linguistica in maniera più evidente
3. Fattori culturali in senso stretto sono quelli che incidono più direttamente e più in profondità sulla lingua, come
l’alfabetismo e la scolarizzazione, l’invenzione della stampa, la codificazione grammaticale, l’influsso dei modelli
letterari e paraletterari.
Il policentrismo medievale
Dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente 746d.C. fino all’unita d’Italia 1861, al nostra penisola è stata caratterizzata
da una straordinaria frammentazione politica, particolarmente evidente in epoca medievale con la nascita della civiltà
comunale. nel Medioevo l’evoluzione del altino non ha prodotto una sola lingua parlata ovunque allo stesso modo, bensì
una straordinaria varietà di lingue. La lenta riunificazione di questo plurilinguismo in un’unica lingua è stato un lungo
processo culturale.
Il primo volgare parlato in Italia era il siciliano illustre adottato dalla “Scuola Poetica Siciliana”, sorta nel XIII secolo per
impulso di Federico II di Svevia, re di Sicilia dal 1198 e imperatore del Sacro romani impero dal 1220. La scuola siciliana
comprendeva rimatori proveniente da varie regioni d’Italia; quasi tutti però erano funzionari della corte di Federico.
Questo siciliano è stato poi però tramandato in una veste fonetica fortemente toscanizzata. La lingua della scuola
poetica siciliana ha lasciato molte tracce nell’italiano letterario.
Nell’area mediana la nascita di movimenti religiosi e di confraternite laicali diede grande impulso alla produzione di una
letteratura religiosa composta in un volgare mediano, cioè dell’Italia centrale, per molti aspetti diverso dal toscano.
L’ascesa del ceto mercantile e le cancellerie
Nel corso del Medioevo una nuova classe sociale: i mercanti, che per esigenze professionali usavano scrivere in
volgare. Durante la sua formazione, il mercante impara l’aritmetica, la ragioneria e acquisisce l’abilità grafica che gli
permette di scrivere: in queste scuole di tipo pratico, la lingua d’insegnamento è il volgare; in tutte le altre scuole rimane
il latino.
I mercanti devono saper tenere in ordine i registri contabili, rilasciare le ricevute dei pagamenti, compilare assegni e
lettere di cambio, tutte attività che richiedono i ricordo alla scrittura. Testi del genere, insieme alle pratiche di mercatura,
costituiscono una preziosa testimonianza delle abilità linguistiche e delle abitudini scrittorie dei mercanti, oltre che
dell’aspetto fonologico dei volgari allora in uso nella nostra penisola.
Nell’attività di scrittura del mercante, un posto importante è occupato dalle lettere, che gli permettono di comunicare con
le filiali della sua azienda dislocate in varie parti d’Italia, in Europa e nel Mediterraneo. Dato che i mercanti e i banchieri
più potenti e intraprendenti erano all’epoca quelli toscani, le loro lettere costituiscono anche la prima occasione di
contatto con la lingua toscana e fiorentina. Dalle lettere dei mercanti toscani e dei loro corrispondenti emerge lo sforzo di
depurare la propria lingua dei tratti più legati all’uso locale, nel tentativo di facilitare la reciproca comprensione, tutt’altro
che scontata.
La specificità dei diversi volgari usati dai mercanti emerge con chiarezza invece negli scritti non dettati da necessità
professionali come i libri di famiglia: libri di ricordo in cui i capifamiglia, di generazione in generazione, annotano nascite,
morti, matrimoni e altri avvenimenti e alle cui pagine affidano talvolta l’espressione dei propri sentimenti, magari
accompagnata d qualche reminiscenza letteraria.
Nel 300, con il passaggio dai comuni alle signorie, ogni stato regionale si dota di una cancelleria che gestisce la
corrispondenza, scrive atti pubblici, leggi., statuti e patti di varia natura. È la necessità di legarsi in contatto con le
cancellerie delle altre corti italiane a stimolare la ricerca di una soluzione linguistica di conguaglio. I cancellieri che
dovevano scrivere messaggi comprensibili oltre i confini della corte di appartenenza scrivevano in latino e in toscano. Il
latino fornisce forme cristallizzate familiari a ogni pubblico funzionario e un lessico giuridico e burocratico. Inoltre il
ricorso al latino garantisce ai testi cancellereschi una certa omogeneità sul piano della grafia. Spia dell’affermazione del
volgare toscano come modello di prestigio è la comparsa di forme dittongate e anafonetiche, che però convivono con gli
esiti locali: in una lettera scritta da un funzionario meridionale possono così alternarsi uomo e omo, lingua e lengua.
Nel corso del 400 le corti sono anche centri di promozione culturale e artistica, in cui viene incoraggiata a produzione
letteraria in volgare. Al Nord come al Sud, nasce una letteratura di corte scritta in lingua cortigiana, che si può
considerare l’applicazione in un campo letterario delle coinè regionali. Hanno però una vita breve.
Alle soglie del 500 comincia a fissarsi un rigido canone letterario quello delle Tre Corone, Dante, Petrarca e Boccaccio,
che consacra il toscano trecentesco come modello linguistico vincente.
La formazione della lingua letteraria
Il toscano conquista una posizione di prestigio soprattutto perché la produzione letteraria toscana può contare su autori e
opere percepiti da subito come modelli.
Dante, nel De vulgari eloquentia discute per la prima volta dell’esigenza di una lingua comune, sia pure su base
esclusivamente letterarie e fondata principalmente sul linguaggio poetico. È la prima trattazione organica riguardante il
volgare, ma è scritto in latino perché si rivolge alla comunità dei letterati.
Il merito principale di Dante è quello di aver saputo cogliere le potenzialità del volgare, una lingua ancora giovane al
tempo in cui scriveva il suo poema maggiore, e di averlo plasmato fino a farne uno strumento linguistico versatile, adatto
alla trattazione degli argomenti più disparati.
Questa ricchezza di stili, pluristilismo, si accompagna, nelle terzine de capolavoro dantesco, a una grande varietà di
soluzioni linguistiche, plurilinguismo.
Anche se la Commedia è saldamente fiorentina, si possono rintracciare prestiti provenienti dalla letteratura francese e
provenzale, latinismi, forme della poesia siciliana e voci toscane ma non fiorentine.
Petrarca nel Canzoniere si serve di una lingua selezionatissima, elegante e rarefatta e si mantiene quasi costantemente
su un unico registro stilistico, elevato e antirealistico. Il lessico si compone di poche parole chiave simboliche ed
evocative, mentre vengono evitati vocaboli concreti o legati all’uso quotidiano. Fa soprattutto da filtro del linguaggio
poetico precedente, riducendo i tratti non toscani e limitando fortemente la quota di forme derivanti dal francese e dal
provenzale.
Il modello stilistico e linguistico di riferimento per i poeti non toscani e innesca in Italia e in Europa un vasto processo
d’imitazione.
Boccaccio nel Decameron mette a punto un impasto linguistico che coincide essenzialmente con il fiorentino parlato
dalle persone colte. Questo parlato letterario in volgare ben si presta a rappresentare l’universo della borghesia
mercantile, il ceto dal quale proviene lo stesso Boccaccio.
La codificazione grammaticale
Il 500 viene ricordato come il secolo della questione della lingua. L’Italia si presentava politicamente e linguisticamente
frammentata ma possedeva una tradizione letteraria condivisa; le forme di coinè nate in ambito cancelleresco e sfruttate
anche dai poeti delle corti italiane offrivano un primo esempio di lingua sovraregionale; a nascita della stampa sollecitava
la ricerca di una lingua comprensibile in tutta la penisola, per assicurarne la massima diffusione ai libri in volgare. Per
tutte queste regioni esplode un dibattito su quale debba essere la lingua comune in Italia.
Diverse teorie.
- La tesi sull’uso del latino come unica lingua letteraria possibile ha ancora molto seguito, ma si avvia verso il
declino.
- La teoria che vede nella lingua cortigiana lo strumento più adatto a superare la frammentazione linguistica
dell’Italia.
- La posizione, definita italiana o italianista, del letterato Gian Giorgio Trissino che sostiene che Dante e Petrarca
avevano scritto non in fiorentino o in toscano ma in italiano.
- La risposta dei fiorentinisti è l’affermazione della naturale superiorità del fiorentino vivo, unico adatto a farsi
lingua letteraria della penisola; questa è la posizione di Niccolò Macchiavelli.
