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CAPITOLO V
Dagli anni settanta a oggi
I. Metamorfosi del paesaggio
-Concorrenza del cinema americano e problemi finanziari dovuti ad un calo a picco di spettatori
nelle sale italiane, determina una crisi cinematografica in Italia dagli anni settanta in poi:
innanzitutto nei primi anni settanta molti film non riescono a coprire le spese di produzione, migliaia
di case di produzione chiudono e il filone erotico e western trascinano l’industria con titoli realizzati
in fretta e di bassa qualità.
-Dal punto di vista del mercato, poi, la storia del cinema italiano nell’ultimo quarto di millennio è
una storia di progressiva marginalizzazione e perdita di visibilità. L’amore per il cinema italiano
rimarrà sempre vivo all’estero, ma soprattutto indirizzato ancora verso il passato.
-Nel corso degli anni settanta aumenta in modo massiccio il consumo di cinema, ma si distribuisce
diversamente, a causa della diffusione della televisione, videocassette e videoregistratori.
Parallelamente diminuisce il suo ruolo per l’immaginario collettivo italiano. Piano piano, il mercato
italiano si riduce al ruolo di semplice consumatore di prodotti americani, e si assiste ad un
processo di disaffezione collettiva da parte delle nuove generazioni nei confronti dei prodotti
nazionali.
-I grandi produttori di questo periodo sono quelli legati alla televisione: Rai e Fininvest, con il suo
ramo Reteitalia. Molti registi iniziano a girare per la televisione senza per questo rinunciare al
linguaggio cinematografico, ma piano piano in generale l’appoggio di queste case produttrici avrà
come effetto un indebolimento dei fattori creativi e aprirà la strada alla trasformazione del prodotto
cinematografico in un prodotto con spiccate caratteristiche televisive, perché inconsapevolmente i
registi inizieranno a pensare a produrre per un pubblico televisivo, e non più cinematografico.
Parallelamente nascono anche numerose fiction televisive di successo.
-Agli altri produttori invece viene a poco a poco a mancare la fiducia nella redditività del cinema, e
dunque anche la disposizione a finanziare progetti.
-Le televisioni pubbliche e private cominciano a rendersi conto che è sempre più redditizio
acquistare programmi e filmati prodotti all’estero, piuttosto che produrne con rischio di insuccesso;
solo ala fine degli anni novanta la legge 122 invertirà questa tendenza.
L’abbandono da parte degli spettatori delle sale cinematografiche è dovuta dunque principalmente
all’uso sempre più massiccio del mezzo televisivo e alla concorrenza della sempre più potente
industria americana.
Per quanto riguarda il Luce, nel 1962 diventa una società per azioni e avvia la produzione di
lungometraggi e film d’autore, di registi consacrati ma anche di esordienti e giovani, diventando
punto di riferimento fondamentale per la sperimentazione.
-Dal 1982, all’attività di produzione affianca anche quella di distribuzione ed esercizio.
Pochi film in questo ventennio raggiungono le sale o la considerazione della critica, si potrebbe
parlare quasi di un cinema italiano “invisibile”, nel senso che ogni anno esordiscono almeno una
ventina di nuovi autori, molti dei quali in qualità sia di registi che di produttori dei loro stessi film,
che tuttavia passano inosservati perché privi di qualsiasi sostegno statale e attenzione da parte del
pubblico, il quale a sua volta si fa sempre più ristretto.
-Il numero di case di produzione si fa sempre più alto, negli anni novanta quasi arriva a coincidere
con il numero di film prodotti.
Nel cercare di prevedere il possibile ruolo del cinema italiano nel mercato internazionale, certo il
ritardo tecnologico e la disparità di risorse finanziarie rispetto agli Stati Uniti non promettono un
futuro florido; tuttavia si dovrebbe continuare a credere e investire nella creatività e idee che hanno
da sempre costituito il punto forte del cinema italiano, riprendere le collaborazioni internazionali,
pensare in grande e uscire da un’ottica chiusa entro i confini nazionali.
II. Sotto i segni della perdita e della speranza
-Anche uno sguardo sul cinema italiano dell’ultimo trentennio sembra raccontare un generale
arretramento di tutte le posizioni conquistate nei decenni precedenti, non dobbiamo comunque
ignorare gli sforzi, i tentativi e i risultati che comunque sono stati raggiunti.
Tra il 1975 e il 1985:
1) Calo di spettatori
2) Calo di produzione
3) Ricambio generazionale che non fa emergere personalità in grado di reggere il confronto
con i registi del passato.
La personalità di Nanni Moretti, regista che esordisce nel 1976 con Io non sono un autarchico, si
colloca come una delle poche il cui carisma influenzerà il venticinquennio successivo. Egli sembra
portare avanti una rivolta contro i padri del cinema, una rivolta simbolica e non programmatica ma
che di fatto sembra liberarsi in un colpo delle lezioni dei maestri delle generazioni precedenti. Egli
non spara intenzionalmente contro il “cinema di papà”, come faranno i futuri registi della Nouvelle
Vague parigina, ma di fatto possiede una carica così personale da dare l’impressione di voler
rifondare le regole del fare registico.
La sua insofferenza per ogni idea ricevuta o luogo comune ideologico e il suo forte individualismo
costituiranno per molti un punto di riferimento indispensabile per rafforzare la convinzione di poter
affermare, anche in condizioni così difficili, la propria poetica, e per attivare nuove forze.
