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ANUALE DI LINGUISTICA ITALIANA TORIA ATTUALITÀ GRAMMATICA
Capitolo1: Alle radici dell’italiano
L’italiano è una lingua di origine indoeuropea. L’indoeuropeo è una lingua virtuale, ricostruita dagli
studiosi moderni in base alla comparazione tra più lingue note, vive o morte.Tra il IV e il III
millennio, diverse tribù, che si erano stanziate tra l’Europa e l’Asia, parlavano un insieme di dialetti
affini. Con le successive migrazioni, queste tribù si diffusero largamente. Oggi parla una lingua
indoeuropea quasi la metà dell’intera popolazione della terra. Verso la fine del II millennio, le
popolazioni che parlavano quel dialetto indoeuropeo, che poi sarebbe diventato il latino, si
stanziarono in Italia. Nei primi secoli del I millennio, il latino era parlato solo a Roma. Prima
dell’avvento del latino, veniva parlato l’osco-umbro, cioè un insieme di lingue e dialetti indoeuropei.
Dopo la sconfitta delle popolazioni italiche, l’osco e l’umbro non furono più adoperate come lingue
ufficiali. L’etrusco e l’osco-umbro ebbero una grande influenza sul latino, soprattutto in ambito
lessicale. Sono di origine etrusca le parole come populus, catena e taverna e sono di origine osco-
umbra molti nomi di animali, come lupus, scrofa e bufalus. Il greco ha fornito al latino le parole e
soprattutto l’impalcatura concettuale di molto lessico astratto. Ciò è accaduto attraverso:
- l’assegnazione di nuovi significati a parole già esistenti, come ratio che assume la nuova
accezione di ragione;
- nuove formazioni, come qualitas e medietas.
Il greco è andato ad inserirsi anche nel vocabolario religioso, domando parole necessarie:
- per esprimere nozioni estranee alla cultura pagana, come angelus e baptesimus;
- per sostituire termini latini troppo compromessi col paganesimo, come ecclesia e basilica in
luogo di templum.
L’italiano deriva dal latino ed appartiene alla famiglia delle lingue romanze o, anche dette,
neolatine. L’area in cui si parlano ancora le lingue neolatine si estende dal mar Nero all’oceano
Atlantico e i linguisti la chiamano Romània. La maggior parte del vocabolario latino è arrivato fino a
noi per via scritta e quindi non presenta le trasformazioni di suono e di significato: questi sono
latinismi o culturismi. Il latino era una realtà complessa e varia e il latino classico era quel latino
che era usato nella letteratura dell’età di Cesare e di Augusto. Nel lessico e nella pronuncia, chi
parlava latino lo parlava in modo diverso dal latino classico: il latino volgare variava notevolmente
a seconda dei luoghi ed è all’origine delle lingue romanze o neolatine. All’epoca del latino volgare
esisteva già una differenziazione all’interno dei vari tipi di latino parlato nell’Impero romano, poi
irrigiditasi nel passaggio alle lingue romanze. Se il latino volgare coincide con la lingua parlata, la
sua ricostruzione può essere solo parziale e indiretta. Le fonti di cui possiamo disporre sono:
- le iscrizioni di carattere privato;
- le testimonianze di grammatici e maestri di scuola che, nel condannare un certo abuso
linguistico, ne attestano la vitalità, come nell’Appendix Probi;
- gli scritti di semianalfabeti o di persone con una limitata competenza della norma grammaticale
insegnata a quel tempo nelle scuole;
- le opere di autori letterari che tendano alla riproduzione dell’uso popolare, come per le
commedie di Plauto e per il Satyricon di Petronio;
- il confronto tra le varie lingue romanze, che consente di ricostruire il latino parlato.
Una lingua non è un organismo immobile e definibile una volta per tutte, poiché la variazione
linguistica si ha in rapporto a diversi fattori, come il trascorrere del tempo, lo spazio geografico, il
livello socioculturale di chi la parla o di chi la scrive, la situazione comunicativa, il mezzo di
comunicazione che veicola il messaggio. Le lingue vengono studiate in base:
- diacronia, cioè in base ai mutamenti che nel corso del tempo hanno interessato quella lingua;
- diatopia, cioè in base allo spazio geografico dove si parla quella lingua;
- diasatria, cioè in base alla competenza linguistica dei parlanti;
- diafasia, cioè in base alla situazione comunicativa;
- diamesia, cioè in base al canale di comunicazione he viene usato per trasmettere il messaggio.
La classificazione dei suoni della lingua italiana viene fatta in base alla distinzione tra vocali e
consonanti. A vocali e consonanti si aggiungono due semiconsonanti: lo iod, palatale (cioè il suono
della i di ieri e notaio), e il wau, velare (la u di uomo e buono), che si impostano come le vocali
corrispondenti ma hanno una durata più breve, perché l’articolazione passa subito alla vocale
seguente. 1
In latino esistevano 10 vocali: ognuna delle 5 vocali distinte dall’alfabeto (A, E, I, O, U) poteva
essere breve o lunga. Nel latino tardo, questo sistema entrò in crisi e divenne determinante non
più la quantità delle vocali (brevi o lunghe), ma la qualità o timbro (chiuse o aperte). Si sviluppò un
sistema di 7 unità per le vocali toniche: i, é, é, a, ò, ó, u. Un fenomeno schiettamente toscano è
quello dell’anafonesi che consiste nella chiusura delle vocali toniche é e ó rispettivamente in i e u.