- La tesi classicista che Pietro Bembo espone nel 1525 nel dialogo Prose della volgar lingua trasferisce dal
latino al volgare il principio di autorità. Per il volgare bisognava imitare Petrarca in poesia e Boccaccio in prosa.
La proposta bembiana risulta quasi subito vincente, perché guarda a modelli certi e già affermati e offre un
modello grammaticale e stilistico molto preciso.
Nella seconda metà del 500 due letterati fiorentini introducono alcune correzioni alle idee di Bembo. Benedetto Varchi
rivaluta il fiorentino parlato dalle persone colte come necessario complemento ai modelli indicati dalla proposta
bembiana; Leonardo Salviati estende il canone degli autori da imitare a tutti i testi fiorentini del 300, inclusi quelli pratici
non letterari.
L’idea del 300 come secolo d’oro della lingua promossa da Salviati trova un’applicazione nel Vocabolario degli
Accademici della Crusca; l’impianto selettivo e arcaizzante del vocabolario suscita da subito molte polemiche, ma l’opera
s’impone comunque come strumento linguistico indispensabile per i letterati non toscani e contribuisce ad accrescere il
divario tra lingua scrittta e lingua parlata.
Fattori di unificazione
Nel corso del 500 l’italiano letterario acquista fisonomia unitaria grazie alla diffusione delle teorie bembiane e alla loro
applicazione nella nascente industria libraria.
PERO’ il 75% della popolazione italiana è analfabeta e il 902% parla solo dialetti. COMUNQUE tra 500 e 800 si possono
individuare alcuni fattori che contribuiscono alla formazione di un modello comune anche per l’italiano parlato. I principali
sono:
- La Chiesa intuisce bene presto che la predicazione e il catechismo devono avvenire in una lingua che i fedeli
possano comprendere. La natura popolare e per lo più incolta del pubblico e il carattere itinerante della
predicazione sollecitano un dibattito linguistico che porta all’adozione di un linguaggio chiaro e semplice. Una
lingua che si presenta inizialmente come una sorta di volgare sovra regionale e poi come un italiano di registro
alto o medio-alto. La Chiesa ha avuto una parte importante nel processo di italianizzazione anche sul piano
della lingua scritta, sia per l’azione nelle scuole parrocchiali e dei collegi religiosi, sia per la diffusione di una
letteratura di largo consumo.
- Invenzione della stampa . Il fenomeno della letteratura di consuno esplode però tra la fine del 700 e inizio 800,
con l’affermazione del romanzo.
- La necessità di soddisfare la domanda crescente di un così vasto pubblico è all’origine di un tratto comune a
tutti i romanzi che fanno registrare alte tirature è la serietà. Serietà, ricorso a metafore, locuzioni, espressioni
formulari, vengono ripetuti stereotipi come la rappresentazione dell’amore come fuoco o come guerra .
- Anche l’autore di teatro si rivolge a un pubblico sempre diverso e avverte l’esigenza di esprimersi in una lingua
il più possibile comune e condivisa. Nel 600 la Commedia dell’Arte ricorre alla caratterizzazione idiomatica di
personaggi convenzionali mediante l’uso delle maschere. È con Carlo Goldoni che si passa al parlato teatrale.
- La lingua del melodramma, genere nato a fine 600, tocca i suoi vertici nell’800, soprattutto con il successo delle
opere verdiane, diffuse anche presso un pubblico medio-basso grazie alle esibizioni, fuori dai teatri lirici, di cori
o complessi bandistici e di strumentisti come suonatori di organetto e fisarmonica. Questa tendenza a una
lingua aulica e arcaizzante appartiene principalmente al melodramma serio, perché quello comico procede su
un binario distinto e parallelo, anche per quanto riguarda le scelte lessicali.
L’unità d’Italia
Con la Proclamazione del Regno d’Italia 1861 e le successioni annessioni di Veneto e Friuli 1966, Roma, Trieste ,
Gorizia e Trentino-Alto Adige, l’Italia raggiunse il traguardo dell’unificazione politica. Resta ancor lontana però
l’unificazioni linguistica. L’italiano letterario che si è fissato e diffuso a partire dalla seconda metà del 500 è un patrimonio
condiviso da una ristretta cerchia di intellettuali: la gran parte della popolazione parla unicamente il proprio dialetto ed è
per lo più analfabeta.
I fattori che hanno contribuito all’unificazione linguistica:
- La creazione di apparato amministrativo e burocratico unitario : all’interno dell’apparato statele bisogna
utilizzare una lingua comune. Il linguaggio burocratico ha un’impronta fortemente aulica e viene percepito come
una varietà linguistica di prestigio da parte dei cittadini.
- L’istituzione della leva obbligatoria nazionale : le giovani reclute di estrazione popolare, abituate a parlare solo
il proprio dialetto, prestano il loro servizio militare lontano dai luoghi di residenza e per comunicare tra di loro e
con gli ufficiali devono necessariamente attuare le forme dialettali più marcate; rimangono comunque presenti
dialettismi.
- L’urbanizzazione , ovvero l’afflusso di persone che dai piccoli paesi e dalle aree agricole di trasferiscono nelle
grandi città: la convivenza di persone abituate a parlare dialetti diversi in centri urbani in cui si concentrano uffici
pubblici e scuole ha determinato un indebolimento delle parlate dialettali , anche del dialetto delle città in cui si
è riversata l’ondata migratoria.
- L’ industrializzazion e, che riguarda prevalentemente l’Italia nordoccidentale e attrae nuova forza lavoro da altre
aree del paese.
- L’azione della scuola che porta progressivamente alla riduzione del tasso di analfabetismo e diffonde un
modello linguistico diverso dal dialetto e dall’italiano regionale:
nel 1868, il ministro per la Pubblica istruzione Emilio Broglio nomina una commissione, preseduta da
Alessandro Manzoni, perché elabori proposte utili per la questione della lingua nazionale. Manzoni presenta la
sua proposta in cui espone gli aspetti principali:
o Ruolo della scuola: i maestri elementari avrebbero dovuto essere di preferenza toscana o comunque
formati anche mediante soggiorni di studio in Toscana.
L’istruzione elementare è ancora gestita dai comuni e raggiunge una minima percentuale della popolazione
italiana e i maestri non sono ancora in grado di proporre agli studenti un modello linguistico unico e alternativo
al dialetto. Solo con la Legge Casati,e stesa al territorio nazionale, e l’emanazione della Legge Coppino inizia a
formarsi il sistema scolastico nazionale e viene introdotto il principio dell’obbligatorietà dell’istruzione
elementare.
Si riduce progressivamente l’analfabetismo e la scolarizzazione procede più rapidamente al Nord, al
Centro e in altre città; più lenta nelle regioni meridionali e nelle zone rurali.
Manzoni dà un importante contributo nell’apprendimento della lingua italiana sui banchi di scuola grazie al
successo de I Promessi Sposi, che diventa un caposaldo nella formazione della coscienza nazionale, anche di
quella linguistica. Importanti anche libri per l’infanzia come Pinocchio di Carlo Collodi e Cuore di Edmundo De
Amicis, che si affiancano ai testi scolastici veri e propri nell’orientare l’insegnamento della lingua italiana. Le tre
opere riflettono una lingua piuttosto colloquiale che si avvicina, sia pure ai modi diversi, al toscano dell’uso vivo
e può essere proposta come modello omogeneo nell’insegnamento scolastico postunitario.
I maestri delle scuole elementari e medie tendono a sanzionare non solo le forme effettivamente dialettali, ma
anche molti elementi lessicali e sintattici tipici della lingua parlata.
- L’emigrazione interna e esterna . Le migrazioni interne verso le aree più progredite del paese contribuiscono a
un indebolimento dei dialetti e innescano un meccanismo di promozione sociale; inoltre tra 1871-1951 circa 7
milioni di italiani lasciano l’Italia per trasferirsi all’estero. Gli emigranti non abbandonano il dialetto per l’italiano,
neppure in terra straniera, e nell0’arco di due o tre generazioni perdono il contatto linguistico con la terra
d’origine.
Le emigrazioni agiscono soprattutto sulle condizioni linguistiche dell’Italia:
o Riduzione del numero degli analfabeti presenti in Italia, infatti a lasciare la madrepatria sono
soprattutto le fasce più povere dei ceti rurali del Sud.
o Scontrandosi con le difficoltà del rimanere in contatto con i famigliari in Italia, molti emigranti prendono
coscienza dell ‘istruzione. Spesso tornano sui banchi di scuola adulti che hanno dimenticato le nozioni
imparate da bambini.