III. Due pontefici: Fellini e Bertolucci
Fellini e Bertolucci sono le due personalità che continuano ad essere punti di riferimento
indispensabili, il ponte tra il cinema italiano del passato e i pubblici di tutto il mondo.
-Come già notato, Fellini procede di film in film verso la presa di coscienza di questo vuoto, questo
senso di dispersione che cerca di riempire con maschere di finta gioia e spettacolo. Da Prova
d’orchestra in poi, La nave va (1983) e La voce della luna (1990), le atmosfere si fanno sempre più
apocalittiche, presagiscono catastrofi: dai primi anni settanta in poi, l’opera di Fellini sembra sentire
l’ineluttabile morte del cinema nell'era della modernità, pur non perdendo la capacità di sperare
comunque nel futuro.
In Bertolucci avviene invece qualcosa di diverso: a partire da Novecento (1976), egli trova nello
stile epico il modo per esprimersi, dominando tutti i registri del racconto e le strutture drammatiche,
orchestrando più storie e temi all’interno di un grande flusso di eventi in cui storia e microstoria si
fondono.
-Anche con i successivi film come La luna (1979) e La tragedia di un uomo ridicolo (1981), su
motivi più privati piuttosto che corali, egli si presenta come uno dei pochi registi italiani in grado di
offrire ancora prodotti competitivi sul piano internazionale.
-Con L’ultimo imperatore (1987), si spinge nuovamente al confronto con la grande Storia; con
questo film ottiene l’Oscar e si afferma in maniera definitiva sulla scena mondiale.
-Con Il tè nel deserto, 1990, realizza un film su un viaggio alla scoperta del sé; in Piccolo Buddah,
1993, racconta un viaggio di iniziazione; Io ballo da sola, 1996, torno ad una dimensione più intima
e privata.
-Nel film L’Assedio, 1998, realizzato per la televisione, Bertolucci si focalizza sul tema dell’incontro
tra uomo e donna provenienti da mondi diversi; indaga il tema dell’amore con lo spirito dei
trovadori e della letteratura cortese.
IV. La perdita del Centro (Sperimentale).
-La morte di autori come De Sica, Visconti, Rossellini, Pasolini, verso la metà degli anni settanta,
sembra creare un grande vuoto.
Questo vuoto in realtà si era già creato a causa della gestione rosselliniana del Centro
Sperimentale: Rossellini non crede nella necessità della trasmissione delle conoscenze
cinematografiche, crede piuttosto che ognuno debba trovare dentro di sé la luce e il senso del
proprio lavoro. Viene così a mancare all’istituto quello che per anni era stato il suo punto forte,
ossia una rigorosa formazione cinematografica: se è vero che il talento emerge in modo
spontaneo, è necessario che esso sia accompagnato da competenza e conoscenze adeguate.
Prende quindi corpo l’idea che si può benissimo far cinema senza l’apprendistato scolastico, e
Moretti ne è un esempio; allo stesso tempo però nascono nuove scuole nei primi anni ottanta, che
cercano di colmare in qualche modo il vuoto lasciato dal Centro Sperimentale, tra le quali
ricordiamo la più significativa, Ipotesi cinema, diretta da Ermanno Olmi.
-Dagli anni settanta non c’è più ricerca, spinta verso nuovi orizzonti, rischio, contaminazione di
forme e linguaggi; si moltiplicano i tentativi di raggiungere piena libertà e autonomia nella
realizzazione dei propri prodotti, ma i registi che veramente ci riescono, affermandosi a livello
nazionale, sono casi isolati.
V. Dagli anni di piombo agli anni della fuga
-Dalla seconda metà degli anni settanta il dilagare del terrorismo avvia, anche per gli autori da
sempre dediti al film politico, una perdita di fiducia e di forza della componente ideologica o politica
nel cinema italiano. Le ragioni psicologiche del terrorismo e il clima politico dell’epoca è così
difficile da decifrare, complesso e disorientato, che i pochi registi che ci provano procedono con
fatica.
L’orizzonte ideale si impoverisce, e per qualche anno la maggior parte dei registi ripiega sul
passato o sul privato; bisognerà aspettare la fine del decennio successivo per la ripresa di un
cinema più che politico civile, con temi legati alla storia presente oltre che passata.
VI. Il cinema di Moretti come diario generazionale
-Il film d’esordio di Nanni Moretti diventa uno dei più significativi del decennio: il suo modo di girare
di fatto è approssimativo, in quanto è autodidatta, autarchico e narcisista; egli sembra non
spingersi mai oltre l’osservazione della quotidianità piccolo-borghese, il mondo da cui proviene,
riproducendone la complessità con una tale naturalezza e semplicità da apparire diverso da
qualsiasi regista di quegli anni. In tal modo egli riesce, con La messa è finita (1985) e Palombella
rossa (1989), a rappresentare i comportamenti confusi e contraddittori della sua generazione.
-A partire da Caro Diario (1993), e poi con Aprile (1998) e La stanza del figlio (2001), negli anni
novanta si scorge in lui un’apertura diversa verso la politica, un diverso modo di rapportarsi agli
altri e interpretare le trasformazioni in atto. Questi film segnano la liberazione dal se stesso più
autoreferenziale e una nuova capacità di vedere gli altri.
VI