Tra le vocali atone, cioè non accentate, poste prima o dopo della sillaba accentata, le 10 del latino
classico si riducono a 5, venendo meno la è e la ò. Nel passaggio dal latino all’italiano, si assiste
talvolta all’epentesi, cioè allo sviluppo di una vocale o di una consonante all’interno della parola; la
prostesi indica l’incremento all’inizio di una parola e l’epitesi indica l’incremento alla fine di una
parola. E’ molto più frequente la sincope, cioè la caduta di una vocale all’interno di una parola,
che interessa soprattutto le vocali interfoniche, cioè poste tra l’accento secondario e quello tonico e
in misura minore quelle postoniche.
Nel consonantismo, è notevole la tendenza delle consonanti sorde poste tra due vocali o tra vocale
e r del latino, a diventare in italiano sonore. Il fenomeno interessa le 3 occlusive p, t, k, che si
trasformano in b, d e g, e la sibilante s.
Per quanto riguarda i nessi consonantici, invece:
- l’assimilazione regressiva si ha quando, i alcune sequenze di 2 consonanti,la seconda ha reso
simile a sé la prima. Il fenomeno inverso è la dissimilazione, che si verifica quando in una
sequenza fonica si avverte l’esigenza di evitare la ripetizione di uno stesso suono.
- i nessi di consonante + L evolvono in nessi di consonante + “iod” e la consonante raddoppia
se si trovano tra due vocali, come nebula-nebbia.
- i nessi intervocalici di consonante + “iod” offrono più esiti:
- le consonanti diverse da R e S si raddoppiano;
- se la consonante è un’affricata palatale sorda o sonora, lo “iod” viene assorbito;
- una laterale e una nasale dentale, dopo essersi raddoppiate, evolvono in suoni palatali;
- le dentali, sorda e sonora, passano ad affricate alveolari.
- in S + “iod”, si hanno la sibilante palatale sorda e sonora;
- in R + “iod”, la consonante cade.
Gli allòtropi si hanno quando, dalla stessa base latina, si ricavano due o più parole italiane,
spesso una per via popolare (che sviluppa un significato concreto, quotidiano), una per via dotta
(che tende a mantenere il significato originario del latino classico).
Le trasformazioni morfologiche, cioè relative alle forme grammaticali, compiutesi nel latino volgare
hanno mutato la tipologia linguistica del latino. Le trasformazioni si possono riassumere in 3 punti:
1. la perdita delle declinazioni e del sistema dei casi. Delle 5 declinazioni del latino classico, le 2
più deboli (la quarta e la quinta) scompaiono quasi completamente. La prima e la seconda
declinazione sono le uniche rimaste produttive in italiano. In italiano viene meno il sistema delle
desinenze con importanti conseguenze sull’ordine delle parole. In latino, grazie alle desinenze,
era sempre possibile capire se un nome fosse soggetto o oggetto: l’ordine delle parole nella
frase era sostanzialmente libero. In italiano e nelle altre lingue romanze, invece, la perdita dei
casi ha bloccato l’ordine delle parole, che è diventato rigido. L’accusativo si impone sugli altri
casi;
2. la perdita del neutro. Scomparso il neutro, i generi si riducono a due: maschile e femminile.
L’italiano mantiene una traccia dell’antico plurale neutro in una serie di plurali femminili in -a
come le ossa o le braccia;
3. la ristrutturazione del sistema verbale. Delle 4 coniugazioni del latino classico, restano
produttive la I e in parte la IV. Poi molte forme verbali sintetiche scompaiono senza lasciare
traccia, sostituite da forme analitiche. Infine nasce il condizionale formato dalla combinazione
dell’infinito con una forma ridotta del perfetto latino volgare di habeo.
La produttività linguistica è la capacità di una classe morfologica di generare nuove parole. In
italiano sono produttive le classi nominali dei maschili in -o (il lupo) e dei femminili in -a (la rosa) e ,
quanto alle coniugazioni, l’unica stabilmente produttiva è la 1ª (amare).
Gran parte del vocabolario latino si ritrova in italiano e nelle altre lingue romanze. Diverse parole
scompaiono però senza lasciar traccia. Per il resto, l’innovazione delle parole segue 3 direttrici:
1. si preferiscono parole espressive, più trasparenti e immediate e anche morfologicamente più
regolari; 2
2. escono d’uso le parole di scarso corpo fonico e senza la consonante finale, ad esempio res,
cioè cosa, diventa causa;
3. per effetto di queste due tendenze, molte parole semplici sono sostituite dai rispettivi
diminuitivi, più carichi di affettività. Ai verbi semplici vengono preferiti i verbi frequentativi, che in
origine indicavano un’azione ripetuta.
Sono molto comuni i cambiamenti di significato a causa:
- dell’influsso della semantica cristiana, come orare da chiedere diventa pregare;
- della collisione omofonica, cioè il fenomeno per il quale due parole in origine diverse diventano
foneticamente uguali;
- delle metafore espressive, come papilio da farfalla diventa padiglione, perché le tende colorate
degli accampamenti evocano le ali spiegate di una farfalla;
- delle metonimie di varia motivazione, come mittere da mandare diventa mettere.
La metàfora consiste nella sostituzione di una parola con un’altra che condivida con la prima
almeno un tratto semantico. Ad esempio, essere un coniglio ha il tratto semantico della paura.<