È molto recente il fenomeno di immigrazione di lavoratori stranieri, soprattutto dell’Europa dell’Est, africani e
asiatici. Le diverse lingue di partenza degli immigrati non sembrano per ora in grado di influire sull’italiano
d’Italia; l’arrivo di questi nuovi cittadini pone però problemi linguistici di tipo diverso, legati alla necessità di
apprendere l’italiano, condizione indispensabile per una piena integrazione nella società.
- La nascita di nuovi mezzi di comunicazione capaci di raggiungere un pubblico molto vasto : il giornalismo
diventa un fenomeno di massa soltanto dopo l’unita d’Italia. Alla fine dell’800, le innovazioni in campo
industriale e tipografico rendono possibili alte tirature e la distribuzione capillare nelle edicole, proprio mentre
aumenta il numero delle persone in gradi di leggere; nascono in questo periodo “La Stampa” e il “Corriere della
Sera”.
La radio, il cinema e la televisione agiscono sulla diffusione dell’italiano molto più dei giornalisti, perché sono in
grado di raggiungere anche la popolazione analfabeta: questi mezzi di comunicazione siano stati di fatto la
prima scuola di lingua.
o Il cinema : dalla sua nascita nel 1930 fino all’avvento del neorealismo, si serve di una lingua lontana
dall’uso reale e prossima invece al parlato teatrale: una lingua aulica, con rare aperture al dialetto
urbano.
La lingua realmente parlata in Italia irrompe sul grande schermo solo con l stagione del cinema realista
di Rossellini e De Sica. Nelle commedie degli anni successivi trova invece spazio una dialettalità
esasperata e stereotipata, che contribuisce a diffondere nel pubblico la consapevolezza della distanza
tra l’incomprensibilità e delle parlate locali e la dimensione nazionale dell’italiano.
o La radio nel secondo dopoguerra viene ascoltata quotidianamente da oltre l’80% della popolazione
sopra i 12anni. La lingua che la radio contribuisce a diffondere è molto standardizzata, vicina
all’italiano letterario e lontana dalla spontaneità del parlato, perché i testi sono scritti per essere letti; a
partire dagli anni 70, con il moltiplicarsi delle emittenti private, i testi trasmessi cominciano a
presentare una notevole varietà tipologica e le trasmissioni si aprono al dialogo con il pubblico, che
può telefonare in diretta inviare e-mail e SMS che vengono letti dallo speaker. Queste trasformazioni
hanno determinato un progressivo avvicinamento del linguaggio radiofonico all’italiano parlato.
o La televisione , entrata nelle case degli italiani nel 1945, diventa ben presto più popolare non solo della
radio ma anche del cinema. Molti italiani seguono le prime trasmissioni televisive riunendosi nei bar,
nei cinema, o nelle case dei pochi che potevano permettersi l’acquisto del televisore.
o Anche la pubblicità si può considerare un mezzo di comunicazione di massa, forse il più invasivo. La
ricaduta linguistica della comunicazione pubblicitaria è però circoscritta alla diffusione dei “tormentoni”,
dato che la pubblicità si limita a rispecchiare tendenze già in atto nell’italiano parlato.
o Fenomeno della musica leggera. La canzonetta melodica nata dal melodramma all’inizio del secolo
scorso, dopo essere stata usata come strumento di propaganda durante il regime fascista, diventa un
fenomeno di massa a partire dal 1951, con l’istituzione del Festival di Sanremo. La radio e poi la
televisione fanno da cassa di risonanza a canzoni caratterizzate inizialmente da testi semplici e
facilmente memorizzabili.
ITALIANO E DIALETTI
La frammentazione linguistica della penisola
Fin dall’antichità la discontinuità geografica ha favorito una frammentazione etnica e linguistica paragonabile, in tutto il
domino indoeuropeo, solo a quella dell’India. Le etnie conservavano ognuna la propria lingua. Il colonialismo romani non
si preoccupò di latinizzare i popoli soggetti, limitandosi a imporre il proprio apparato giuridico e amministrativo.
L’ordinamento augusteo non super le antiche suddivisioni etno-linguistiche; la decadenza dell’Impero accentuò i
particolarismi. L’insediamento dei Longobardi produsse la frattura della penisola in quattro settori: due longobardi e due
bizantini; questa frattura ha perpetuato l’originaria frammentazione linguistica, tanto che ancora oggi gli studiosi in Italia
individuano tre principali aree dialettali: l’area settentrionale, l’area toscana e mediana e l’area meridionale.
Il sostrato indica la situazione linguistica di interferenza in sui si trova una popolazione alla quale viene imposta una nuova lingua. Il
sostrato è la persistenza della lingua originaria.
Dai volgari ai dialetti
Distinzione tra dialetto e lingua: il dialetto è in realtà una lingua: infatti alla base dell’italiano c’è un dialetto, il fiorentino,
elevato poi a una lingua nazionale. La differenza consiste nella più limitata diffusione del dialetto rispetto alla lingua e
nella sua minore importanza politica, spesso collegata a un minore prestigio sociolinguistico.
Nel Medioevo, la nozione di dialetto non è distinguibile da quella di volgare. La mappa dei volgari abbozzata da Dante
nel De vulgari eloquentia rappresenta il contrasto tra la molteplicità delle parlate italiane e la fissità del latino: da una
parte la naturalità priva di regole, dall’altra l’artificialità del latino. Al tempo di Dante si riteneva che il latino fosse una
lingua artificiale, creata dai dotti. Nel De vulgari eloquentia, il latino è descritto come una lingua di secondo grado
rispetto alla quale i vari volgari sono lingue di primo grado, apprese naturalmente imitando la nutrice.
A partire dal 500, quando il fiorentino letterario muta tutte le altre parlate in dialetti, appare per la prima volta il temine
dialetto, sia pure in riferimento alle lingue dell’antica Grecia.
A fine 600, inizio 700 si prende coscienza della differenza tra dialetto e italiano.
L’affermazione del fiorentino
Bembo nel 1525 propone di fondare una lingua scritta sul fiorentino letterario del 300; una lingua pensata per le
esigenze della comunicazione scritta, e in effetti usata per secoli quasi soltanto nello scritto: solo da pochi che sapevano
scrivere, i quali però, parlando usavano più spesso la loro parlata locale.
L’uso riflesso del latino
Uso riflesso: qualsiasi uso non spontaneo del dialetto e in particolare la sua trasposizione a fini d’arte.
La definizione di questo tipo di produzione letteratura si deve a Benedetto Croce, che nel suo saggio La letteratura
dialettale riflessa, collocala nascita del fenomeno nel 17 sec. In realtà opere scritte consapevolmente in dialetto
compaiono già nei primi secoli della nostra letteratura. I più antichi esempi possono essere ricondotti a un uso riflesso
del dialetto sono i cosiddetti “testi in improperium”, caratterizzati dalla parodia della parlata altrui.
In seguito, all’uso del dialetto si accompagnerà un intento più chiaramente polemico, di rivalda da aprte del mondo
contadino emarginato nei confronti delle città. Nel tempo, le ragioni ideologiche dell’uso del dialetto possono divergere
notevolmente: nel 700 e 800, per esempio, il romanesco è stato il veicolo di protesta dei reazionari antigiacobini e
antipiemontesi; alla metà del 900, è stato il mezzo di presentazione del sottoproletariato giovanile delle borgate.
Nel cinema, l’uso del dialetto viene introdotto dapprima sotto l’influsso delle sceneggiate napoletane, poi con la grande
stagione del neorealismo. Dagli anni 60, il dialetto viene usato soprattutto in funzione comica della “commedia
all’italiana”: il più usato è il romanesco con gli attori Aldo Fabrizi e Alberto Sordi.
La competenza linguistica: è il grado di padronanza che un parlante potenzialmente possiede di una lingua. Una competenza attiva,
capacità di un parlante di produrre atti linguistici appropriati in una data lingua, e una competenza passiva, capacità del parlante di
comprendere gli atti linguistici prodotti da un interlocutore in una data lingua. Questa nozioni possono essere inutilmente estese anche
all’ambito della scrittura: si avrà competenza attiva quando si è in grado di scrivere nella propria lingua o lingua straniera; competenza
passiva quando si è soltanto in grado di capire quel che si legge.
Chi parla il dialetto oggi?
Al momento dell’unità d’Italia, la gran parte della popolazione parlava e capiva soltanto il dialetto. Ala base della scarsa
diffusione dell’italiano c’era l’analfabetismo, e funzionava male la principale arma che avrebbe potuto sconfiggerlo: la
scuola. Il tasso di scolarità elementare rimase a lungo molto basso, anche perché i ragazzi erano spesso impiegati come
manodopera nell’agricoltura e nell’industria. Dalla metà del 900 la situazione è cambiata rapidamente, anche grazie
all’avvento della televisione che ha svolto un ruolo fondamentale nel diffondere un modello comune di italiano parlato.
Oggi sono pochissimi gli italiani esclusiva mete dialettofoni, cioè che usano solo o prevalentemente il dialetto anche
parlando con estranei.
La competenza dialettale è tuttora largamente diffusa in Italia, almeno nei rapporti confidenziali, famiglia e amici, seppure
in alcune regioni più che in altre: al Nord, in Valle d’Aosta, in Veneto e in Friuli; al Sud, in Sicilia, Calabria e Lucania. In
Toscana e a Roma è praticamente nulla, dato che si parlano varietà regionali dell’italiano.
Il dialetto nella narrativa: con funzioni diverse:
- Dialetto per dispetto: mescolato al linguaggio giovanile, come trasgressione della norma scolastica
- Dialetto per difetto: per connotare personaggi negativi o per segnalare una condizione di inferiorità o
ineguatezza
- Dialetto per idioletto: come lingua d’autore in grado di raccontare un mondo a parte
- Dialetto per diletto: come molla della comicità
Il dialetto nella poesia ha una funzione diversa. Nel secondo 900, la poesia neodialettale trovava ne dialetto una lingua
incontaminata e capace di produrre un distacco dalla quotidianità. Dalla fine degli anni 80 i dialetti diventano inadatti a
soddisfare quest’esigenza di alterità rispetto alla lingua comune.
Il dialetto nella musica: sempre dagli anni 80 si verifica nella canzone italiana un recupero del dialetto che va ben oltre
l’intento nostalgico-folcloristico (Fabrizio De Andrè e Pino Daniele). Dagli anni 90, il dialetto comincia ad assumere una
connotazione ideologica e questo accade soprattutto nei generi musicali meno legati alla tradizione melodica, come il
rap e il reggae.
Bilinguismo: la compresenza, nel repertorio di un parlante o di una comunità, di due codici linguistici diversi ma di apri dignità. Una
lingua nazionale e un dialetto, con elevato prestigio sociolinguistico; una lingua tradizionale illustre e una lingua naturale; o due lingue
nazionali.
Diglossia: quando a due codici vengono assegnati ruoli e ambiti d’uso differenziati a seconda delle situazioni comunicative e delle
variabili di afasiche. La diglossia più tipica è quella tra dialetto e italiano, in cui il dialetto può essere usato in famiglia o con gli abitanti
del proprio paese, mentre all’italiano si ricorre i contesti ufficiali o con parlanti di un'altra provenienza.
I dialetti d’Italia: il Settentrione
Isoglossa: l’insieme dei punti di un area che presentano lo stesso fenomeno linguistico. L’area linguistica racchiude in
genere diversi fasci di isoglosse; per stabilire l’esistenza di una linea d demarcazione fra due aree linguistiche, bisogna
tener conto di tutte le isoglosse relative ai principali fenomeni riguardo ai quali le aree si comportano in modo diverso.
I dialetti settentrionali, eccezion fatta per quelli veneti, appartengono all’area gallo-italica. Avendo subito in vario modo
l’influsso del sostrato celtico, presentano caratteri di fondo comuni, anche se i singoli esiti possono divergere da dialetto
a dialetto.
Metafonesi: consiste nel mutamento di timbro della vocale tonica di una parola per influsso della vocale della sillaba finale. Il fenomeno
è largamente diffuso nei dialetti italiani, ma è estraneo al toscano.
I dialetti d’Italia: il Centro e la Toscana
L’area mediana, delimitata al Nord dalla linea La Spezia-Rimini e a sud dalla linea Roma-Ancona, comprende i territori
laziali a Suedest del Tevere, i territori umbri a Est del Tevere, l’aquilano e le Marche centrali. I dialetti dell’area mediana
condividono alcuni tartti con i dialetti meridionali: le assimilazioni –ND->-nm- e –MB->-mm-, riconducibili al sostrato
italico.
I dialetti mediani sono caratterizzati soprattutto da tre fenomeni rilevati:
- La metafonesi e in la metafonesi sabina
- La conservazione della distinzione latina tra –O e –U finali
- Il neoneutro in –o, che è alla base di opposizioni del tipo lo fèrro e lu fèrru.
Quattro aree: l’area fiorentina, l’area toscano occidentale (Pisa, Lucca, Pistoia), l’area senese, l’area aretino-chianaiola
(Arezzo, Cortona); con fenomeni comuni:
- L’assenza della metafonesi
- Il dittonga mento di Ĕ e Ŏ toniche in sillaba libera
- La riduzione di –RJ- a –j-
- Il passaggio a costrittive delle affricate palatali sorde e sonore: la tipica pronuncia toscana di parole come ceci e
pigioni
- La “gorgia”
Gorgia toscana: alterazione delle occlusive sorde intervocaliche, che può portare alla spirantizzazione, all’aspirazione o alla
scomparsa. Viene riconosciuto il sostrato etrusco, data la presenza in quel dialetto italico di tre suoni che corrispondono
perfettamente ai suoni aspirati dalla lingua greca antica rappresentati dalle lettere khi, phi e theta.
Notevoli sono le differenze tra i vari dialetti.
I dialetti d’Italia: il Mezzogiorno
I dialetti meridionali si dividono in alto-meridionali e meridionali estremi. L’area alto-meridionale comprende le Merche
meridionali, gran parte del Lazio meridionale, l’Abruzzo, con esclusione dell’Aquilano, il Molise, la Campania, la Puglia
fino alla linea Taranto-Brindisi, che esclude il Salento, la Lucania, parte della Calabria. Fenomeni:
- La metafonesi e il dittonga mento metafonetico
- L’indebolimento delle vocali finali, che possono confluire in un’unica vocale evanescente detta “schwa”, oppure
cadere del tutto
- La spirantizzazione di B anche in posizioni iniziali
- Le assimilazioni progressive –ND->-nn-
- L’evoluzione DJ, J, GE, GJ > j
- Il pronome soggetto di 3° persona deriva dal latino IPSUM, accusativo di IPSE
Ai dialetti meridionali estremi appartengono le parlate del Salento, della Calabria meridionale e della Sicilia. Questi
dialetti si distinguono:
- Per il sistema vocalico di tipo siciliano, in cui spiccano l’esito i da Ī, Ĭ e Ē e l’esito u da Ū, Ŭ e Ō
- Per la conservazione delle covali finali
- Per la pronuncia cacuminale di –dd-
- Per la pronuncia fricativa alveolare di –r-, -str- e –tr-.
Dal dialetto all’italiano regionale
Tra l’italiano e dialetto non ci sono confini netti, bensì un condizionamento reciproco: la loro coesistenza rappresenta un
continuum all’interno del repertorio linguistico della nostra continuità.
Le principali varietà di italiano regionale sono: l’italiano settentrionale, l’italiano centrale, l’italiano meridionale e
meridionale estremo, l’italiano di Sardegna.
Spesso l’italiano regionale è il punto di arrivo di un processo attraverso il quale una parlata locale egemone si è via via
avvicinata all’italiano, perdendo i contrassegni più particolari; nel caso dell’italiano regionale romani, la parlata di Roma si
è diffusa anche oltre i confini regionali, grazie al suo radicamento nella pubblica amministrazione e nelle trasmissioni
radio televisive.
Le varietà regionali dell’italiano presentano tratti caratteristici che derivano soprattutto dal contatto con i dialetti locali.
L’ipercorrettismo: consiste in una correzione a sproposito spontaneamente messa in atto da parlanti con una insufficiente competenza
linguistica.
Il metaplasmo: consiste nel passaggio di una parlata a una classe morfologica diversa da quella originaria. Un fenomeno piuttosto
frequente ance nel passaggio dal latino all’italiano. Si può avere metaplasmo di genere, di declinazione o di coniugazione.
Parole dialettali passate in italiano
Il patrimonio lessicale dell’italiano, come quello di qualsiasi lingua naturale, è in costante espansione. La gran parte dei
nuovi vocaboli nasce attraverso meccanismi di formazione e composizione delle parole; molte sono le parole importate
da lingue straniere. Da sempre un apporto notevole è venuto dai vari dialetti. Un calcolo fatto recentemente da Pietro
Trifone sulla base delle indicazione dei Grande dizionario italiano dell’uso ha mostrato che degli oltre diecimila lemmi di
origine dialettale, più della metà è entrato in italiano dopo l’Unità. Esiste in italiano un folto gruppo di espressioni e di
vivaci locuzioni idiomatiche o proverbiali la cui origine dialettale non è più riconoscibile: far ridere i polli, essere una mezza
e
calzetta, fare un quarantotto, essere nato con la camicia, mandare a quel paese, lasciar perdere, sputare l’osso, cose da pazzi nel
. Dalla gastronomia: ,… in
contempo tortellini, tagliatelle, cotechino, zampone, pastasciutta, barolo, fontina, fettuccine, caciotta
ambito burocratico-amministrativo: ,… vocaboli
questore, questura, scartoffia, secondino, anagrafe, catasto, buonuscita, demanio
di matrice militare: ,… in ambito della natura: , … per arti e mestieri:
pelandrone, cicchetto, battere la fiacca brughiera, slavina
,… al mondo dell’illegalità: ,…
mezzadro, cinematografo bagarino, bustarella, malavita, camorra, mafia, pizzo, omertà
SCRITTO E PARLATO
Lingua scritta e lingua parlata
Nello scritto il destinatario può essere anche molto lontano nel tempo e nello spazio, e di soltio conosce soltanto la
redazione finale: il processo di composizione rimane di norma invisibile al lettore. Lo scritto è consultabile partendo da
qualunque punto del testo.
Il parlato è strettamente legato al qui e ora della situazione comunicativa, elaborato e recepito in tempo reale, si sviluppa
nell’interazione con gli altri e ciò rende possibile il feedback: ovvero da parte dell’emittente, il controllo immediato della
recezione e sulla comprensione di quanto viene detto; da parte del destinatario, la possibilità di manifestare
comprensione , accordo o disaccordo nei riguardi di chi sta parlando. Il parlato inoltre ha uno svolgimento lineare: non è
possibile riascoltare dei brani, tornare indietro o andare oltre come invece può avvenire nello scritto; se non attraverso
una registrazione.
Nell’architettura di un testo, la coesione è la qualità che fa riferimento alle suo connessioni sintattiche e morfologiche,
comunque formali; la coerenza è la qualità che riguarda i legami logici e semantici, comunque sostanziali.
Esistono diverse tipologie di parlato:
• Parlato spontaneo , o in situazione, quello di una conversazione tra amici
• Parlato non spontaneo , ma programmato in precedenza; come il parlato-letto o il parlato-recitato, o dialogo
teatrale, che non è imprevedibile, perché gli attori si attengono a un copione e si scambiano messaggi fittizi,
rivolti solo appartenente a chi è sul palco, ma indirizzati in realtà al pubblico.
Parlato monologico, come una lezione universitaria, una conferenza o un discorso pubblico
Parlato dialogico , parlato della conversazione, di un’interrogazione scolastica, di un interrogatorio giudiziario, di
un’intervista, ma anche quello di una lezione in cui sia previsto l’intervento attivo degli allievi
Parlato in presenza degli interlocutori
Parlato in assenza degli interlocutori , come il parlato telefonico
Esistono anche forme ibride, come l’annuncio letto da un annunciatore radiofonico e la trascrizione fonetica di un
discorso, che rappresentano il grado massimo di reversibilità dal codice grafico al codice fonico e viceversa.
Due punti di vista diversi
Il testo scritto è abitualmente diviso in capitoli, paragrafi e capoversi e al suo interno i confini tra le frasi sono ben
delimitati dalla punteggiatura; la sintassi è serrata e precisa; il lessico tende a evitare ripetizioni inutili.
Nel parlato troviamo esitazioni, cambiamenti repentini del soggetto della frase “false partenze”, ridondanze e una
pianificazione della frase a breve gittata, che deriva dalla progettazione in tempo reale. Il parlato sopperisce alla
mancanza di una rigida coesione testuale e sintattica, avvalendosi di mezzi non-linguistici:
- La prossemica è il codice che utilizza in funzione comunicativa lo spazio tra gli interlocutori, ovvero la distanza
che il parlante pone tra se e l’interlocutore e gli spostamenti con cui accompagna il proprio discorso.
- La gestualità comprende la mimica e l’insieme dei gesti, dei momenti de corpo. Tramite un gesto possiamo dare
un senso molto diverso alla frase che pronunciamo. La gestualità è soggetta a forti variazioni culturali e
antropologiche: in alcune società la gestualità è molto marcata, in altre, come in Giappone, è quasi assente.
- L’utilizzo di pause, non solo quelle vuote, ma anche quelle piene di segnali fatici come mhm, ehm,… Le pause
possono segnalare tutta una serie di stati emotivi come imbarazzo, sorpresa, disagio, esitazione.
- I tratti soprasegmentati, ovvero le caratteristiche prosodiche del parlato:
o L’intensità
o Il ritmo
o L’intonazione, che è fondamentale, tramite essa non solo diamo un senso interrogativo, affermativo,
esclamativo o ingiuntivo alle frasi che pronunciamo, ma possiamo anche enfatizzare elementi della
nostra frase.
- La deitticità, o indessicalità, ovvero il legame di ogni enunciato con il contesto extralinguistico. Sono deittici tutti
gli elementi che permettono di realizzare questo legame, come gesti offensivi, elementi linguistici.
Se i deittici rimandano al contesto linguistico si dicono coesivi, come i pronomi personali.
La grammatica del parlato
Il parlato è dominato dalla deitticità. Una parte importante è la presupposizione, con cui si allude a conoscenze date per
condivise. Chi parla dà massimo rilievo a ciò che ritiene importante, con l’aiuto dell’intonazione o della sintassi, che è
messo in risalto il focus d’interesse della frase, il che può dar luogo a strutture sintattiche irregolari.
Tipici del parlato sono i segnali discorsivi: formule di attenuazione, formule di esitazione, formule di esemplificazione,
formule di riformulazione della frase, formule di controllo dell’avvenuta ricezione o comprensione e demarcativi.
Nel parlato accade spesso che le parole non siano utilizzate nel loro significato letterale, quello del vocabolario, ma
secondo la funzione che assumono nel discorso. Un ristretto numero di parole e di locuzioni viene riciclato per svariate
funzioni del discorso.
Gli atti linguistici
Ogni enunciato costituisce anche un atto linguistico. Perché una comunicazione abbia luogo, l’interlocutore deve allora
possedere una competenza pragmatica, ovvero la capacità di comprendere l’effetto degli enunciati linguistici sul contesto
comunicativo, effetto basato sostanzialmente su convenzioni comunicative, cioè regole implicite e variabili da cultura a
cultura. Anche regole non scritte, impongono di non fare richieste in maniera troppo diretta e categorica. Se vogliamo
chiudere la finestra in una sala d’aspetto, ci rivolgeremo alle persone con un’espressione attenuata.
Grazie alla competenza pragmatica possiamo quindi decodificare l’atto linguistico e rispondere correttamente.
La conversazione
Due o più interlocutori che si alternano liberamente nel discorso.
Perché la conversazione abbia successo gli interlocutori devono per prima cosa cooperare, osservando alcune regole di
logica e di pertinenza che sono state individuate dal filosofo inglese Herbert Paul Grice. Secondo Grice, le massime
conversazionali sono quattro: di qualità, di cercare di fornire un contributo vero; di quantità, di non essere reticenti né
ridondanti nell’informazione fornita; di relazione, essere pertinenti rispetto all’argomento della conversazione; di modo,
evitare oscurità e ambiguità.
Nel parlato di tutti i giorni, le massime conversazionali di Grice vengono frequentemente violate, oltraggiate. Viene
introdotta allora la nozione di implicatura conversazionale: se le massime vengono violate, e pensiamo che l’interlocutore
voglia ugualmente collaborare alla conversazione, ipotizziamo che lo abbia fatto in maniera deliberata, per comunicarci
in quel modo qualcosa. Le massime possono quindi anche essere violate, ma rimangono immanenti alla comunicazione:
se non ci fosse la regola, non potremmo neanche avvertirne la violazione.
Esistono regole di tipo pragmatico anche per l’alternanza dei turni conversazionali: se così non fosse, le sovrapposizioni
dei turni sarebbero molto più frequenti di quanto non accada. I locutori riescono a capire quando l’altro sta per terminare
il suo turno e quindi può inserirsi nella conversazione, è il punto di rilevanza transazionale (PTR), che in genere è
contrassegnato da un abbassamento del tono di voce, dalla fine di un argomento di conversazione o da particolari
indicatori lessicali. Quando una persona interviene nella conversazione senza rispettare il PTR, l’intervento può essere
percepito come inopportuno ed è censurato dalle regole dell’educazione; ciò può avvenire con l’innalzamento della voce,
con cenni della mano di attendere, facendo valere il proprio prestigio economico, sociale, intellettuale, o di anzianità.
I locutori per avviare, far procedere o chiudere la conversazione si sereno spesso di strutture fisse, le sequenze
complementari, che sono realizzate dagli interlocutori in due turni: a una domanda seguirà una risposta; a un saluto, un
saluto; a un’interpellazione, una risposta; alle scuse, una minimizzazione, ecc.
I registri del parlato
Il parlato si articola in una gamma di registri dominata da tre parametri: diafasia, diastratia e diatopia.
- Rispetto alla situazione comunicativa, diafasia ovvero il complesso delle variazioni del sistema di una lingua
dipendenti dal contesto situazionale in cui avviene la comunicazione , il parlato può essere formale o informale.
L’italiano informale o colloquiale può nutrirsi di apporti lessicali ed espressivi del soggiacente dialetto e quindi
riuscire, di fatto, simile all’italiano regionale, specialmente alla pronuncia.
- Il parametro della diastratia, ovvero la differenza legata ai diversi strati sociali, oggi sembra operare in maniera
trasversale. È decisivo il livello di cultura del parlante.
- Il parametro della diatopia, variabilità dovuta alla provenienza o alla collocazione geografica dei parlanti con
tratti linguistici locali o regionali, emerge con forza non appena si verifica un abbassamento degli altri due livelli.
Il parlato contemporaneo: suoni e forme
I suoni è il settore nel quale le abitudini linguistiche di tipo regionale mostrano una maggiore tenuta. È facile verificare
come proprio dalla pronuncia, oltre che dalla prosodia(la calata caratteristica di ogni regione), sia possibile indovinare
l’area di provenienza di un parlante.
L’ortoepia, il modo di pronunciare l’italiano, va considerata norma tassativa solo da chi fa della lingua parlata un uso
professionale, attori, doppiatori, speaker radiotelevisivi, in linea teorica anche esponenti politici. La PRONUNCIA
CORRETTA dell’italiano è quella che corrisponde al modello tradizionale del fiorentino colto emendato dai tratti
vernacolari.
Nella percezione collettiva dei parlanti, ormai da qualche decennio, gode infatti di un certo prestigio la pronuncia
settentrionale dell’italiano. Declinante appare invece il modello romano, sempre più accostato a uno stereotipo
cinematografico e televisivo di matrice comica incarnato dalla metà del 900 da attori e personaggi dello spettacolo come
Alberto Sordi, Carlo Verdone, Claudio Amendola.
Nel campo delle forme grammaticali è in atto nell’italiano contemporaneo una forte tendenza alla semplificazione; alcuni
settori della grammatica italiana sono regolati da norme; nel parlato si profilano alcune tendenze di semplificazione e
razionalizzazione del sistema.
Tra i tempi verbali è in espansione l’imperfetto; il passato remoto cede spazio al passato prossimo, e quasi scomparso è
il trapassato prossimo. Il futuro tende a essere sostituito dal presente, e il futuro anteriore è usato soprattutto per indicare
supposizioni.
Il parlato italiano contemporaneo: la sintassi
Nell’uso dei pronomi relativi ha perso terreno il quale a vantaggio di che, nel parlato molto informale anche sotto forma di
che relativo in declinato con ripresa pronominale. Il che fungerebbe da subordinante generico, indicherebbe cioè la
presenza di una subordinata quale che sia, mentre l’esatta esplicazione del rapporto sintattico tra le proposizioni
sarebbe affidata al pronome atono in ripresa.
Il che in funzione di subordinante generico è usato come una sorta di passepartout linguistico, per introdurre una
subordinata. Spesso non è possibile un’esatta catalogazione grammatico-funzionale del che subordinato generico.
Nel parlato l’ordine non-marcato SOGGETTO-VERBO-OGGETTO della frase risulta spesso alterato per evidenziare un
elemento a vario titolo saliente:
- Topicalizazzione contrastiva: l’elemento dislocato, l’oggetto, viene sottolineato con la forza nell’intonazione
- Il tema libero o cambio di progetto sintattico: il centro semantico emozionale della frase viene collocato in
apertura di frase, anche senza collegamento sintattico con il resto della frase stessa
- La dislocazione a sx dell’oggetto o dei complementi indiretti, ripresi da un pronome atono
- La dislocazione a dx del centro di interesse della frase, anticipato da un pronome atono
- La frase scissa, in cui un elemento di interesse della frase viene messo in evidenza tramite la struttura formata
da una voce del verbo essere+che
- Il tipo c’è+che
Frequente nel parlato anche il mancato accordo tra soggetto e verbo
Il parlato italiano contemporaneo: le parole
Fondamentali nel parlato sono i segnali discorsivi, per dire, diciamo, voglio dire, cioè…, che hanno la funzione di
connettivi. Utilizzate anche le locuzioni colloquiali, familiari, gergali o di diffusione regionale: tanto più sono numerose
quanto più è informale è la situazione comunicativa. Sono presenti anche:
- vocaboli generici
- espressioni di quantità
- alcuni aggettivi utilizzabili in accezione sia positiva che negativa, mostruoso , pazzesco, allucinante,..
- diminutivi affettivi , momentino, attimino
- espressioni colorite di esclamazione o di imprecazione, cavolo, porca miseria, che palle!
Consistente è anche l’apporto del linguaggio giovanile, magari tramite il mondo delle canzoni, dei fumetti o delle culture
vicine al mondo dei giovani, gasato, pomiciare, imbranato, sballo,..
Il turpiloquio: non è un esclusiva dei nostri tempi; in alcuni epistolari dell800 si trovano espressioni come < non costa un cazzo> Carlo
Porta o <noi resteremo tutti coglionati> Vincenzo Monti o < coglione chi si affatica a pensare a scrivere> Giacomo leopardi. Un tempo
relegato alla conversazione informale, oggi il turpiloquio è possibile anche in situazioni mediatamente formale.
Le parolacce oggi non sono altro che un’esibizione del conformismo: che ci piaccia o no fanno ormai parte del modi di esprimersi
quotidiano di quasi tutti gli italiani.
Il parlato nello scritto
Alcuni costrutti tipici anche oggi del parlato affondano le loro radici nelle frasi più antiche della lingua italiana. Le
particolarissime vicende dell’italiano hanno sempre relegato questi costrutti ai margini della grammatica; ma nelle
scritture informali, basse o popolari, possiamo trovare a distanza di secoli varie attestazioni della loro vitalità.
Parzialmente diverso è l’uso artistico che gli scrittori fanno del parlato nelle battute di dialogo inserite in un racconto, un
romanzo, un testo teatrale. Abbiamo una non produzione fedele dell’oralità, ma una simulazione fittizia e stilizzata: gli
aspetti più irriducibili del parlato vengono omessi o regolarizzati o riprodotti in modo convenzionale.
LE LINGUE SPECIALI
Cos’è una lingua speciale
Una lingua speciale è una varietà di lingua caratterizzata da alcune particolarità:
- riflette un sapere specialistico, condiviso da una minoranza di esperti, risponde allo scopo di favorire la
comunicazione all’interno di quel gruppo
- utilizza tratti linguistici propri della lingua di riferimento, integrandoli per quanto riguarda il lessico e la
formazione delle parole
- tende a essere univoca, cioè a stabilire un rapporto preciso e costante tra parole e cose. Il livello di monosemia
delle parole e delle espressioni di una lingua speciale rappresenta un buon indicatore della sua tecnicità; il
tasso di monosemia spesso aumenta nel tempo, di pari passo con la stabilizzazione del significato di un
tecnicismo
Un linguaggio si dice univoco quando è improntato alla monosemia: a ogni segno che lo compone è possibile attribuire un solo
significato. Non è una caratteristica naturale delle lingue: può essere raggiunta solo con un’esposizione particolarmente attenta e
rigorosa.
La condizione naturale di una lingua comune è la polisemia: un elemento linguistico può avere più significati distinti o più sfumature di
significato.
L’aspetto individuante di una lingua speciale risiede nel lessico. Le caratteristiche sono:
- il potenziamento del nome rispetto al vergo
- la deagentivizzazione, cioè la preferenza per le frasi senza soggetto esplicito o senza complemento d’agente
- l’alto grado di coesione testuale, ottenuto tramite un continuo riferimento anaforico.
Il numero delle lingue speciali è potenzialmente aperto.
Si parla invece di linguaggio settoriale, quando per linguaggio si fa riferimento non solo al codice verbale, ma anche ad
altri tipi di comunicazione.
I tecnicismi
L’esigenza di denominare in modo preciso e inequivocabile oggetti, concetti, eventi estranei all’attività quotidiana ha fatto
sì ce le scienze abbiano sviluppato un lessico peculiare, costituito da vocaboli che ricorrono solo in quel determinato
ambito.
Accanto a questi vocaboli, ciascuna lingua speciale impiega un certo numero di tecnicismi collaterali. Come espressioni
stereotipiche che non sono necessarie all’esigenza di univocità e denotatività, ma vengono adoperate perché
conferiscono al testo un tono di maggiore adeguatezza stilistica: una connotazione tecnica che rende immediatamente
riconoscibile l’ambito di provenienza di un testo e l’appartenenza di chi lo scrive a una comunità di specialisti.
Oggi la principale fonte di linguaggi scientifici sono le lingue classiche: molto alta la quota di latinismi e di grecismi. Altre
volte si utilizzano come tecnicismi parole della lingua comune, alle quali viene attribuito un nuovo significato specifico.
Negli ultimi decenni, anche nei linguaggi scientifici si è fatta sentire l’influenza della nuova lingua di comunicazione
internazionale: l’inglese. Ciò ha aumentato la presenza di anglicismi nell’italiano scientifico e tecnico.
Nella continua creazione di parole nuove delle lingue speciali ricorrono soprattutto ai procedimenti di affissazione e si
composizione, che hanno il triplice vantaggio di:
- utilizzare relativamente pochi elementi formativi
- essere molto trasparenti
- creare classi di vocaboli aperte.
Il linguaggio delle scienze “dure”
Le scienze dure sono discipline che si servono del metodo sperimentale per l’indagine della realtà e sottopongono i
risultati dei propri studi a una rigida e sistematica ma tematizzazione (dure: matematica, fisica, chimica; molli: psicologia,
antropologia, economia, biologia e medicina).
Le lingue delle scienze a base matematica è di certo quella che possiede il più alto tasso di tecnicità: tutti i suoi termini
sono legati ai rispettivi significati da un rapporto molto rigido, che ne garantisce l’univocità.
Le caratteristiche delle lingue scientifiche dure sono:
- il ricorso più frequente alla lingua comune per creare tecnicismi specifici (tecnificazione o risemantizzazione)
- sono molto più abbondanti i derivati, spesso creati a partire da suffissi in sistemi molto rigorosi o creati
appositamente per descrivere gli elementi di un nuovo campo di ricerca
- maggiore produzione di sigle e formazioni abbreviate, che sono spesso totalmente sconosciute al grande
pubblico.
Il testo scientifico duro si caratterizza per una costante presenza dello strumento matematico sotto forma di formule,
tabelle, diagrammi e grafici. La lingua sembra svolgere spesso una funzione quasi subalterna, di collegamento e
introduzione, rispetto all’elemento formalizzato rappresentato dalla matematica. La sintassi viene estremamente
semplificata: le frasi sono brevi e rigidamente coordinate, ed p frequente l’uso di formule di raccordo e di snodo tra le
varie parti del discorso, ripetute con graande frequenza e anche a breve distanza.
Linguaggio giuridico e burocratico
Il linguaggio giuridico si presenta innanzi tutto con una forte impronta tradizionale, testimoniata a livello sintattico
dall’utilizzo di frasi complesse, ricche di subordinate,, che riflettono uno stile di tono sostenuto. Ciò vien confermato dalla
presenza di numerosi latinismi non adattati.
Ci sono anche esempi recenti di forestierismi tratti dall’inglese, che identificano, alcune forme di contratto commerciale
come il leasing, il franchising e il factoring.
Ma questo allontanarsi dalla lingua comune non può essere quasi mai considerato un semplice vezzo; in molti csi, il
ricorso al tecnicismo è l’unico modo per evitare quell’ambiguità che avrebbe effetti disastrosi in un testo che ha valore di
legge.
L’esigenza di generalizzare e di astrazione tipica del linguaggio giuridico si rispecchia anche nella presenza di num erosi
sostantivi deverbali e deaggettivali. Caratteristiche peculiari:
- la predilezione per i costrutti assoluti e in genere per i modi nominali del verbo
- l’uso di forme impersonali con il si
- la frequenza di formule brachilogiche e di formule anaforiche e cataforiche.
Queste caratteristiche sono generalmente condivise dalla lingua della burocrazia, che con quella giuridica intrattiene
uno stretto rapporto. La gran parte dei testi amministrativi e burocratici nasce infatti in ambiente giuridico, anche se lo
stile e il lessico legati ala produzione ufficiale di documenti travalicano spesso questo ambito ristretto, abbracciando
situazioni comunicative molto diverse e rivolte a un vasto pubblico: dal sollecito di pagamento dell’Agenzia delle Entrate
fino alle norme di sicurezza esposte nei vagoni della metropolitana. Ad accomunare testi di natura diversa sono alcune
caratteristiche specifiche:
- innalzamento generale e spesso artificioso dello stile rispetto al tono usuale, condotto attraverso l’impiego di
materiale letterario, perifrasi descrittive di sapore tecnico o sinonimi di lunghezza maggiore, ritenuti più adatti a
soddisfare la necessità di astrazione
- scarsa presenza di tecnicismi specifici a fronte di un altissimo numero di tecnicismi collaterali, spesso con
valore eufemistico
- tendenza alla ridondanza del significato, soprattutto con l’uso di aggettivi e avverbi in contesti altamente
prevedibili
Costrutti assoluti: le proposizioni subordinate implicite che hanno un soggetto diverso da quello della proposizione reggente. In italiano
s’imperniano sul gerundio e sul participio; il gerundio può avere valore causale, quasi analoghe sono le funzioni del participio assoluto.
Modi nominali del verbo: gerundio, participio e infinito, sono forme che assumono di volta in volta il valore di modo del corrispondente
verbo finito.
Linguaggio medico
Nell’insieme delle lingue scientifiche, quella della medicina si distingue per una grande ricchezza terminologica e per una
fortissima presenza anche nella lingua comune, dovuta alle molte occasioni d contatto del grande pubblico con il sapore
medico.
La lingua della medicina appare ancor oggi legata a caratteristiche tradizionali. Le fonti privilegiate del lessico medico
rimangono le due lingue classiche: il greco, diffuso soprattutto nella patologia, la descrizione delle malattie e dei loro
sintomi; e il latino, più frequente per ragioni storiche nell’anatomia: la descrizione del corpo umano, dei suoi organi e
degli eventi che lo riguardano.
Più rare le parole provenienti dall’arabo, lingua che comincia a perdere influenza sul lessico a partire dal 500. In anni
recenti si è verificato anche in questo campo un continuo aumento della presenza degli anglicismi: tra i molti screening,
by-pass, patch.
Nella formazione del lessico medico hanno grande importanza i processi di composizione, basati molto spesso su
materiale tratto dalle lingue classiche, ma anche su elementi moderni e sulle sigle. Molto importante è anche l’impiego di
suffissi specializzati: -ite, che indica un processo infiammatorio riguardante l’organo espresso dalla base, -osi, riferito a
patologie di carattere degenerativo, -oma, suffisso legato ai tumori, …
Per quanto riguarda lo stile dei testi scritti, si riconoscono alcune caratteristiche principali:
- la grande diffusione dei tecnicismi collaterali
- la proliferazione degli aggettivi di relazione
- l’alta frequenza dell’uso del passivo, con scopo di rendere il più possibile impersonale l’esposizione dei
contenuti scientifici
- la concentrazione dell’attenzione comunicativa sul nome, spesso a scapito del verbo, con il largo impiego di
frasi completamente nominali
- il frequente ricorso agli aponimi, cioè a nomi di strutture anatomiche, malattie,.. derivati dai nomi di uno
scienziato (tube di Falloppio, morbo di Basedow,…)
- l’abbondanza di sigle che, a differenza di quanto accade per le altre discipline scientifiche come la chimica o la
fisica, sono spesso comprese e adoperate comunemente anche dai non specialisti (TAC, AIDS,…).
Il linguaggio dell’informatica
L’informatica è una lingua speciale nella quale quasi ogni termine ed espressione rimanda direttamente o indirettamente
all’inglese.
Da quando, alla fine degli anni 79, il PC ha reo accessibile anche ai singoli utenti l’acquisto di un computer l’informatica è
via via diventata un fenomeno di massa.4la nostra lingua non è riuscita a reagire alla continua immissione di anglicismi.
Solo in qualche casi si è ricorsi al calco, preferendo quasi sempre accettare l’anglicismo e ricorrendo all’adattamento
morfologico dei derivati, il che peraltro conferma il radicamento di questi prestiti nella nostra lingua. In un numero di casi
la strada scelta è stata quella dell’attribuzione di un nuovo significato tecnico a parole della lingua comune, seppure
dietro l’influsso di parole inglesi con la medesima forma.
Negli ultimi anni si registra la crescente tendenza sostituire gli anglicismi non adattati con alternative italiane che in più
di un caso sembrano prevalere nell’uso sulla forma straniera.
Altre lingue europee hanno opposto invece una precoce e cosciente resistenza alla penetrazione delle forme straniere.
Si è giunti alla traduzione di gran parte della terminologia, anche di sigle.
Il linguaggio dell’economia e della finanza
Le discipline economico-finanziarie coinvolgono diversi ambiti, da quello delle scienze economiche descrittive e storiche
a quello delle transazioni commerciali e finanziarie, rappresentato dell’attività della borsa, delle banche e delle imprese.
La lingua dell’economia e della finanzia assume caratteristiche differenti a seconda che:
1. la sua produzione risalga alla comunità scientifica internazionale o al mondo professionale:
lingua dell’economia in senso proprio: un linguaggio scientifico a tutti gli effetti, caratteristico di alcuni documenti
molto rigorosi quanto alla forma, come i testi legislativi di materia economica, i manuali universitari e la stampa
giornalistica specializzata.
Lo stile non presenta caratteristiche diverse da quelle di altre lingue speciali: uso di tabelle, grafici e formule;
tendenza a privilegiare il nome sul verbo e a impiegare frasi nominali; largo uso del passivo e delle forme
impersonali dei verbi; paragrafi brevi e frasi concise.
Il lessico, fortissima presenza di anglicismi, che si alternano in diversa misura a equivalenti forme italiane,
spesso rappresentate da perifrasi descrittive
2. la sua produzione risalga agli addetti ai lavori del settore, è la lingua di impiegati, dirigenti e operatori
economici all’interno delle aziende: quello che a volte viene chiamato aziendalese o corporatese. La lingua
dell’impresa condivide molte caratteristiche con quella della burocrazia. Le sue scelte linguistiche non
dipendono dall’esigenza di dominare in modo univoco gli elementi proprio di un settore, am dal bisogno di un
codice stilistico, che contraddistingua gli addetti al lavoro.
Il lessico è ricco di elementi dal suono e dalla forma ricercata, ma perfettamente sostituibili da elementi più
semplici e vicini all’uso comune.
Lo stile:
- massiccio ricorso a locuzioni congiuntive molto simili a quelle del linguaggio burocratico
- il tono generalmente informale dei documenti circostanti esclusivamente ll’interno dell’azienda, che stride
con le scelte ricercate del lessico, questo atteggiamento comunistico è stimolato da mezzi di comunicazione
come l’mail e le reti aziendali
- lo stile estremamente standardizzato dei documenti rivolti verso l’esterno, basato sulla riproduzione
meccanica di parole e formule stereotipate riconducibili a poche fondamentali aree semantiche:
o la crescita
o la felicità del cliente
o la novità del prodotto
Il linguaggio sportivo
La lingua speciale dello sport si caratterizza soprattutto per un basso livello di tecnicità e una stretta vicinanza alla lingua
comune.
I forestierismi, soprattutto gli anglicismi, sono molto frequenti, ma solo in rari casi vengono usati in modo esclusivo,
mentre spesso subiscono una fortissima concorrenza da parte di forme italiane altrettanto diffuse.
Tendenza a coniare termini sportivi attribuendo un nuovo significato a parole della lingua comune. Alla debolezza tecnica
di questa lingua speciale è riconducibile anche il frequente passaggio di termini da uno sport all’altro, secondo il
procedimento del transfert.
Poco ricco anche il sistema derivazionale su un numero ristretto di suffissi molto ricorrenti, come –ata o –ista, mentre più
frequente è il ricorso ai composti; gli anglicismi più stabili danno vita a verbi come stoppare, dribblare, crossare,…
Lo stile delle cronache sportive è caratterizzato da una forte espressività, tesa a favorire il coinvolgimento del lettore o
dello spettatore. Largo uso di:
- espressioni metaforiche
- metonimie
- frasi volutamente espressive, ma stereotipate per effetto dell’uso ricorrente
- parole letterarie desuete rivitalizzate per l’occasione.
La tendenza a descrivere gli eventi sportivi con toni esageratamente enfatici, di natura solenne e marziale. Con:
- l’uso di una particolare aggettivazione
- il ricorso a immagini belliche
- la creazione di soprannomi altisonanti.
La sintassi predilige la velocità, attraverso l’uso di forme abbreviate come l’impiego avverbiale dell’aggettivo e il ricorso a
un adattamento sincopato della frase, fondato sull’accumulo di sequenze nominali giustapposte.
Tecnicismi e lingua comune
I linguaggi tecnico scientifici rappresentano la principale fonte di innovazione dell’italiano; infatti tra le parole inserite
recentemente nel più vasto dizionario dell’uso oggi disponibile quasi il 40% è costituito da forme provenienti da linguaggi
specialistici.
I tecnicismi devono al loro grande diffusione soprattutto ai mezzi di comunicazione di massa: i giornali, la televisione e
Internet.
Le lingue speciali costituiscono, una delle principali fonti di anglicismi dell’italiano contemporaneo:
- email, hacker, hardware, link, server, online, touch screen, … dall’informatica
- brand, manager, broker,.. dall’economia
- common rail, airbag, aquaplaning, start and stop,… dall’ingenieria
- spot, slogan, jingle, … dalla pubblicità
- fashion, glamour, look, make up, top model, trendy,… dalla moda
Gli anglicismi di origine tecnica sono impiegati in senso figurato: bypassare, interfacciare, feedback, file, overdrive,
giurassico fibrillazione,…
Tecnicismi e lingua letteraria
I termini delle lignue speciali si ritrovano spesso nelle opere della letteratura italiana, a partire almeno dagli scritti di
Dante e della sua Commedia; con lo scopo di:
- creare imamgini suggestive
- suggerire metafore
- fornire spiegazioni dettagliate di un fenomeni o di un oggetto con le parole dell’ambito appropriato
L’importanza di Dante per la storia delle lingue tecnico-scientifiche è tale che molti tecnicismi di questo tipo anno la loro
prima attestazione proprio nella Commedia e nel Convivio.
Il 900 è il secolo che vede il massimo sviluppo della scienza e la tecnificazione industriale della società, l’epoca che più
di ogni altra si distingue per l’impiego delle lingue speciali nella letteratura. Poeti e prosatori mostrano nelle loro opera
tutta la potenzialità del ricorso ai tecnicismi con fini artistici. Come Giovanni Pascoli, o i poeti del Futurismo, Luigi
Pirandello e poi Italo Calvino.
L’ITALIANO DELLA COMUNICAZIONE
L’italiano dei giornali
Il linguaggio dei giornali rappresenta tradizionalmente una realtà molto composita. Sia per le differenze che esistono tra i
vari tipi di giornale sia per la netta differenziazione interna. Il giornale è una specie di contenitore in cui trovano posto
argomenti tra loro molto diversi e ogni settore ha un suo particolare linguaggio.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gggr di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Bergamo - Unibg o del prof Venier Federica.
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